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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 10545 letture )
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Un sussurro predice l’esplodere di un coro pulito, epico, che introduce la mente ad una natura autunnale, in deciso declino, mentre il cielo si colora di venature cremisi. Ebbene questi sono gli Agalloch, quartetto americano dalle solide basi doom, unici, metafisici, atmosferici. Capitanati dal chitarrista e cantante (nonché autore della quasi totalità delle tracce) John Haughm, nel lontano 1999 si affacciarono sul mercato discografico, dopo un serie di demo, con il loro Pale Folklore, summa della loro personalissima idea di musica.
Articolato in otto parti, ognuna necessaria alle precedenti, grazie ad un legame intrinseco, Pale Folklore si presenta come un solidissimo disco, sostenuto da classe, tecnica, freschezza, inserendosi in punta di piedi in un mercato praticamente saturo. Inclassificabile sotto un’asettica etichetta di genere (dark folk?), contribuirà a mettere le basi per quel movimento, denominato neo-folk, esploso alle porte del XXI secolo. Produzione eccellente, pulita, con particolare attenzione a far risaltare le partiture acustiche che, bisogna ammetterlo, in numerose proposte suonano eccessivamente plastiche, dando la sensazione sgradevole che siano state incise utilizzando un simulatore elettronico di acustica, invece che una chitarra vera e propria. Unico appunto, che verrà ampliato nel prossimo paragrafo, la decisione (forse obbligata) di penalizzare eccessivamente la sezione ritmica, a cui presiede il factotum John Haughm. Registrato senza un vero e proprio batterista di ruolo, le percussioni vengono percepite -al di là della connotazione tribale- effettivamente oltremodo distanti, quasi come se fossero un elemento di secondo piano rispetto agli altri strumenti. Chi avrà avuto modo di procurarsi l’ultimo disco dei ragazzi dell’Oregon (Marrow Of The Spirit, del 2010), con Aesop Drekker ai tamburi, comprenderà all’istante questa mia considerazione. Le chitarre invece, figlie di una formazione decisamente post-rock (di cui gli USA sono terra fertile) si cimentano in pochi, scarni riff arricchiti da suadenti arpeggi acustici, i quali richiamano nella struttura, la scuola della ripetizione finlandese (Wyrd su tutti), modificati giusto in una nota o due ad ogni giro. Non mancano inoltre momenti maggiormente violenti, senza però sfociare in ritmiche possenti tipiche di generi meno riflessivi. Notevole la parte solistica, interpretata da Don Anderson, mai invasiva, occupata ad intessere suggestivi arabeschi. Da segnalarsi anche l’utilizzo di accordature ribassate di due toni, accorgimento tecnico presente in dose massiccia nel successore Ashes Against the Grain. L’insieme è sostenuto da un basso pulsante, deciso, che non segue pedissequamente la batteria, permettendo di apprezzare le variazioni di ritmo, e di conseguenza di emozioni, che si susseguono durante l’ascolto di Pale Folklore. A chiudere il cerchio si erge la voce, in perpetuo transitare fra scream sussurrato, marchio di fabbrica degli statunitensi, che suona come una cantilena proveniente dai recessi d’una foresta antica, e cantato pulito, il quale tocca sovente le vibrazioni epiche, risultando una delle migliori intuizioni dell’intera proposta.
