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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Ross the Boss - Hailstorm
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( 3979 letture )
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Epico, glorioso, imponente, ma anche classico e lineare, assolutamente conforme allo stile risalente al periodo d’oro del metal anni Ottanta, sponda heavy. No, non sto parlando di una nuova uscita discografica dei Manowar, anche se ci siete andati molto vicini. Si tratta infatti di Hailstorm, il nuovo album firmato Ross the Boss, conosciuto ai più proprio per essere uno dei fondatori dei sovracitati Manowar (band nella quale restò fino al 1988, dopo l’uscita del masterpiece Kings of Metal), e giunto oggi alla sua seconda fatica da solista. Il suo esordio in queste vesti risale infatti al 2008, con l’album New Metal Leader -e già mostrava una forte volontà di non discostarsi né per stile né per idee dalla band madre- che riuscì fin da subito a riscuotere un ottimo successo di critica e pubblico. Due anni dopo ci troviamo dunque di fronte ad un nuovo lavoro, in tutto e per tutto conforme ai precedenti album segnati dall’inconfondibile marchio di Ross Friedman, e che già dal titolo ci preannuncia quella che sarà la “tempesta” metallica con la quale ci apprestiamo ad appagare la nostra sempre rinnovata voglia di buona musica.
La produzione si mostra degna del compito, i suoni risultano perciò perfettamente calibrati tra loro, ed ogni strumento risaltato a dovere. Per quanto riguarda l’attuale formazione, capitanata dal leader delle sei corde Ross Friedman, non aspettatevi di trovarvi di fronte a nomi di spicco della scena mondiale. Non per questo ci si può però permettere di tralasciare con poco ritegno i restanti tre componenti senza averne evidenziate le singole qualità. Alla voce Patrick Fuchs svolge molto bene il proprio dovere, pur senza destare particolari emozioni; non è Eric Adams, e forse mai gli si avvicinerà in quanto a resa sonora, ma non mi sento di rimproverargli alcunché. È comunque opportuno mettere da parte certi paragoni per evitare di dare all’album un’impronta di “spin-off” (permettetemi il termine cinematografico) dei Manowar, cosa che poi di fatto non è. La sezione ritmica impostata da Carsten Kettering al basso e Matthias Mayer alla batteria rende assoluta giustizia a quei suoni tanto power e allo stesso tempo tanto classicheggianti creati dalla chitarra, sostenendo tempi ora accelerati, ora più lenti e soffusi. Da un punto di vista più generale si fa notare l’assenza di brani dalla notevole lunghezza (nessuno supera i sei minuti, a parte Empire’s Anthem, con una durata complessiva di sei minuti e diciotto secondi), oltre al fatto che la canzone che -a mio parere- più di tutte risalta appieno melodie epiche sia curiosamente una traccia strumentale, Great Gods Glorious: forse che per avere una linea vocale adatta sarebbe stato più utile un nome di più alto livello dietro al microfono? Certo, potrei sbagliarmi, aver frainteso totalmente le intenzioni della band (è anche probabile infatti che si tratti di una soluzione del tutto priva di stratagemmi volti a nascondere i limiti umani del cantante, perché no?), ma per sicurezza lascio a voi giudicare tale scelta.
Arrivati a questo punto ritengo che una più attenta analisi (strettamente musicale) sia dunque necessaria, così da fugare ogni dubbio sul reale contenuto di Hailstorm, che è poi ciò che più di ogni altra cosa ci interessa. Ma prima permettetemi un appunto sull’artwork: per coloro che abbiano presente quello del precedente New Metal Leader vorrei proporre un giochino: sapete scovare in breve tempo le dieci differenze tra le due copertine? Come dite? A parte il colore di sfondo (nella prima rosso, nella seconda blu), la posizione simmetrica dell’aquila (nella prima è rivolta a destra, nella seconda a sinistra), e i personaggi in basso (legati entrambi ad un contesto bellico, ma con maggior rilievo nel primo album) non siete riusciti a trovarne altre? Beh, non preoccupatevi, perché se è per questo neppure io ci sono riuscito. “Alla faccia della creatività!” direbbe qualcuno. Quest’annotazione non vuole essere più di tanto una critica negativa, in quanto in entrambe le copertine si percepisce un’aura di epicità molto avvincente e pregevole, per cui vedetela solo come una piccola curiosità in ambito puramente estetico, e nulla più.
