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Funeral - To Mourn Is A Virtue (2011)
( 3504 letture )
Non sono molti gli artisti che possono vantarsi di essere stati tra i pionieri di un sottogenere musicale, e perfino di averne in qualche modo determinato la denominazione. I norvegesi Funeral sono stati tra questi, essendo considerati come gli iniziatori, insieme ai finnici Thergothon e Skepticism, di uno dei generi più lenti e deprimenti della scena musicale estrema, con tempi estremamente dilatati rispetto al doom metal tradizionale, che ben presto fu battezzato appunto col nome di funeral doom metal, per comparare le emozioni trasmesse da questo stile con la desolazione e l’angoscia di una marcia funebre, motivo a cui si ispira chiaramente non soltanto il nome ma anche tutta la discografia della band. Tutto ciò avveniva in un periodo abbastanza florido per il metal ed in controtendenza rispetto al genere al tempo in auge ed imperante nei paesi scandinavi, il black. La conseguenza inevitabile fu che per qualche anno i Funeral fecero fatica ad emergere verso le grandi major e verso un vasto pubblico, rimanendo confinati nei meandri dell’underground locale.
Ispirandosi al maestoso Forest of Equilibrium dei Cathedral ed estremizzandone l’essenza, il loro primo ep, Tristesse, era costituito da lunghissime track intrise di profonda tragicità, caratterizzate da pochi riff distorti suonati in maniera ossessivamente lenta, seguiti pedissequamente da un drumming letargico e da una voce gutturale che sembrava provenire dall’oltretomba.
L’eccessiva lentezza, ormai divenuta quasi un marchio di fabbrica del loro stile, fu ancora mantenuta nel successivo full-length, Tragedies, ma con un drumming leggermente più dinamico e con una novità importante, raramente sperimentata nel doom metal, vale a dire l’introduzione e l'affiancamento, ai growl di Einar Fredriksen, della celestiale voce (femminile) di Toril Snyen, un elemento di sicuro effetto che sarà poi mantenuto per alcuni anni nel prosieguo del loro cammino artistico.

E’ in questo imprescindibile contesto che va collocato di fatto l’album To Mourn Is a Virtue, come verrà spiegato meglio nel prosieguo. I primi lavori, e soprattutto il primo, erano caratterizzati, non si sa bene se volutamente o meno, da una produzione abbastanza scarna e sporca.
Così nel 1996 i Funeral decisero di fare il salto di qualità, incidendo una decina di tracce strumentali agli Academy Studios, gli stessi dove, per fare solo alcuni esempi, sono stati registrati gli album dei My Dying Bride o il memorabile Gothic dei Paradise Lost.
Fu un’esperienza elettrizzante per la band, pronta a compiere il grande salto, ma c’era un problema. Lo scarso feeling che nel suo corso ha spesso mostrato con i propri vocalist fece sì che Toril lasciò prima di questa release, per cui la band si trovò senza cantante, finché l’anno dopo non fu ingaggiata tale Sara Eick, oserei dire una vera e propria meteora nella storia del gruppo. Infatti anche lei lasciò poco dopo, non prima però di aver prestato la sua voce per la realizzazione di un demo, cui spesso ci si riferisce semplicemente come Demo ‘97 (o anche appunto To Mourn Is a Virtue, dal titolo di una delle track), contenente soltanto cinque dei brani menzionati. Tuttavia, ai tempi il demo non riuscì a carpire l’interesse nelle case discografiche, prese com’erano soprattutto dal dilagante fenomeno black. Fu così che questo lavoro finì riposto nel cassetto dei ricordi, diventando praticamente introvabile, in attesa che i tempi fossero maturi per una riedizione, idea che di sicuro non ha mai abbandonato la mente del leader indiscusso della band, vale a dire il drummer Anders Eek.