Terminata l’analisi tecnica, concentriamoci sulle tracce in sé. Dopo un leggero stormir di foglie ci ritroviamo immersi nei venti minuti di She Painted Fire Across the Skyline, suite tripartita, la quale, costruita attorno ad un’intro dal sapore ipnotico, si snoda senza cali d’interesse, fedele ai suoi accordi minimali, catturando l’ascoltatore in un’atmosfera drammatica, malinconica, a tratti addirittura Romantica. Successiva alla suite la strumentale The Misshapen Steed, rievocante paesaggi sublimi, ricoperti di bruma mattutina. Le altre quattro tracce, invece si snodano secondo uno schema più canonico, mettendo a nudo in maniera più evidente le modalità compositive dei nostri, e come suggerito prima, si notino come tralasciando l’impatto emotivo, esse si basino attorno ad un’attenta scelta di riff continuamente in evoluzione nelle loro parti più piccole, non intaccando lo scheletro della canzone. Queste variazioni si articolano nell’intenzione di avvicinarsi al continuo mutamento in atto nella Natura, elemento che denota l’indissolubile legame fra gli Agalloch (specialmente il frontman) e le teorie di stampo etenista (dall’inglese "heathen", ossia pagano). Paragrafo a parte sento di dover dedicare alla chiusura, affidata a Melancholy Spirit, dodici minuti di intensa, disarmante semplicità, dinnanzi chiunque, musicista e non, dovrebbe tributare omaggio. Aperta dalla stessa brezza che ammantava di atmosfere decadenti le porte di Pale Folklore, da una chitarra leggermente effettata, impegnata in un arpeggio, regala una perla di insuperabile bellezza. A tal punto che mi ritrovo privo di parole adatte a descriverla.
Giudizio sintetico: gli Agalloch sono una delle band, a ragione, di maggior spicco degli ultimi anni. Pale Folklore è il primo e decisivo passo verso una consacrazione annunciata. Certamente un disco che incontrerà il giudizio positivo anche di chi non si diletta propriamente nelle sonorità estreme, rappresentando un prodotto fruibile ad un pubblico vasto, diviso fra chi è alla ricerca di sonorità tranquille, e chi invece vuole semplicemente abbandonarsi alle visioni maestose della Natura nel suo massimo splendore. In conclusione, soprassedendo ad alcune ingenuità che non necessitano di approfondimento, in quanto figurano nelle vesti di note a margine, Pale Folklore può fregiarsi del titolo di “Prodromo ad un capolavoro”.
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VOTO LETTORI
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87.14 su 128 voti [
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27
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Eh già... album e gruppo meravigliosi. |
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Questo album è un capolavoro, una perla di rara bellezza. |
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Uno spartiacque nel BMdi matrice folk.Semplice quanto emozionante,è un disco pregno di magia autunnale.Il mio preferito con The Mantle. |
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24
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Dopo aver ascoltato tempo fa Ashes.. che mi era piaciuto ma alla lunga mi stancava, non tanto/solo per la lunghezza, ma per Brani che ripetevano melodie "all'infinito", ho voluto avere materialmente un loro Album a casa ed ho scelto, complice il Voto, il loro Debutto.. Pienamente soddisfatto! La durata più o meno è uguale ma c'è una Intensità di fondo che fa sì che le Composizioni siano fluide.. Anche nelle parti lente non riscontro prolissità o pleonasmi.. La Batteria aiuta a mantenere desta l'attenzione e anche la Chitarra non si incanta su uno stesso giro per minuti ma è molto varia con tanto di alcuni Assoli che scuotono l'Ascoltatore.. Lavoro fantastico! |
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23
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Un disco stupendo. Musicalmente semplice, ma molto ispirato e atmosferico. Una piacevole scoperta. |
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Prima perla sulla lunga distanza di una straordinaria carriera, fatta di Musica con la M maiuscola.
Geniale mix tra aggressività e melodia, impreziosito dalla particolare voce di John Haughm, azzeccatissima quanto suggestiva per il genere proposto.
