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Rival Sons - Head Down
( 8425 letture )
Il più grande errore che si può fare approcciando un album dei Rival Sons è quello di intenderlo come una semplice raccolta di canzoni retro rock, un omaggio più o meno sincero a radici musicali datate che si cerca di rivitalizzare per il piacere di qualche nostalgico reduce o di qualche sbarbato a caccia di magia. Niente di più errato, perché semplicemente i Rival Sons vivono questa musica con la stessa intensità e la stessa sincerità di chi il genere l’ha creato, quarant’anni fa. Il loro non è un omaggio, è parte dell’identità, della loro essenza. Non è una differenza sottile, perché non sarebbe altresì comprensibile ed apprezzabile il vero e proprio viaggio nel tempo che i musicisti di Los Angeles ci offrono, se lo riducessimo a pura e semplice riproposizione di idee altrui. Il gruppo dimostra infatti di avere una propria identità chiara ed identificabile, rendendo credibile e vero ogni secondo dei propri album, esattamente come se la data di uscita degli stessi fosse davvero un particolare secondario. Se togliamo una produzione chiaramente dotata di una qualità moderna e la facilità con cui i nostri fanno uso di un’effettistica che all’epoca sarebbe stata considerata d’avanguardia, facendo ascoltare Head Down ad un qualsiasi fruitore di musica nell’arco di tempo dal 1969 al 1973, state pur certi che avrebbe fatto i salti di gioia per la nuova realtà dell’hard rock: questa è la verità. L’immersione in un mondo così lontano eppure ancora così pregno di significato da parte dei Rival Sons è tale da non lasciare il minimo dubbio: sembra proprio che i ragazzi siano riusciti ad abbeverarsi alla stessa fonte che esaltava band inglesi ed americane in quegli anni magici. Così, echi di Led Zeppelin, Humble Pie, Free, Grand Funk Railroad, Yardbirds, del garage rock, perfino di gruppi beat, psichedelici e hippie, sono talmente forti, chiari, evidenti, che semplicemente non si può che inchinarsi di fronte alla straordinaria qualità del songwriting di questa giovanissima band. Ci si aspetta quasi che da un momento all’altro l’incantesimo si rompa, che qualcosa stoni nel contesto rivelando l’inganno e invece tutto fila, fino in fondo, scaraventandoci lontano nel tempo con una facilità ed una freschezza quasi irritanti e cariche di meraviglia.

Il disco è una carrellata di brani semplici e quasi perfetti, belli, suonati con una passione ed un feeling quasi impensabile e commovente, che vanno ad esplorare un po’ tutti gli aspetti dell’hard rock sporcato di blues e psichedelia. Come non riconoscere ad esempio in All the War un chiaro rimando a brani quali The Locomotion o Some Kind of Wonderful, entrambi rifatti dai Grand Funk Railroad, o echi delle ballate degli Zeppelin in una canzone stupenda e struggente come Jordan, che da sola è capace di evocare pomeriggi soleggiati e fiori di campo? Come non esaltarsi per le venature gospel del singolo ed opener del disco Keep On Swinging, o di quelle tipicamente Cream della seguente Wild Animal, o per l’omaggio agli Who di Until the Sun Comes, fino alle esplosioni hard di You Want To e Run From Revelation e per il rock psichedelico di The Heist che sembra in tutto e per tutto un brano degli Animals, piuttosto che il garage di Three Fingers, fino alla monumentale Manifest Destiny divisa in due stupende parti: capolavoro di rock psichedelico la prima, rabbioso hard rock la seconda. Il tutto anticipato dal magico e stupendo arpeggio della dolcissima Nava, che diventa poi brano vero e proprio nella conclusiva True, per la quale si scomoda addirittura il fantasma del caro estinto Tim Buckley. Una vera e propria corsa lungo anni meravigliosi e musicalmente ricchissimi, compiuto con una capacità semplicemente stordente di scrittura, che anche rispetto al precedente Pressure & Time compie un ulteriore passo avanti: se in quel disco la band aveva fatto confluire tutta la propria bruciante rabbia, condensandola in dieci brani che non superavano mai i tre minuti di lunghezza, ora il passo compiuto è decisamente più ampio e dilatato, meno diretto, ma anche decisamente più ricco. C’è meno urgenza in Head Down e più voglia di allargare i propri confini, esplorando le possibilità offerte da una musica che di confini virtualmente non ne conosce. Jay Buchanan, ugola d’oro dotato di un’espressività e di una duttilità inaspettate, ricorre con molta meno frequenza all’acuto strappato che caratterizzava l’album precedente, mostrando di avere numerose altre frecce al proprio arco di interprete. Allo stesso modo, la chitarra di Scott Holiday si bagna sì alla fonte che ha reso immortali Hendrix e Page, ma lo fa con una classe ed una competenza che ne fanno più di un semplice emulo. Ottima anche la prestazione della sezione ritmica, sempre presente e dinamica.

