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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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23/08/2023
( 2199 letture )
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Annoverati ormai fra i migliori esponenti del revival rock/blues distribuitosi a macchia d’olio nell’ultimo decennio, i Rival Sons sono tra coloro che meglio hanno attecchito sul pubblico europeo, arrivando a vette di gradimento notevoli per un genere che, purtroppo, è ormai decisamente “di nicchia”. Approdati al settimo album con questo Darkfighter e un altro, Lightbringer, già previsto in uscita entro il 2023, i cinque di Long Beach sembrano tornati in ottima forma, a quattro anni dalla precedente release Feral Roots. Intendiamoci: gli americani non inventano nulla nel settore e, anzi, si caratterizzano per un approccio “filologicamente vintage” alla materia; tuttavia, non è difficile trovarvi una naturalezza, un’autenticità e un’ispirazione da primi della classe. Quindi anche in Darkfighter accade di rado di notare stanchezza o semplicemente riciclo di idee: i nostri sanno sempre dove pescare e come sapientemente miscelare quanto contenuto nello sterminato patrimonio rock americano, che sia classico rock n’ roll, blues, soul o qualche velato influsso country.
In cabina di regia troviamo l’ottimo produttore Dave Cobb, che mette lo zampino pure in alcune delle esecuzioni e, soprattutto, forgia un suono ottimale, vintage ma nello stesso tempo potente e secco come la tendenza moderna vuole. Un disco, questo Darkfighter, in cui troviamo una band in gran forma: il timbro vocale molto particolare di Jay Buchanan, le invenzioni ritmiche e soliste della chitarra di Scott Holiday, le solide fondamenta create dalla sezione ritmica formata dal batterista Mike Miley e dal bassista Dave Beste e le pennellate del tastierista Todd Ögren, sono il marchio di fabbrica con cui la band cerca di distinguersi dalla massa.
Ed è proprio l’Hammond di Ögren ad aprire le danze con le prime note di Mirrors, un brano che richiama sicuramente gli anni ’70, ma che si fa apprezzare per l’alternanza fra momenti energici e altri delicati. Si procede bene anche nella successiva Nobody Wants to Die, in cui Buchanan canta l'inevitabilità del destino e la realizzazione che la vita è fugace; una canzone che fila via alla veloce, su ritornelli costruiti attorno a furiosi accordi e strofe cariche di tensione. Bird in the Hand è, invece, quanto di più vicino alla classica canzone rock blues, mentre l'esplosiva Guillotine è la traccia più pesante di Darkfighter e forse anche la sua canzone migliore. Il brano cambia ripetutamente di tempo e intensità, i ritornelli iniziano piano e poi improvvisamente lasciano il passo a una esplosione di potenza, mentre Buchanan letteralmente urla sopra un riff forte e distorto. Quei cambiamenti dinamici mostrano il target compositivo della band, che si regge su una sezione ritmica sempre puntuale e ficcante, sul suono della chitarra di Holiday, che sa essere sia caldo che aggressivo e potente, e sulla voce di Buchanan, che si alterna tra un cantato pieno di melodie e urla feroci. Solo otto tracce compongono la scaletta di Darkfighter, una durata da tempi del vinile: ma questi quaranta minuti sono quasi sempre di livello elevato e non stancano.
Un disco quindi che renderà probabilmente felici tutti gli appassionati di rock e di hard blues alla “vecchia maniera”: non abbiamo fra le mani un album rivoluzionario o che resterà negli annali, ma sicuramente un buon disco dove mestiere e ispirazione si fondono bene per realizzare otto validi pezzi e lasciare il segno nel genere. In attesa della seconda parte, in arrivo a breve, che potrebbe ulteriormente alzare l’asticella.
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5
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Meh, di loro mi piace solo qualcosa di hollow bones e feral roots, album comunque abbastanza mediocri. Questo non lo ascolterò, dai singoli è la solita mediocre minestra anni 60 riscaldata. |
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4
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Grandissimo album da parte della migliore rock band in circolazione da anni. Buchanan si dimostra ancora una volta un mostro. Non vedo l\'ora di poterli sentire live |
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3
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Quest\'album è una bomba, probabilmente il mio preferito del 2023 finora. Otto canzoni fantastiche, nessun filler o pezzo minore. Hanno \"sperimentato\" tutti pezzi a loro modo diversi tra loro seppur all\'interno di un contesto ben delineato e che spesso è avaro in tal senso. Una cosa è fare buone canzoni, un\'altra farlo con classe e la band di classe ne ha (ne ha sempre avuta) da vendere. Anzi tra i loro coevi del genere sono i fuoriclasse. Li seguo dagli inizi, sempre a scatola chiusa e delusioni mai, zero. Mia figlia di 7 anni che va pazza e canta Bright Light (un gioiellino di canzone tanto per cambiare) è una grande soddisfazione. Ma potrei citarle tutte per non fare torto a nessuna. Buchanan su Darkside è, per l\'ennesima volta, clamoroso. L\'apice (non è da tutti raggiungerlo al settimo album) della loro fin qui meravigliosa discografia (mmm a pari merito con Head Down?) |
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2
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Il disco scorre via piacevole come sempre. Band di valore e compatta. Tuttavia, rispetto ad altri lavori, faccio un pò fatica a trovare dei pezzi che stacchino decisamente sugli altri. Non ci sono brutte canzoni ma nemmeno passaggi memorabili. Comunque, nell\'insieme, un discreto disco. Darei un 75. |
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1
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A mio avviso i Rival Sons non hanno mai prodotto un capolavoro, ma in ogni loro album ci sono quei 2-3 pezzi che sono straordinari e che alzano la media di dischi comunque sempre validi. Per me i brani migliori stanno nel magnifico hard di Nobody Wants To Die; nel capolavorissimo Bird in the Hand e Darkside. Un filo sotto Mirrors e Guillotine. E adesso sotto con la seconda parte. 78
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Mirrors 2. Nobody Wants To Die 3. Bird in the Hand 4. Bright Light 5. Rapture 6. Guillotine 7. Horses Breath 8. Darkside
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Line Up
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Jay Buchanan (Voce, chitarra, armonica) Scott Holiday (Chitarra, armonica) Todd Ögren (Tastiere) Dave Beste (Basso, cori) Mike Miley (Batteria, cori)
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RECENSIONI |
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