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30/01/25
BERNTH, CHARLES BERTHOUD E OLA ENGLUND
SANTERIA TOSCANA 31, VIALE TOSCANA 31 - MILANO
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Funeral - Gospel of Bones
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26/12/2024
( 645 letture )
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Mobilis in mobile: questo il famoso motto del Nautilus del capitano Nemo, reso immortale nelle "20.000 leghe sotto i mari" da Jules Verne. Ovvero, un oggetto mobile all’interno di una sostanza a sua volta in movimento. Perfetto per indicare un sommergibile, che si muove all’interno dell’acqua. Usando un po’ di immaginazione, potremmo dire che lo stesso motto si adatta anche ai Funeral, capostipiti norvegesi del funeral doom, che nella loro lunga carriera (ormai più che trentennale) hanno cambiato continuamente formazione e coordinate sonore, rimanendo sempre all’interno di un genere, il doom, in continuo movimento. Capitano Nemo della ciurma il batterista Anders Eek, unico membro fisso e stabile della band, compositore e mente dietro all’intero progetto e alle sue repentine manovre e cambiamenti di rotta. Li avevamo lasciati con un quasi capolavoro, quel Praesentialis in Aeternum che sembrava quasi suonare come un ultimo epitaffio e che, invece, alla luce dei fatti diventa soltanto l’ennesimo grande disco di questa stupefacente band.
Stavolta per un nuovo lavoro l’attesa è decisamente inferiore alla media e ci troviamo quindi di nuovo davanti a quello che, anche in numeri, sembra essere l’ennesimo monumento doom dei Funeral, dall’importante durata di sessantasei minuti per nove brani. Come da tradizione, invece, il quasi totale cambio di formazione, che vede il solo Rune Gandrud al basso -assieme a Eek, naturalmente- come superstite del gruppo che aveva pubblicato il disco precedente. Sorprende l’uscita dell’ottimo Sindre Nedland, che tanto aveva caratterizzato il disco precedente e l’ancor precedente Oratorium e sorprende ancora di più il suo sostituto. Eirik Krokfjord è infatti un baritono operistico professionista, specializzato in opere di Wagner e senza alcun passato in una band metal. La sua impostazione e il suo timbro profondo e caldo vanno inevitabilmente a marcare in maniera indelebile il nuovo Gospel of Bones. Accanto a lui, l’altra novità è costituita da Ingvild "Sareeta" Johannessen, violinista e suonatrice di Hardanger Fiddle (in norvegese, Hardingfele), anch’esso una sorta di violino folk da otto/nove corde. Inutile dire che avere dei veri strumenti ad arco in formazione e un legame più forte con la musica folk tradizionale norvegese va a costituire l’altro dei cardini attorno a cui ruota Gospel of Bones. Aumentato e non di poco l’aspetto orchestrale/operistico, seppur con minor uso dei cori e con una strumentazione più ridotta rispetto alla sovrabbondanza di Praesentialis in Aeternum, i Funeral sembrano addentrarsi molto più nella vena gothic propriamente detta della loro musica. La parte metal ne esce decisamente ridimensionata e, salvo qualche benvenuta esplosione solistica del talentuoso Stian Kråbøl, vero e proprio guitar hero -ma con gusto-, svolge essenzialmente il ruolo di ritmica, mai conducendo il gioco, se non in buona parte in These Rusty Nails. Per il resto, è decisamente la parte sinfonica/orchestrale a tenere il bandolo della matassa e questo, tanto per essere chiari, non è un bene. Al di là del fascino indubbio suscitato dalla voce di Krokfjord e dalle bellissime orchestrazioni di Sareeta, man mano che il disco procede nella sua lunghezza, ci si rende sempre più conto che a mancare sono decisamente le composizioni e i momenti di reale intensità emotiva. Inevitabilmente, Eek e soci sanno quello che fanno, da maestri che hanno creato un genere e che, proprio per questo, sanno come spingerlo al limite, ma al di là dell’eleganza e della grande qualità degli arrangiamenti, in Gospel of Bones manca proprio la sostanza, la carne viva, l’emozione. Il tutto suona tremendamente noioso, elegantissimo e di alta qualità realizzativa, coraggioso