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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Pathology - Unholy Descent
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18/05/2024
( 524 letture )
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Tornano sulle scene i prolifici Pathology, alfieri del brutal più violento e diretto, che seppure abbiano abbandonato la cadenza di pubblicazione quasi annuale che avevano raggiunto nella prima parte di carriera, arrivano al sorprendente traguardo del dodicesimo full-length in appena diciotto anni di attività. L’abbondanza di uscite però non sempre era stata seguita da altrettanta qualità, con il combo capitanato da Dave Astor (ex Cattle Decapitation) che tra produzioni non sempre all’altezza, tentativi di aperture melodiche e contaminazioni deathcore ha dato vita a prove spesso non convincenti. Era stato tuttavia possibile scorgere una parabola ascendente a partire da Reborn To Kill, che complice forse una rivoluzione nella line-up, che da allora è rimasta immutata, accantonava quasi del tutto le influenze slam/core e introduceva abbondanti sprazzi di melodia specialmente in corrispondenza delle parti soliste e soprattutto mostrava una ritrovata vena compositiva.
Con quest’ultimo Unholy Descent invece il combo statunitense torna ad una formula più scarna e immediata: lo spazio musicale è monopolizzato da tonnellate di violenza, velocità e tecnica estreme, che lasciano pochissimi attimi di respiro e aggrediscono l’ascoltatore in maniera sistematica, tramite dosi brevi ma letali di purissimo e incontaminato brutal death metal. La produzione è potente e soprattutto equilibrata come forse mai si era potuto udire nella carriera dei Pathology, che spesso in passato avevano optato per sound eccessivamente compressi o in cui la voce tendeva a sovrastare gli strumenti; strumenti che qui invece sono tutti ben udibili, anche il basso che era il grande assente nel mix degli ultimi Reborn to Kill e The Everlasting Plague e che finalmente torna a sferragliare come dovrebbe. Viene quindi valorizzata sia la sezione ritmica, come sempre straripante, quanto il lavoro delle chitarre, che forse perdono qualcosa a livello di originalità dei solos, ma si confermano inarrestabili fucine di riff assassini. La prova di Obie Flett al microfono, lontana dai pig squeals che aveva sfoggiato in particolare sul self-titled Pathology, è costante e senza scossoni ma tutto sommato ben integrata con la continua aggressione perpetrata dalla sezione strumentale. Unholy Descent è un lavoro molto omogeneo, ma curiosamente la band sembra aver concentrato i rari momenti più melodici e d’atmosfera all’inizio e alla fine del disco, con l’intro orchestrale e i cori che rompono la tensione nel mezzo di Cult of the Black Triangle a conferire un’aura di mistero alla musica, e i brevi e sorprendenti intermezzi malinconici di Apostles of Fire e A World Turned to Ashes. Per il resto dei brani, tutti concisi ma intensi, ci si ritrova sotto una pioggia costante di blast-beat, doppia cassa e riff quasi sempre azzeccatissimi e davvero per tutti i gusti, da quelli più lenti e “chugging”, a quelli più intricati e tecnici, fino alle bordate violentissime in tremolo in classico stile brutal. Le ritmiche sono talmente incalzanti che anche lo spazio dei breakdown è ridotto all’osso, e se ne possono rinvenire tracce sporadiche solo in Psychotronic Abomination e Archon. Qualche spiraglio di atmosfera compare anche in Summon the Shadows e Whispers of Djinn, che con i suoi accordi epici e oscuri vuole riprendere le ambientazioni occulte dell’opener. Il lavoro solista pur non essendo forse ai livelli di ispirazione di Reborn to Kill, si dimostra sempre all’altezza e soprattutto vario: si passa dagli assoli più lenti e melodici di Diabolical Treachery o della già citata Apostles of Fire (forse tra le migliori del lotto) a quelli più cervellotici come in Demons in the Aaether o, ancora, a quello di Psychotronic Abominations che è una sorta di compromesso fra i due approcci.
Unholy Descent è dunque un disco solido e ben congegnato, con pochissimi cali di tensione e una buona varietà di soluzioni nonostante per la maggior parte dei brani la facciano da padrone violenza e velocità incontrastate. Gli inserti melodici, centellinati nella giusta misura, si dimostrano piacevoli e donano profondità ai brani, e seppure non siano così organici al sound come nei lavori immediatamente precedenti, trovano perfettamente il loro posto all’interno dell’impalcatura messa su dai Pathology. La band californiana conferma di aver ritrovato la giusta ispirazione e fa un ulteriore passo in avanti anche rispetto al penultimo The Everlasting Plague, puntando su uno stile snello, efficace ed immediato ma non ruffiano. Vista la qualità di alcune uscite recenti non sarà certo il disco brutal dell’anno, ma Unholy Descent regala una quarantina di minuti di ferocia a cui è difficile resistere.
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Album davvero ben confezionato, questa volta i Pathology hanno fatto centro. Già il precedente mi aveva convinto, con questo confermano, migliorano e tirano a lucido la proposta. Il bello dei Pathology è che ogni volta aggiungono un piccolo tassello e tutti gli album pubblicati finora hanno servito ad arrivare a questo punto con molti brutti album, altri mediocri e altri ottimi. La patologia dei Pathology: non ne hai mai abbastanza! Voto 75 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Intro 2. Cult of the Black Triangle 3. Hermetic Gateways 4. Psychotronic Abominations 5. Summon the Shadows 6. Whispers of the Djinn 7. Archon 8. Malevolent Parasite 9. Diabolical Treachery 10. Demons in the Aether 11. Punishment Beyond Comprehension 12. Apostles of Fire 13. A World Turned to Ashes
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Line Up
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Obie Flett (Voce) Daniel Richardson (Chitarra) Richard Jackson (Basso) Dave Astor (Batteria)
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