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CARNAGE FEAST - Day 2, Lyss (CH) - 27/09/14
06/10/2014 (1781 letture)
Dopo aver dedicato un ampio spazio al settore più brutale e tecnico del death metal negli ultimi due anni, chiamando, tra gli altri, numerosi esponenti della scena italiana (dagli Hour of Penance ai Blasphemer) e internazionale (tra cui Decapitated, Benighted, Defeated Sanity), l’edizione 2014 del Carnage Feast di Lyss, in Svizzera (nei pressi di Berna), annovera un bill da infarto, ampiamente improntato sull’old school, perlomeno per quanto riguarda gli headliner: il primo giorno, gli Entombed A.D. e i Grave dalla Svezia, il secondo, ancora più strabiliante, l’Overtures of War European Tour di Bolt Thrower, Morgoth e Incantation. Insomma, già le date dei Bolt Thrower sono selezionatissime, se poi mettiamo altri gruppi del genere, il sold out, per lo meno la seconda giornata, era garantito, e con oltre un mese di anticipo. A fare da contorno ai grandi nomi, anche gruppi emergenti dall’ambito brutal, grind e slam. Avendo potuto presenziare solo alla seconda giornata (con la certezza che almeno il tour degli Entombed sarebbe passato per l’Italia di lì a poco), ecco il mio resoconto di questa vera e propria sublimazione dell’esperienza death metal.


INTERNAL SUFFERING

La lentezza del traffico a livello del Gottardo, nonché il fatto che la location non fosse tutto sommato così vicina a Milano (non sempre "vedere un concerto in Svizzera" significa andare a Chiasso o Lugano, purtroppo) mi ha permesso di giungere presso il luogo dell'evento solo giusto in tempo per vedere l’ultimo dei gruppi del pomeriggio, prima dei 3 principali, ossia (per mia fortuna e consolazione) i veterani colombiani del brutal death tecnico, gli Internal Suffering (con mio dispiacere però di non aver potuto soddisfare la mia curiosità per alcuni altri gruppi, su tutti i Devangelic da Roma).

Il locale è di dimensioni piuttosto modeste, con il palco ad altezza vita e senza transenne, con gli ampli che sparano direttamente sulle orecchie delle prime file. Insomma, quale scenario migliore per una serata del genere? Comunque i suoni risultano niente male già durante lo show dei colombiani, fatta eccezione forse per il rullante, un po’ basso nel mixaggio degli Internal Suffering, che ne hanno vagamente risentito, dal momento che si muovono principalmente su blast beat rapidissimi.

Il suono eredita gran parte delle sue caratteristiche dal brutal death statunitense d’impatto, come Disgorge e Brodequin, ma con qualche scelta stilistica più ricercata e qualche virtuosismo in più (in particolare sul basso) che li avvicina agli Origin, ma nulla di superfluo per il resto: riff compatti e atonali, palm mute pesantissimi e un tappeto batteristico ad alta velocità. La voce aderisce pienamente ai pattern ritmici piuttosto vari, impostandosi su un registro principalmente gutturale, ma sorprendentemente non monocorde all’eccesso, e con un livello da non lasciare indifferenti.

La partecipazione è ancora piuttosto modesta, ma l’esibizione si mantiene energica e appassionata, con i musicisti che non intendono riservare energie né nascondere la soddisfazione di suonare con le tre band che avrebbero seguito. Eleggo vincitore morale il tizio ubriaco che tra una canzone e l’altra ballava e fischiettava, gridando all’occasione "Silence sucks!".


INCANTATION

Non posso nascondere la mia esaltazione nel vedere issare il telone di Dirges of Elysium e vedere queste leggende del death metal americano prepararsi per calcare il palco del Carnage Feast. Lo stesso vale per molti altri che, dopo il consueto giro tra merch, bancone della birra, cucina o quant’altro, tornano prontamente per l’inizio dello show. In effetti non si sono visti, per tutta la durata del festival, fanatici incollati alla prima fila dall’inizio alla fine, ma piuttosto molta gente in un clima rilassato, festoso e comunque marcatamente familiare ed underground.

