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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Arch Enemy - Blood Dynasty
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01/04/2025
( 2593 letture )
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Non è difficile immaginare occhi di molti rivolgersi al cielo alla sola lettura del monicker Arch Enemy: una band che negli anni, pur diventando una delle band metal più in vista, ha spesso lasciato per strada molti fan della prima ora. Tra chi ha rifiutato in toto il corso post-Burning Bridges, chi ha riconosciuto tanti, troppi cali d’ispirazione negli anni, chi li accusa di riciclare sempre gli stessi riff, le stesse idee e chi semplicemente non ne gradisce l’iconografia e lo status di “superstar” del metal estremo, le critiche al combo svedese non sono mancate, quindi. Critiche spesso giustificate, certo, ma che in qualche modo non hanno impedito alla band di crescere notevolmente di visibilità: lo stile orecchiabile e l’aspetto accattivante catturano evidentemente larghe fette di pubblico, che quindi, contrariamente a chi avrà alzato gli occhi, attendevano con trepidazione anche l’ultima fatica del quintetto.
Eppure forse le previsioni più negative sono pronte ad essere disattese: Blood Dynasty, tredicesimo disco di Amott e compagni, fin dalle prime note appare un disco diverso e soprattutto migliore rispetto ai precedenti. Certo non sono avvenute rivoluzioni in casa Arch Enemy, si punta sempre su una formula diretta, di facile approccio, ma sono state un po’ rimescolate le carte in tavola: se Deceivers poteva apparire come un disco non malvagio ma non troppo ispirato, poco dinamico e spesso impantanato nei mid-tempos, l’ultimo disco degli svedesi si presenta più fresco, ricco di soluzioni, e soprattutto senza paura di spingere sull’acceleratore della velocità e della violenza sonora per ben bilanciare gli aspetti più melodici e catchy. Già la produzione suona più nitida, potente e aggressiva, perfettamente equilibrata tra tutti le componenti strumentali e vocali, ma il resto lo fa un songwriting decisamente più affinato e meno generico che in passato. Uno switch positivo e per molti versi sorprendente che in realtà non si può neanche spiegare con l’avvicendamento tra Joey Concepcion e Jeff Loomis visto che la totalità dei brani rimane a firma Amott – Erlandsson, ma che si può avvertire fin dai primi minuti di Dream Stealer, singolo in verità già da mesi nelle cuffie di molti appassionati. L’intro orchestrale viene presto bruscamente interrotta da un pezzo veloce, cattivo, in cui i riff e le ritmiche si alternano eccezionalmente e che riserva un refrain trascinante, il migliore dell’intero lotto, giustificando così la scelta della band di selezionarlo come teaser. Illuminate the Path, più nervosa e meno memorabile, lascia poi spazio a March of the Miscreants, che torna a variare le atmosfere con un incipit death duro, quadrato, per poi evolvere con un bel ritornello e una seconda parte ricca di cambi di tempo e sezioni alcune melodiche e altre più tirate. Trainata ancora una volta dal riffing in tremolo e palm muting, segue poi A Million Suns, melodica e dall’anima tragica, prima che Don’t Look Down irrompa con il suo impeto tipicamente thrash-death. Dopo Presage, breve intermezzo di violoncello, si apre dunque la seconda metà del disco che viene introdotta proprio dalla title-track, mid-tempo accattivante costruito su un riff semplice ed immediatamente memorizzabile. Paper Tiger è invece praticamente un pezzo heavy metal classico cantato in stile estremo, che sembra opportunamente piazzato prima della cover di Vivre Libre della cult band francese Blaspheme. Due pezzi che danno varietà alla formula ma che spezzano un po’ una tensione che spetta a The Pendulum ricomporre con il suo riff portante caratterizzato da un stop n’ go accompagnato dalla doppia cassa tanto immediato quanto irresistibile. La chiusura affidata a Liars & Thieves è quasi un compendio dell’intero disco, in cui convivono con successo l’anima thrashy e quella melodica e catchy, grazie ad una ritmica coinvolgente, belle linee vocali in clean e il solito bel soloing della coppia Amott - Concepcion, prima di chiudersi come era cominciata con un riff epico e maestoso.
Blood Dynasty, dunque, non è il “solito” disco degli Arch Enemy. Se infatti da una parte la band chiaramente non ha rinunciato a quello che è il suo trademark sound da decenni, dall’altra si è presentata con un’inaspettata freschezza e dando vita a quello che è forse il loro lavoro migliore dai tempi di Rise of the Tyrant e senza dubbio il loro apice da quando c’è al microfono Alissa White-Gluz. I riff e gli assoli potranno essere gli stessi a cui siamo stati già abituati, ma a questo punto della carriera l’obiettivo di Amott e soci, per loro stessa ammissione, è solo quello di produrre musica di qualità, senza inventare nulla di nuovo. L’obiettivo è stato quindi raggiunto, grazie ad un album che si fa piacere, che non disdegna qualche replay e che quindi rilancia anche le ambizioni discografiche di una band che negli ultimi anni era forse diventata più rilevante per la sua massiccia presenza in live e tour. Anche chi li avesse smessi di seguire da Wages of Sin, quindi, dia una chance a Blood Dinasty, potrebbe non essere troppo tardi per riapprezzare il quintetto svedese. Se invece siete stati fan anche del più recente corso della band, questo disco sarà letteralmente pane per i vostri denti.