perfino, ma noioso. I brani sono quasi tutti molto lunghi, ma non hanno dei veri e propri sviluppi, dei crescendo, delle fughe, dei momenti di reale intensità. Certo, sarebbe facile dire che quando è la parte metal a salire in cattedra come anche in Når Kisten Senkes, la differenza si sente e come, ma il problema qua non è lo stile: Sareeta e Krokfjord sono due megaprofessionisti e il loro apporto al disco è quello che salva letteralmente la baracca, assieme agli assoli di Kråbøl. E’ tutto il resto a mancare, se non a sprazzi e quasi mai per un brano intero. Purtroppo, non c’è molto da aggiungere e scendere nel dettaglio delle tracce non aiuta, se non per citare l’intervento di Espen Ingierd dei Beyond Dawn quasi da solista in To Break All Hearts of Men e da buon comprimario nell’ottima, conclusiva, Three Dead Men. Molto valide anche My Own Grave, con i suoi intermezzi acustici e la strumentale Ailo’s Lullaby, a conferma della bontà dell’operato dei musicisti e resta affascinante e piena di dolore l’opener Too Young to Die, carica di struggente disperazione. Curioso come, in questa, Sareeta accompagni anche vocalmente Krokfjord, con ottimi risultati, ma questa soluzione non venga più riproposta in seguito. Per il resto, se è impossibile trovare una canzone brutta in Gospel of Bones, si ha davvero l’impressione che la Maniera abbia di gran lunga superato l’ispirazione in questa settima uscita.
Dispiace dare un giudizio così netto per un disco che, è bene ribadirlo, risulta affascinante e pieno di talento e soluzioni di grande pregio strumentale e di arrangiamento. Purtroppo, in questo caso non bastano degli ingredienti di alto livello, perché a mancare è l’emozione, la capacità di rendere vivi e vibranti dei brani che per la loro natura funerea, lenta e maestosa, hanno un disperato bisogno di evoluzioni ed esplosioni di intensità, che qua arrivano solo a sprazzi. Stavolta il Capitano Nemo/Anders Eek ha costruito attorno a sè una ciurma di enorme talento e grandi possibilità, ma se anche l’ennesimo cambio di rotta non costituisce un problema per i Funeral/Nautilus, adusi a cambiare e riadattarsi, il risultato non può definirsi soddisfacente, nel complesso. Gospel of Bones è un disco lungo e complesso, con momenti di pura soddisfazione, che coincidono con la malinconia e la funebre trasposizione musicale del dolore e dell’angoscia, ma vive di episodi, mentre nella sua interezza risulta pesante e poco coinvolgente. Peccato, perché le premesse e la storia della band lasciavano sperare in tutt’altro esito.
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5
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Non è un brutto album ma nemmeno uno dei migliori. |
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4
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Uno dei picchi di questo 2024. |
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3
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Confermo, mi ha lasciato perplesso per la carenza di ispirazione, sembra quasi una uscita obbligata senza stimoli. Comunque voto giusto |
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2
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Ma infatti... perché? Grazie |
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1
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Ventimila leghe sotto i mari è di Jules Verne... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Too Young To Die 2. Yestertear 3. Procession of Misery 4. These Rusty Nails 5. Ailo's Lullaby 6. My Own Grave 7. To Break All Hearts of Men 8. Når Kisten Senkes 9. Three Dead Men
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Line Up
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Eirik Krokfjord (Voce) Stian Kråbøl (Chitarra) Morten Søbyskogen (Chitarra) Ingvild «Sareeta» Johannessen (Violino, Hardanger fiddle, Strumenti ad arco, Voce nella traccia 1) Rune Gandrud (Basso) Anders Eek (Batteria)
Musicisti Ospiti Espen Ingierd (Voce su traccia 7) Øyvind Rauset (Violino)
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