Non può che fare piacere vedere un pubblico divertito e affezionato, anche se la differenza rispetto al pubblico italiano, a cui sono ovviamente abituato, è molto evidente: in effetti, pur trattandosi di un concerto death metal, con tutti i connotati che lo caratterizzano, il pubblico sembra piuttosto restio all’idea di muoversi o pogare, ma rimane semplicemente fermo ad ascoltare, applaudire o fare headbanging. Non che l’atmosfera fosse fredda, affatto, ma sicuramente non c’è la stessa verve del pubblico mediterraneo. Anzi, sono i piuttosto numerosi italiani, tra cui noi, ad essere notati subito da John McEntee, che ci dedica senza riserve una bestemmia assolutamente inaspettata, e di risposta sono molti i sorrisi tra il pubblico – dopotutto, se la Maometto non va alla montagna, molti non si sono fatti problemi ad approfittare della data svizzera di questo tour. Noto subito, come già avevo potuto appurare seguendo la loro pagina, che il solista Alex Bouks (chitarrista anche per Funebrarum e Master) è stato sostituito da Sonny Lombardozzi, che aveva già militato in una delle formazioni di McEntee, che mostra un approccio solistico più pulito e metodico di quello del suo predecessore, che mi era parso, lo scorso novembre, più old school e nervoso. In ogni caso, la formazione è coesa e in piena sintonia, con Kyle Severn a trascinare la musica dei nostri tra una sezione furiosa e un rallentamento funereo, che pienamente caratterizzano la musica inconfondibile dei maestri del doom/death nel loro venticinquennale di carriera.

In circa 50 minuti di esibizione, hanno modo di proporre una relativamente nutrita manciata di pezzi da novanta, accanto ovviamente ad alcuni estratti del solido ultimo disco, Dirges of Elysium. In particolare, l’anniversario d’argento è festeggiato con Profanation, dal seminale debutto Onward To Golgotha del 1992, il primo pezzo composto da McEntee, seguita peraltro dall’immancabile Ibex Moon dal successivo Mortal Throne of Nazarene. Nella gola di John ci dev’essere un vero inferno, tanto che la sua voce mi è sembrata ancora più cavernosa e potente della scorsa volta. L’headbaning si spreca, che si tratti di tempi candenzati, veloci o lentissimi, e anche sul palco la situazione non è da meno, mentre il locale sembra essere sempre più gremito con l’aggiungersi di qualche ritardatario. Tra il pubblico, anche Jill McEntee, moglie di John e leader dei Funerus (in cui suona anche il marito) che hanno seguito gli Incantation facendo alcune date con loro ad inizio settembre, e che continueranno invece con un tour in solitudine nel corso di ottobre, che passerà anche in Italia.

Chiusa questa parentesi, purtroppo giunge già la fine dello spettacolare concerto degli Incantation, concluso legittimamente con quella sassata di Impending Diabolical Conquest, uno dei pezzi migliori del set. Come si può reggere il confronto con una esibizione del genere? Beh, se a seguire sono Morgoth e Bolt Thrower, sicuramente non faranno brutta figura.

SETLIST INCANTATION

Debauchery
Shadows of the Ancient Empire
Vanquish in Vengeance
Oath of Armageddon
Portal Consecration
Profanation
The Ibex Moon
Carrion Prophecy
Impending Diabolical Conquest



MORGOTH

Per l’appunto, il quintetto death metal tedesco è in breve tempo pronto a iniziare, quando le luci si spengono e la tape di Cursed accopagna l’ingresso dei musicisti. Auspicabilmente, è Body Count la opener dello show, che mostra subito il lato più intenso e veloce dei Morgoth, proiettandoci indietro a inizio anni ’90, quando i nostri sconvolgevano l’underground death metal tedesco. Certo, gli anni sono passati, ma l’impronta della band è ancora riconoscibile, fin dal suono sensibilmente più nitido e definito, quasi più thrashoso, del basso e delle chitarre (soprattutto se confrontate con quelle zanzarose dei Bolt Thrower o quelle più fangose degli Incantation). La chiarezza in effetti caratterizza l’esibizione eccellente dei nostri, che si mostrano più che in forma, proponendo una sfilza inimmaginabile di classici dei loro anni d’oro. Appare carichissimo anche il cantante, Marc Grewe, ancora prestante al microfono e abile nell’intrattenere il pubblico.