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Il precedente album mi era piaciuto, questo molto di meno. Speravo che Alissa cantasse di più in pulito, in modo da aprire nuove strade al gruppo rispetto al solito sound, ma invece niente, continuano per la loro strada. Per me album discreto, spero in un qualcosa di diverso in futuro. |
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Io continuo a dire che è una cantante monocorde. Non me ne faccio niente delle capacità tecniche se poi uno non scrive delle linee vocali originali e accattivanti. Sono tutte uguali le sue performance. Comunque, ho dato un ascolto oggi pomeriggio e ho sentito quello che mi aspettavo: solito disco alla Arch Enemy, pieno di fan service, con pezzi ultra generici e tutti uguali tra loro. Le soluzioni black mischiate al classic metal poi le trovo forzose e fanno un contrasto orrendo; certe volte sembra di sentire due canzoni diverse in un unico brano. Voto 30 perchè non è possibile dare 0. Ma il problema del metal odierno ovviamente sono le band che sperimentano tipo i Spirtbox, i Sleep Token o i Jinjer. Ceeeeeerto... |
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Vabbè prima o poi questa mentalità tra i metallari finirà (poser, true, che ridere) |
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@jack, infatti. Validità della band inversamente proporzionale alla figaggine di Alissa, una cantante straordinaria, ma anche una poser superficialotta senza particolari doti artistiche, un po\' come la Scabbia (che è anche scarsa). |
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Se le meritano tutte le prese per il c.... una band di fenomeni da baraccone. |
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hanno dedicato un post in quel blog del cavolo a questa band pieno di pregiudizi e prese per il c..o |
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I tizi di metal skunk (aka metal shock) come al solito i soliti simpatici che non fanno ridere nessuno. |
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Mai piaciuti dopo la dipartita di angela gossow (se cosi si scrive)... li avevo proprio persi di vista e non sapevo fossero ancora all\'attivo....un ascolto lo farò ma nulla più.... |
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Personalmente ho apprezzato molto l\'idea di cercare strade nuove: Vivre libre e\' meravigliosa!! Pero\' ci sono pochi pezzi che mi fanno dire: WOW!!! E li adoro da sempre! Preferisco comunque altri album. |
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Commento 12: Purtroppo no, magari avessi sbagliato recensione! Quoto commento 14
Ovviamente è solo il mio parere, per me album monotono e totalmente privo di spunti interessanti. Poi ognuno giustamente percepisce il contenuto a modo suo. |
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Ma come cazzo si fa dare 73 a black earth e 80 a sto schifo di disco con riff ultra riciclati ??????? |
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Rispetto ai lavori precedenti,pur non essendo un capolavoro(non posso certo pretendere un nuovo Burning bridges da una band \"anziana\")
E\' un deciso passo avanti...i pezzi sono meno scolastici,piu\' curati e finalmente la Gluz si cimenta anche con il pulito. |
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12
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Questo qui sotto o ha sbagliato recensione o non ha ascoltato neanche un pezzo dell\'album |
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IO A QUEL VOTO DI RECNESIONE TOGLIEREI LO ZERO!!!.PER ME DISCO PESSIMO ED INCONCLUDENTE.NOIA MORTALE. MIA OPINIONE OVVIAMENTE |
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10
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Sono riusciti evolvendosi e cambiando spesso pelle ad aumentare la fanbase, hanno rischiato più volte e gli è andata bene. |
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9
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Ogni riferimento ad Adam and the Ants é puramente casuale...awww i passati decenni senza l\'ombra di alcun poser o metallaro di plastica... quanta nostalgia... |
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8
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Sex music for Ant people, Ant music for sex people. |
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7
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Die errori di trascrizione...corretti  |
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6
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Abbott, John Loomis, Ammott ... ma insomma 🙄 🤣🤣 |
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Lo so bene che i voti non cambiano, la mia era una polemica volutamente provocatoria. A te il disco è piaciuto, bene, a me no per vari motivi, voci secondo me a volte filtrate, clean vocals che non sopporto nel genere, poi i cori... certo che loro sono dei gran musicisti e strumentalmente niente da dire. Alla fine non credo lo riascolterò. |
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@lambruscore: so che fa strano anche solo visivamente però non si possono condizionare i voti di tutto il resto della discografia per un voto un po\' \"fuori scala\". Tra l\'altro la recensione in questione per quanto non condivisibile nelle conclusioni mi sembra corretta nell\'analisi quindi purtroppo quel numerino lì credo rimarrà. |
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2
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Semplicemente sontuoso, album che spacca!! Clean e growl di qualita\', batteria mostruosa, chitarre ritmiche da sballo e assoli da paura in un mix vertiginoso. Qui ci sono veri artisti in ogni strumento. E poi c\'e chi si esalta per quel ridicolo scempio dei Linkin Pakk!! Mah!! |
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Ok, 80 a questo qua e 73 a Black Earth, lo so che il recensore non è lo stesso, però la polemica io la faccio e adesso giù legnate al povero Lambru  |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Dream Stealer 2. Illuminate the Path 3. March of the Miscreants 4. A Million Suns 5. Don't Look Down 6. Presage 7. Blood Dinasty 8. Paper Tiger 9. Vivre Libre 10. The Pendulum 11. Liars & Thieves
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Line Up
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Alissa White-Gluz (Voce) Micheal Amott (Chitarra, Cori) Joey Concepcion (Chitarra) Sharlee D'Angelo (Basso) Daniel Erlandsson (Batteria, Tastiera)
Musicisti ospiti Ricardo Borges (Cori) Johan Martin (Cori) Jens Bogren (Cori) Francesco Ferrini (Tastiera, Orchestrazioni) Raphael Liebermann (Violoncello)
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