|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
|
( 1493 letture )
|
È proprio il caso di notare la differenza tra stili dovuto alla localizzazione geografica: Empyre, quarto disco dei finlandesi Burning Point, è diretto prodotto del power metal scandinavo, più leggero e zuccheroso, piuttosto che di quello tedesco, assai più verace. Il five piece di Oulu, attivo dal 1999 e giunto al debutto con l’acerbo Salvation by Fire, si era garantito qualche elogio grazie al successivo Feeding the Flames, ma la nuova release, come vedremo, non farà che accostarsi al terzo Burned Down The Enemy, disco senza infamia né lode rilasciato nel 2007. A spiccare è l’assenza di personalità e la paura, se vogliamo, a uscire dal seminato: ci si limita ad un operato pulito, ben fatto, schietto, ma troppo scevro di attitudine, di quel fuoco che può rendere speciale un disco, anche se questo non dovesse essere tecnicamente ineccepibile. Ma andiamo con ordine. I canoni stilistici seguiti dai cinque scandinavi sono rigorosamente debitori di una tradizione power metal, ma con sfumature musicali più sottili e melodiche: in altre parole, Empyre suona potente, ma decisamente meno tellurico di quanto potrebbe desiderare il seguace medio delle incarnazioni più veritiere ed efficaci dello speed power più genuino, fieramente teutonico, trascinante e perfetto connubio di melodie strepitose, velocità martellante e compattezza sonora. Solo in parte i Burning Point sfoggiano queste qualità, risultando -come detto- appena meno tosti e impetuosi, assai concentrati sul fattore melodico e non certo dotati di quel quid da sturbo che invece è connaturato nel dna delle heavy metal bands più incalzanti. Le strutture sono assai lineari e classicheggianti, i refrain vocali solenni e maestosi (ma a volte troppo ripetitivi o banali), i guitar solos musicali e ordinati, ma il platter pecca dal punto di vista del feeling, del riffing (estremamente semplice e scontato, poco incisivo), scorrendo via veloce, sicuramente piacevole ma lasciando poche tracce dietro di sé. L’album si apre con le celebri note de Il Padrino poste come intro, apparentemente dissonanti rispetto al power tradizionale che la band ci propone; la titletrack è una chiara sintesi del sound del combo nordeuropeo, enfatico e melodico come si conviene; un po’ stucchevole è il chorus vocale, ma nel complesso il brano è gradevole, come del resto anche la successiva Manic Merry-Go Round, un prodotto esplicitamente derivato dagli anni ottanta: qui spicca il vocalism corposo di Pete Ahonen, che in tutto il disco fornisce una prestazione convincente. Affatto trascendentali appaiono Fool’s Parade, aggrappata ad un refrain vocale un po’ radiofonico e poco altro, e la ballata Was It Me, l’immancabile lentone per i più sentimentali: si potrebbe decisamente confezionare qualcosa di meglio, anche se il tentativo è quello di toccare le corde più emotive dell’ascoltatore. I brani più riusciti, dunque, sono Sacrifice, pezzo ornato da un riff discreto, oltre che da da un ritornello-inno da cantare a gran voce, e Blinded by the Darkness, il passaggio più duro, se vogliamo, della tracklist: l’utilizzo più convinto della doppia cassa fa da suggello a questa affermazione, anche se nemmeno in questo caso siamo di fronte a qualcosa di eccitante o meritevole di menzione particolare. Nulla viene aggiunto dall’impalpabile Cruel World (dotata soltanto in avvio di un riff apprezzabile) e dalla noiosa Only the Wrong Will Survive, del tutto priva di un passaggio significativo, di uno squillo, di una vibrazione: un mero riempitivo, posto a conclusione di un disco che stenta e non decolla mai, che raggiunge un giudizio numerico sintomatico (emblema di un lavoro che non brilla di certo, ma che al contempo non è nemmeno così orrendo da venir denigrato) e che tende a restare nel mucchio, timido, remissivo. Niente di nuovo sotto il sole, dunque: come prevedibile, ci si limita a prendere una ricetta collaudata e recitare il cosiddetto compitino, optando per un approccio malinconico e melodico che toglie anche spazio alla proverbiale possenza del power metal. A quanto pare, come avviene per il death metal, anche il power è costantemente soggetto ad una sorta di attenuazione stilistica operata dalle band scandinave, e che trova l’etichettatura più significativa nell’utilizzo dell’aggettivo “melodic” anteposto al sostantivo qualificante del filone, anche se non sempre i risultati sono incoraggianti, agli occhi dei puristi ma non solo. Pubblicazione freddina, appena sufficiente (anche l’artwork di copertina appare scialbo e poco significativo), una goccia nell’oceano di uscite discografiche che contraddistingue il mercato musicale: si può tranquillamente passare oltre.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. The Goodfather Theme (intro) 2. Empyre 3. Manic Merry-Go Round 4. Face the Truth 5. Fool’s Parade 6. Was It Me 7. Walls of Stone 8. Sacrifce 9. Cruel World 10. Blinded by the Darkness 11. Only the Wrong Will Survive
|
|
Line Up
|
Pete Ahonen (Voce, Chitarra) Pekka Kolivuori (Chitarra) Pasi Hiltula (Tastiere) Jukka Jokikokko (Basso) Jussi Ontero (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|