Harald Busse, alla chitarra, e soci ci riportano indietro agli sfarzi del death della vecchia scuola, quello nello stile dei Death di Spiritual Healing e dei Pestilence di Consuming Impulse, con sane dosi di thrash, soprattutto nelle tempistiche incalzanti, ma con anche mid-tempos eccezionalmente scritti su cui spaccarsi il collo, nonché quella voce abrasiva, che ha poco di gutturale, ma che sembra debba essere accompagnata da un rigetto dei polmoni da un momento all’altro. Dietro la batteria, il nuovo drummer Marc Reign, che è stato per circa 8 anni dietro alle pelli dei Destruction, incarna pienamente l’anima speed metal che sta alla base del death dei Morgoth, ma sono le chitarre a scolpirne riff per riff l’anima più sinistra e cupa. Oltre ai pezzi storici, sono proposti anche i due estratti dal recente EP, uscito lo scorso agosto, God Is Evil, ossia l’omonima e l’inedita Die As A Deceiver, presentate per la prima volta durante questo tour: sebbene non eccezionali, sono in linea con il classico sound del gruppo e potrebbero essere gli indicatori del fatto che il ritorno dei Morgoth potrà entusiasmare i fan.

Fan, che d’altra parte, accolgono con il massimo calore possibile i deathster tedeschi: l’atmosfera che si respira è unica, tanto è il coinvolgimento e l’istantanea empatia tra i presenti davanti al palco. Gli stessi Internal Suffering sono arrivati, in totale visibilio, con una quantità interminabile di birre che hanno prontamente offerto a me e agli altri esaltati. Headbanging, mosh e air guitaring senza inibizione, tali da rendere lo show ancora più divertente, come poche altre volte si è visto. Gli stessi Morgoth sono compiaciuti e la compartecipazione emotiva tra band e astanti culmina sul finale con la storica Isolated, cantata anche da noi accalcati sotto al palco a cui è stato passato il microfono, e la potentissima Pits of Utumno, assolutamente immancabile.

Verso la fine del concerto, l’atmosfera è ormai caldissima e concitata, grazie alla genuina prova di una performance appassionata e appassionante che i Morgoth ci hanno saputo dare, spazzando via qualsivoglia tipo di dubbio circa le loro attuali potenzialità, trattandosi in effetti, nel trio, della band che è incappata nella pausa più lunga dai palchi death metal, essendosi riformata in tempi relativamente recenti. Speriamo quindi che la riconferma di questo monicker storico possa materializzarsi in un futuro full-length di qualità, ma nel frattempo ci possiamo godere il gruppo con tutta la voglia intatta di non fare prigionieri.

SETLIST MORGOTH

Cursed (Intro)
Body Count
Suffer Life
Sold Baptism
God is Evil
Under the Surface
White Gallery
Die as Deceiver
Burnt Identity
Isolated
Pits of Utumno



BOLT THROWER

Il momento è giunto, sta per esibirsi davanti a noi una delle leggende assolute del death metal mondiale, tanto attesi forse perché tanto rari. Ma i Bolt Thrower non sono tipi da badare a frivolezze sceniche, sono loro stessi a dare una rapida controllata agli ampli prima di iniziare, durante la tape-intro del concerto. Solo Karl Willetts, lo storico cantante della formazione inglese, si presenta sul palco all’incipit del concerto, che si apre con la breve intro strumentale War, seguita naturalmente da Remembrance, l’accoppiata d’inizio del celebre …For Victory. L’impatto sonoro è devastante: il suono delle chitarre è metallico e ronzante, in puro stile old school, mentre il basso di Jo Bench si staglia nettamente sull’inarrestabile tappeto di doppia cassa di Martin Kearns. L’incedere marziale è scandito da un rullante deciso che segna le tempistiche di un gruppo che ha fatto delle sezioni cadenzate il suo punto di forza, ma che sa anche schiaffare un’accoppiata come World Eater / Cenotaph giusto per smentirmi. Avessero continuato per ore con quei riff, che hanno scritto la storia del death metal inglese con gli album Realm of Chaos e War Master, rispettivamente, non credo che ne saremmo stati in qualche modo contrariati, data la continua tensione che guida ogni nota del lead-guitarist Barry Thomson od ogni gallop del ritmico Gavin Ward.