Agalloch: per pochi, non per tutti. |
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21
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The melancholy spirit è una perla |
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20
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Album stupendo! Halllways Of Enchanted Ebony su tutte ma nemmeno le altre scherzano! |
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Spettacolari, album da pelle d'oca |
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Stupendo. Il loro miglior album. voto: 89 |
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Fantastico! Catapulta l'ascoltatore in paesaggi naturali fantastici senza,però, cadere nel (con tutto il dovutissimo rispetto, tanto di cappello) "trve northern dark winter" che ormai il 99 % delle band folk ambient hanno fatto loro stendardo. |
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16
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veramente un bellissimo album!! |
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Album pazzesco, è davvero arduo mettere gli album degli Agalloch in classifica, sprigionano tutti un'intensità emotiva particolare |
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Disco unico e speciale. |
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il capolavoro della band |
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Io considero questo disco il vero capolavoro della band. La suite She Painted Fire Across The Skyline è qualcosa di magnifico (spettacolare lo stacco quasi recitato all'inizio della parte tre) e Hallways Of Enchanted Ebony mi scioglie il cuore ad ogni ascolto... |
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11
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Per me gli Agalloch hanno fatto meglio solo con The Mantle che ritengo il migliore della loro discografia, tuttavia gli altri tre sono capolavori assoluti |
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10
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Sì mi riferivo al mondo metal. Io stesso scoprì un certo tipo di fare musica partendo da questo disco. Certo il neo-folk propriamente detto parte molto prima, ma ripeto per tanti gli agalloch sono stati fondamentali nello sviluppo in ambito metal di queste particolari sonorità. |
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9
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To bathe in the blood of...man... bathe in the blood of...man... bathe in the blood of man...kind!!! disco fuori categoria, voto 1000. |
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8
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Giasse: ah, ok, allora il ragionamento ci sta. Però quella frase rischia di essere un po' fraintesa, in tutta sincerità. Mio voto al disco 85/100 (che, come già detto altre volte, per me è un voto altissimo, sono poche le volte che vado oltre l'85 e quasi mai sopra al 90). |
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7
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@Giasse: ahahah; vedro' che si può fare! Qua il movimento metal e' particolarmente vivo... ma anche particolarmente nascosto Vi terrò aggiornati! |
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@Valar Morghulis: dalla cina? Dai, facci un po' di scouting e segnalaci qualche novità locale...  |
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@enry: il contributo di cui parla Ahti è riferito al mondo metal. è un disco che ha contribuito a diffondere il neo-folk tra i metallari. Io stesso ricordo di essermi interessato ad altro proprio partendo dagli Agalloch  |
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4
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Finalmente e' stata fatta la recensione di questo disco, che io non solo reputo il capolavoro assoluto degli Agalloch, ma anche uno dei piu' belli che io abbia mai ascoltato in tutta la mia vita! E io sono uno che di musica ne ascolta... mai un attimo di noia, mai una nota fuori posto. Un'atmosfera sublime, da gustarsi appieno con una passeggiata solitaria in un bosco innevato. Forse sara' l'enorme legame affettivo a questo disco a farmi parlare, ma lo ritengo veramente un capolavoro assoluto. Pale Folklore, nel suo connubio di melodie, immagini e parole, racchiude in se' l'essenza della Natura e del gelo dell'inverno. E gli Agalloch ne sono i bardi. Sublime, semplicemente un lavoro sublime!!! Un saluto a tutti voi di Metallized dalla Cina!! |
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3
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Molto bello, difficile dire quale sia il loro disco migliore. Non ho capito però quale sarebbe il contributo che ha dato questo disco alla scena Neo-folk, che nasce 10 anni prima dell'uscita di questo disco. |
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2
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Ahah la strumentale è "The Misshapen Steed" (bellissima tra l'altro) |
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1
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Disco STUPENDO,la mia preferita è Dead Winter Days. Comunque Aspettavo un vostro giudizio,e devo dire che coincide al mio 90. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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01 She Painted Fire Across the Skyline I 02 She Painted Fire Across the Skyline II 03 She Painted Fire Across the Skyline III 04 The Misshapen Steed 05 Hallways of Enchanted Ebony 06 Dead Winter Days 07 As Embers Dress the Sky 08 The Melancholy Spirit
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Line Up
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Don Anderson – Chitarra John Haughm – Voce, chitarra, batteria Jason William Walton – Basso Shane Breyer – tastiere
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