Come accennato prima, l’unica traccia strumentale è Great Gods Glorious, situata nella seconda metà del disco, che ci mostra senza mezzi termini cosa significhi suonare epic metal al giorno d’oggi; il tempo sembra essersi fermato, quasi a simboleggiare l’immortalità di certe tematiche. Questo brano lo si può inoltre leggere come il sunto ideale dell’album, aiutato oltretutto proprio dall’influsso di onnipotenza e magniloquenza che i cosiddetti “dei gloriosi” hanno sempre rivestito nel mondo della musica. Restando sul sentiero principale (quello delle canzoni migliori), bisogna citare innanzitutto la grandezza di un brano del calibro di Behold the Kingdom, trascinante e dai toni altisonanti, con melodie perfettamente calibrate ai ritmi imponenti di batteria e basso, e per la quale il mio giudizio più che positivo è altamente influenzato dalla magia ammaliatrice della chitarra di Ross Friedman. Magia che torna grande protagonista in almeno altri due pezzi, ossia Among the Ruins, con quel suo ritmo lento e cadenzato che ci trasporta in una realtà da sogno, una realtà che ci rimane impressa nella mente grazie ad un uomo capace di trasmetterci i suddetti sogni e di farceli vivere in prima persona col solo ascolto della sua arte. Maestria pura. La quarta canzone a meritarsi un giudizio ben al di sopra delle aspettative è la conclusiva Empire’s Anthem, che, unendo alla sempiterna maestosità un’apprezzabile componente melodica, rende giustizia all’idea di band che ha in mente il nostro Ross Friedman. Piacevolmente ascoltabili le rimanenti canzoni, incentrate tutte sulla stessa concezione heavy/epic a cui accennavo prima, ma senza particolari episodi capaci di colpire tanto quanto il resto del lavoro. Una menzione va comunque fatta alla carica esplosiva di Kingdom Arise e di Hailstorm, che fanno di un’aggressiva e tagliente potenza di suono la principale via d’ispirazione.
Alla luce di ciò, penso che questa nuova uscita discografica non dovrebbe faticare troppo a riscontrare una giusta dose di consensi dalla critica, e non soltanto per il monicker Ross the Boss che non può far altro che riportarci coi ricordi al periodo migliore dei Manowar, ma anche per i suoi reali contenuti. Uno stile assolutamente classico, finalizzato a mantenere innalzata sempre e comunque la bandiera dell’heavy metal nei nostri cuori.
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4
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Un Bel dischetto che ho ascoltato molto volentieri e concordo con metalhammer . |
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3
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Trovo i commenti molto "cattivi" verso Ross The Boss e la sua band: il disco non è semplicemente una "scopiazzatura" del sound ottantiano dei vecchi Manowar (dato ke dopotutto tale sound è stato creato dallo stesso Ross Friedman qnd era chitarrista e cofondatore della gloriosa formazione Epic Metal), ma un aggiornamento in salsa moderno dei riff sperimentati nei vecchi album del gruppo newyorkese. Nn dimentichiamoci che l'album ha un "retrogusto" rock n'roll e vagamente Hard Rock dati i trascorsi di Ross nei Dictators. Leggetevi l'intervista rilasciata da Ross sul MetalHammer, n. 12, dicembre 2010, p. 58, e capirete qll che vi dico. Hail and Kill a tutti!!!! |
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2
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Mahhh... ho ascoltato una Traccia e non sono neppure riuscito a finire quella... sicuramente ci sarà chi ne andrà pazzo (d'altra parte i gusti non si discutono)... personalmente lo ritengo un lavoro abbastanza inutile... e condivido il pensiero di ixo...!!!! |
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1
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Non so come sia dopo, ma fino alla quarta canzone ho fatto il coro anch' io con i miei sbadigli e il cd ne ha guadagnato.. mi pare assurdo nel 2010 uscire ancora con questi pezzi d' antiquariato.. voto 60 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. I.A.G. 2. Kingdom Arise 3. Dead Man’s Curve 4. Hailstorm 5. Burn Alive 6. Crom 7. Behold the Kingdom 8. Great Gods Glorious 9. Shining Path 10. Among the Ruins 11. Empire’s Anthem
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Line Up
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Patrick Fuchs - Voce Ross the Boss (Ross Friedman) - Chitarra Carsten Kettering - Basso Matthias Mayer - Batteria
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