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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Lazarus A.D. - The Onslaugt
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( 3272 letture )
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C'è stato un periodo, soprattutto nella prima metà degli anni 2000, nel quale la risalita del thrash era stata iniziata da band che riprendevano a piene mani dalla tradizione, stratificando i canovacci classici e gli stilemi consueti del genere in una direzione estremistica quasi votata al death, con pesanti voci growl e modernismi eccessivi. Questo andazzo s'era ripetuto con tale frequenza da generare in molti la convinzione che il thrash moderno passasse inevitabilmente per questo transito, mentre invece il revival che di lì a poco avrebbe riportato in auge le sonorità più ottantiane avrebbe smentito questa teoria; a suggellare la celebrazione del thrash d'annata ha contribuito anche The Onslaught degli inglesi Lazarus AD, un disco dotato di un'energia straripante e di un'attitudine tradizionalista considerevole, pur se mantenuta moderna e fresca grazie ad una produzione d'avanguardia. Provenienti da Kenosha, nel Wisconsin (USA), questi ragazzi si sono formati nel 2005 e proprio con l'indipendente The Onslaught debuttano sul mercato discografico, a seguito di un demo datato 2006, mettendosi alla ricerca di un contratto che li possa proiettare nell'elite del panorama thrash internazionale. Gli attributi non mancano, così come una ricca gamma di riff, guitar solos e sezioni complementari da dare in pasto agli affamati del thrash old school, compattato e metallizzato da una potenza attualissima e ridondante. Questa ultima considerazione aiuta a tracciare un netto distinguo tra due differenti strade attraverso le quali perpetuare una tradizione antica e cementata nel corso dei lustri, come quella del thrash metal: da un lato, infatti, ci sono le band che ripropongono pedissequamente la ricetta old school, così come la si sciorinava vent'anni indietro, mentre dall'altro compare un cospicuo nugolo di esponenti più innovativi, che non rinuncia a tenersi al passo con i tempi e sfodera soluzioni più moderne, non tanto nel riffing quanto nella produzione, nella qualità dei suoni, nella potenza in sé e nella violenza della sezione ritmica, certamente più devastante di un tempo.
Il sound della band americana trova il suo nucleo centrale in articolate e devastanti parti strumentali, nelle quali le trame intricate e il solismo di Alex Lackner la fanno assolutamente da padroni, concedendo al platter una polidimensionalità ed uno spessore tecnico notevole. Le mazzate adrenaliniche scaturite dalle sei corde nella sezione solista, fulminee, incendiarie ma non dissonanti -quanto, anzi, dotate di una propria ruggente melodia- sono il fiore all'occhiello di un album tirato, potente, esplosivo e devastante. Le radici di tali strutture, assai affascinanti, vanno a ricercarsi addirittura nelle cristalline sferzate maideniane, col risultato di un connubio invitante di estremismo e armonia sonora. A fronte di ritmiche e melodie serrate e avvolgenti, spicca il raschiato vocalism di Dan Gapen, forse il punto 'debole' del lavoro pur essendo dotate di un'aggressività pazzesca: discrete, stentano a trascinare veramente fino all'headbanging, non essendo dotate -salvo in qualche caso sporadico- di refrain melodici particolarmente memorabili, o da cantare in coro. Come detto, è la struttura dei singoli pezzi a colpire e lasciarsi piacere ogni volta di più: album di tosta assimilazione, che va ascoltato più e più volte per essere ben recepito dall'ascoltatore, anche quello più rodato. A collegare il tutto ci pensa la sezione ritmica incalzante e tellurica, sostenuta dietro le pelli da Ryan Shutler, un vero martello pneumatico quando bisogna sferrare poderosi attacchi attraverso le ritmiche esagitate del classic thrash, rivisitate con una produzione stellare, una pulizia del suono elevata ed una dinamicità -quella sì- molto moderna. tre quarti d'ora scarsi di durata e una decina di tracce omogenee e ugualmente valide sono quanto basta per apprezzare il muro sonoro che collide con le teste degli headbangers, a velocità pazzesca, nelle intenzioni ben ottenute dei Lazarus AD, per un disco destinato a riscuotere più consensi che dissensi, da parte della critica specializzata e dei fans del caro vecchio thrash, nel momento della sua rinascita. Sarà molto interessante seguire anche le evoluzioni future di questa formazione, per poter capire se veramente essa potrà consacrarsi ai vertici del movimento e durare più di una sola stagione: la fenomenologia contemporanea, infatti, prevede frequenti casi di promesse mancate, che dopo un esordio col botto hanno fatto perdere le proprie tracce o, peggio ancora -se vogliamo- hanno iniziato a rimbalzare senza senso apparente in un tourbillon di generi, focalizzato più su una volontà di cavalcare l'onda del momento piuttosto che sulla necessità di seguire una genuina e naturale evoluzione stilistica.
Veniamo dunque al corpo centrale che va a costituire l'essenza dell'album, ossia la disamina delle migliori tracce componenti la tracklist. L'opener Last Breath è una scossa immediata dalle bordate lancinanti, che subito lascia intendere il tasso di possenza, rapidità e furia che permea delle composizioni eccellenti anche dal punto di vista tecnico, come detto ampiamente in precedenza; tuttavia è difficile individuare un pezzo capace di spiccare su tutti gli altri presenti nella tracklist: abrasive, fulminee, le canzoni sono delle vere e proprie scariche di adrenalina, infarcite di cambi di tempo, riff in quantità ed assoli sferzanti, come nel caso di Damnation For The Weak o della titletrack (articolata in due diversi capitoli): esempi chiari che danno l'idea di un album (ed un sound) completo e maturo, con l'attenzione che resta sempre, decisamente, marcata sulla musica più che sulle vocals. Forged In Blood, Absolute Power o Who I Really Am non fanno che confermare questa tendenza glaciale ed intransigente, garanzia terremotante ed inscalfibile. Disco che merita di essere ascoltato, nel quale l'alta velocità coniuga potenza letale e tecnica ineccepibile. Senza voler necessariamente infarcire le proprie sonorità di cliché rimandi alle decadi passate, i quattro del Wisconsin riescono a sfornare un prodotto che sintetizza molto bene le peculiarità del thrash old school mantenendo però i piedi nel presente e non limitandosi ad un mero esercizio di copiatura. Personalità, idee, capacità tecnica e songwriting sono delle frecce evidentemente presenti nella faretra di questa realtà.
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5
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Piccolo appunto: nel titolo manca una "h". Onslaught. Comunque questo gruppo non mi dispiace, ci sanno fare col genere. |
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4
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semplicemente spaccano!!! |
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3
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Comprato recentemente, secondo me è un ottimo album. Ascoltando pezzi come Last Breath, Thou Shall Not Fear, Absolute Power e Who I Really Am è impossibile non sbattere la testa. Voto 75 |
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2
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Ho ascoltato solo Last Breath, che è un vero e proprio calcio nel culo....approfondirò molto volentieri |
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1
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DIO SANTOOOOOOOOOOOO MANCO UN COMMENTO SOTTO UNA BAND CHE FA IL CULO A 1000000000000000000 ALTRE CHE SCOPIAZZANO QUA E LA ?XD |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Last Breath 2. Thou Shall Not Fear 3. Damnation For The Weak 4. Every Word Unheard 5. The Onslaught Pt. 1 6. The Onslaught Pt. 2 7. Lust 8. Forged In Blood 9. Absolute Power 10. Who I Really Am
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Line Up
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Dan Gapen (Chitarra, Cori) Alex Lackner (Chitarra) Jeff Paulick (Basso, Voce) Ryan Shutler (Batteria)
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RECENSIONI |
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