Ecco allora che, mentre i fan aspettano con ansia l’annunciato nuovo full-length, viene pubblicato questo rinnovato To Mourn Is a Virtue, comprendente non solo una parte ma quasi tutti i brani incisi nel ’96, con l’aggiunta solo di qualche arrangiamento e delle parti vocali, i cui testi sono stati completamente riscritti rispetto agli originali contenuti nel Demo ‘97, ad eccezione del brano conclusivo Wrapped All In Woe.
E proprio dal finale vorrei partire per cercare di immaginare quale potesse essere il concept originale di questo lavoro, dato che si tratta dell’unico brano che è stato semplicemente rimasterizzato prima di essere inserito nell’album, nonché dell’unico in cui si possa udire la voce della serafica cantante.
Si nota intanto una novità importante rispetto al passato, cioè si capisce come fosse già maturata la volontà di abbandonare totalmente il growl, qui sostituito da parti recitate da una voce maschile, cui fanno da sfondo i soavi vocalizzi del mezzo soprano Sara, che hanno l’effetto di suscitare stati d’animo malinconici e perfino struggenti. Il risultato fu impareggiabile, tant’è che, nonostante si sia tentato di rieditare questo brano con altre voci, alla fine non a caso si è deciso di mantenerlo nella sua versione originale, posizionandolo in fondo alla tracklist, contrariamente al demo originale in cui aveva il compito di aprire, per così dire, le macabre danze. In pratica si tratta della classica ciliegina sulla torta di un album veramente avvincente, molto diverso dai lavori precedenti, che denota da un lato una straordinaria attitudine alla sperimentazione di suoni ed atmosfere nuove e dall’altro un definitivo cambio di rotta rispetto agli esordi.
Non vorrei essere frainteso, sempre di doom di tratta, sempre di quella profonda passione e propensione per i tempi lunghi, a tratti ancora lunghissimi, ma, con buona pace di chi ritiene la lentezza un sinonimo di noia e sonnolenza, qui c’è poco da stare assopiti. I lentissimi ed intensi riff distorti sono immersi in un quadro molto più complesso, fatto di subitanee decelerazioni ed accelerazioni, di pause e ripartenze che rendono il ritmo per nulla uniforme ed eccessivamente ripetitivo. Non che ci sia niente da disprezzare in questo, è solo una mera constatazione, dato che gradisco molto anche i primi lavori, ma in questo caso aumentano e conquistano gran parte della scena anche raffinati riff melodici e non distorti, e, soprattutto, il drumming si fa molto più dinamico, ricco di intensi e sostenuti passaggi ritmici e non più limitato semplicemente ad una battitura eccessivamente cadenzata e flemmatica. Inoltre, una delle novità più importanti consiste nell’introduzione delle tastiere, quasi sempre sullo sfondo, dai suoni soffusi e a volte quasi impalpabili, allo scopo di accrescere la sensazione di tristezza e malinconia.
I Funeral non hanno mai nascosto la loro passione per gli strumenti classici, che in questo lavoro sono ancora più presenti. Così ad esempio la chitarra classica non è più semplicemente confinata al prologo ed all’epilogo dei brani, come avveniva in Tristesse, ma viene spesso utilizzata per creare dei momenti di riflessione, di stacco al loro interno. E c’è di più: anche gradevolissimi intermezzi strumentali al pianoforte sono a volte utilizzati per sortire lo stesso effetto, sempre supportati ed accompagnati dall’etereo tappeto tastieristico.

Mi sembra quasi di fare un tuffo nel passato, di rivivere la trasformazione che, proprio un anno prima della realizzazione delle parti strumentali, fu messa in atto dai My Dying Bride con The Angel and the Dark River, e secondo me non è un caso, una pura coincidenza, che i Funeral abbiamo scelto i loro stessi studi e tecnici del suono per realizzarli. Probabilmente l’impatto di quella trasformazione e lo straordinario risultato che ne conseguì finirono per influenzarli inevitabilmente, spingendoli a fare un ulteriore passo in avanti verso la loro evoluzione artistica, cioè, per essere più chiari, verso l’abbandono definitivo del funeral doom e l’introduzione di elementi “goticheggianti”.