Head Down non è solo la conferma di una grande band, formata da straordinari interpreti, è anche un lungo incantesimo in musica, uno di quei rari dischi capaci di infrangere le barriere del tempo, lasciando dietro di sé la sensazione che tutto sia rinato e possibile, che nuovi sentieri attendono ancora di essere percorsi in una musica che sembrava persa negli anni e mai più riproducibile. Non è solo revival, non è solo retro rock, non fate il tremendo errore di ridurlo a mero manierismo: è quello che i Rival Sons sono oggi, una band strepitosa che vale come un prezioso gioiello antico. Preme sottolineare ancora quanto tutto questo non suoni artefatto o forzato, ma scorra liberamente lungo le tredici canzoni che compongono il disco. Non c’è spazio per filler o brani inutili, il livello è alto, tanto che non esistono paragoni possibili con altri gruppi della stessa scena, per capacità di calarsi credibilmente e con tanta ispirazione in una materia musicale con la quale non si può scherzare. I Rival Sons fanno storia a sé e dopo Head Down sono diventati l’unico metro di paragone possibile per se stessi. Da avere, assolutamente.



VOTO RECENSORE
85
VOTO LETTORI
92 su 22 voti [ VOTA]
Rob Fleming
Sabato 6 Febbraio 2016, 19.11.39
13
Album strepitoso con un susseguirsi di chicche ininterrotto. Run from revelation è l'hard blues dei campioni; le due parti di Manifest Destiny rimandano al Ted Nugent più psichedelico; Jordan è un brano da brividi. In mezzo tantissimo hard rock privo di sbavature. 88
fabio II
Martedì 25 Settembre 2012, 17.29.18
12
Grazie per la specifica Lizard
Lizard
Martedì 25 Settembre 2012, 17.03.48
11
Consiglio peraltro di non perdere assolutamente il concerto che a breve terranno ai Magazzini Generali, perché dal vivo sono strepitosi, testato personalmente. Mi dicono che la location a livello di acustica non è impeccabile, ma per una volta non fatevi fermare dai particolari!
Undercover
Martedì 25 Settembre 2012, 17.01.39
10
E allora mettiamol sto decimo va, ho ascoltato sul tubo "Keep On Swinging", "Run From Revelation" e "Jordan", mi son bastate per avere almeno un impatto positivo.
Er Trucido
Martedì 25 Settembre 2012, 16.58.14
9
Giusto stamattina ascoltavo qualcosa su youtube e li consigliavo ad un amico. A monicker invertito probabilmente parleremmo di capolavoro con un centinaio di commenti, così arriviamo a 10
Lizard
Martedì 25 Settembre 2012, 16.51.13
8
Questo album è decisamente più orientato sul beat e sulla psichedelia, senza perdere in intensità, ma con un approccio decisamente più solare. Comunque, se ti piace il singolo, il resto è meglio
fabio II
Martedì 25 Settembre 2012, 16.42.06
7
....questi sono quelli del furore iconoclasta alla MC5, su tua segnalazione Lizard avevo ascoltato qualcosa sul tubo del primo (?); ma non ricordo più molto se devo essere sincero. Riprovo, ma porca vacca sono troppo all'antica, se non ho il supporto da sentire in auto non ci salto fuori. Segnati un'altra volta comunque.
Lizard
Martedì 25 Settembre 2012, 16.05.57
6
Ma sì figurati... Mica ce l'ho con te. Sono certo che ti piacerà, in ogni caso.
Undercover
Martedì 25 Settembre 2012, 15.46.03
5
Non l'ho ancora ascoltato e mi secca passare senza aver ascoltato magari anche dopo sei mesi ma posto, dipende da quando entra in casa...
Lizard
Martedì 25 Settembre 2012, 15.34.12
4
D'altra parte questo è davvero uno dei dischi dell'anno, ma il nome in copertina si vede che non ha ancora attecchito come meriterebbe.
Slow
Martedì 25 Settembre 2012, 15.29.47
3
Tristissimo vedere tutti affannarsi all'ascolto di Steve Harris e nessuno qui
Slow
Domenica 23 Settembre 2012, 6.39.41
2
Non c'è molto altro da aggiungere a quanto espresso da Saverio e ipersintetizzato da Witchcraft. Non perdetevelo.
Witchcraft
Giovedì 20 Settembre 2012, 21.51.02
1
grandissima band....uno degli album dell'anno...
INFORMAZIONI
2012
Earache Records
Hard Rock
Tracklist
1. Keep On Swinging
2. Wild Animal
3. You Want To
4. Until the Sun Comes
5. Run from Revelation
6. Jordan
7. All the War
8. The Heist
9. Three Fingers
10. Nava
11. Manifest Destiny (Pt. 1)
12. Manifest Destiny (Pt. 2)
13. True
Line Up
Jay Buchanan (Voce)
Scott Holiday (Chitarra)
Robin Everhart (Basso)
Michael Miley (Batteria)
 
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