Un’altra interessante curiosità si lega a questo disco. Le parti vocali dei primi quattro brani furono realizzate nel 2003 come prova per valutare l’affinità di un nuovo cantante con il sound della band, e questo nuovo cantate era lo stesso Frode Forsmo che è stato protagonista degli album più recenti, per intenderci From These Wounds e As The Light Does The Shadow. Nelle successive quattro tracce, invece, è stata aggiunta la voce di Oystein Rustad, sound engineer della band che si era già cimentato nel ruolo in un brano di In Fields of Pestilent Grief. La performance di Oyster è ricca di pathos, emozionalità, volta a trasmettere un senso di strazio e tormento interiore, ma mi ha dato l’impressione di essere un po’ troppo uniforme, quasi piatta, e francamente alla lunga un tantino tediosa. Forse perché è inevitabile fare un paragone con Frode, che offre un’interpretazione più distaccata ma decisamente più incisiva nei momenti di maggiore intensità. Probabilmente se, come di consueto, anche lui non avesse lasciato la band lo scorso anno, avrebbero potuto valutare la possibilità di fargli cantare anche gli altri brani, anziché accontentarsi delle prove di un sound engineer, che non a caso erano state già accantonate tempo addietro prima di essere rivalutate ai giorni nostri, ma si tratta solo di pure deduzioni.

Viene da chiedersi se fosse proprio necessario riaprire quel cassetto per tirare fuori questo materiale… e poi, perché proprio adesso? Beh, maliziosamente (o realisticamente?) è facile pensare che, a seguito della dipartita di Frode e anche di un recente avvicendamento al basso, ci sia stato un ritardo nella realizzazione del nuovo full-length e che la band abbia deciso di mandare in stampa questo album, non soltanto per divulgare un lavoro ritenuto ancora valido, ma anche per addolcire la pillola ai loro impazienti fan, in attesa da ben tre anni. Anche ammesso che ciò corrisponda a verità, in definitiva la mia opinione è che l’iniziativa va accolta con favore ed interesse, che sarebbe stato un vero peccato mantenere il tutto nell’oblio, non solo perché rappresenta un tassello mancante nell’evoluzione stilistica della band, ma soprattutto per l’indiscutibile qualità delle composizioni in esso contenute, e anche perché dà la possibilità di rivivere sonorità mai dimenticate e, a mio modo di vedere, ancora attuali. Ritengo infatti che tali sonorità non siano da considerarsi esclusivamente destinate ai nostalgici o ai più attempati estimatori del genere, che certamente ne saranno entusiasti, ma anche ad un pubblico più ampio, purché si sia disposti, in piena consapevolezza, ad accantonare ogni pregiudizio di sorta.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
43.92 su 28 voti [ VOTA]
Doom
Venerdì 9 Settembre 2011, 1.13.27
8
non mi ha detto niente
Arvssynd
Giovedì 8 Settembre 2011, 10.44.09
7
@Giasse: cioè? Devo essermi perso qualcosa... uhmmm
Metal3K
Giovedì 8 Settembre 2011, 10.34.08
6
@ Khaine: Grazie mille! Avete ragione, un marchio una garanzia!
Giasse
Giovedì 8 Settembre 2011, 0.05.38
5
C'è prima un altro titolo, caro... :X
Arvssynd
Giovedì 8 Settembre 2011, 0.02.34
4
Grande album, adesso speriamo che questi si dedichino finalmente al secondo album dei Fallen...
Giasse
Mercoledì 7 Settembre 2011, 19.00.50
3
Ha detto tutto Undercover!
Undercover
Mercoledì 7 Settembre 2011, 18.35.16
2
Preso da un po' e me lo son già gustato parecchie volte, sono i Funeral e questo basta e avanza.
Khaine
Mercoledì 7 Settembre 2011, 18.31.12
1
Benvenuto andrea
INFORMAZIONI
2011
Solitude Productions
Doom
Tracklist
1. Hunger
2. God?
3. Your Pain Is Mine
4. The Rest...
5. Dancing In A Liquid Veil
6. How Death May Linger
7. Father
8. Blood From The Soil
9. Wrapped All In Woe
Line Up
Sara Eick - Vocals (track 9)
Frode Frosmo - Vocals (track 1, 2, 3, 4)
Oystein Rustad - Vocals (track 5, 6, 7, 8)
Thimas Angell - Guitars
Christian Loos - Guitars
Kjetil Ottessen - Guitars
Einar Andre Fredriksen - Bass
Anders Eek - Drums
 
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