Sotto il palco il movimento è finalmente scoppiato, a discapito della freddezza del pubblico elvetico, coinvolgendo appassionatamente tutti gli astanti e anche i musicisti, che sul palco danno prova di compartecipazione fisica al fluire intenso della loro musica. Anche la stessa Jo Bench, apparentemente più fredda, si lascia presto andare a un headbanging incessante. Quali tempi migliori di quelli scanditi dal ritmo bellicoso dei Bolt Thrower per far muovere qualche collo? La pensa così anche il biondo Karl, che ruggisce dall’inizio alla fine senza mostrare segni di cedimento nella sua timbrica inconfondibile. Ancor più che in precedenza, l’atmosfera che si respira è davvero permeante e rende lo show ancor più unico di quanto non potrebbe essere già da sé, soprattutto con una scaletta del genere: nella parte centrale, una sezione dello show è dedicata al capolavoro The IVth Crusade, da cui suonano le violente This Time is War e Where Next to Conquer, seguite dalla maestosa title-track. Mescolare ad una base death metal delle melodie con un simile fascino, ammetterete, non è da tutti, e la resa dal vivo è assolutamente impagabile. Nonostante la linearità delle composizioni e dei groove, riescono a stupire con un gusto compositivo eccellente e una coesione esecutiva praticamente impossibile da reperire altrove, o quasi.

Le buone parole si sprecano, l’intero show è un’emozione unica e un assalto senza mezzi termini. In un mondo di compromessi, c’è chi non ne fa, per citare il motto dei Bolt Thrower presente su molte delle loro magliette. Riprendendo la riflessione di un mio amico dopo il concerto, quella che ci hanno mostrato è stata pura attitudine, una coerenza fondata sui fatti, prima che sulle parole, o sull’auto-incensazione, prima che sulla degenerata mercificazione di un prodotto artistico come la musica. Certo, potreste pensare che la condotta artistica, morale e individuale di una band abbia relativamente poco a che vedere con quanto mostrato in sede, ma non ne sono così sicuro, dato il risultato eccellente sul palco e la risposta di pubblico tra le più affezionate e devote che abbia mai visto. Al di là di questo, molte piccole questioni di principio diventano per il gruppo inglese un dogma nel rapportarsi al proprio modo di vivere la musica, sia nell’aspetto professionale (e citerei così gli elogi dell’organizzazione al gruppo), sia che in quello umano, nel rispetto di sé, come artisti, e dei fan, come carburante dell’espressione creativa stessa. E questo inizia fin dalla decisione, apparentemente banale, di vendere il proprio merch a prezzi stracciati e soltanto in sede live, per evitare che il rigonfiamento dei prezzi pesi sulle tasche dei supporter, soprattutto quelli che hanno macinato chilometri per vederli. Potrebbero sembrare cose da poco, ma sono il sintomo della manifesta volontà della band di suonare e non fare business (anche se avrebbero il seguito e il nome per farlo) e di portare aria fresca nei polmoni fin troppo inquinati della musica ai giorni nostri.

Vale pur la pena riportare considerazioni simili, anche se ponderate a freddo, perché fanno la differenza. Certo, dico a freddo perché durante il concerto non c’è davvero modo di pensare, impegnati come si è nel vivere un’esperienza così intensa. Vorrei quasi soffermarmi a raccontarvi ogni pezzo, ma penso di aver ben reso l’idea, soprattutto considerando che la setlist è proprio qua sotto. La fine di concerti così non arriva mai troppo tardi, e dopo 15 pezzi i nostri chiudono con When Cannons Fade, salutata da numerosi crowdsurfers e stagedivers, e prolungata in chiusura tra scrosci di applausi per i cinque. Distribuiti plettri e setlist e salutato il pubblico, lasciano il palco, ma il Kufa Lyss, pieno imballato, sta ancora fremendo per sentire altra musica, tra urla, cori indirizzati al gruppo e il palco trasformato in una tavola da percussione per le prime file. Ed eccoli entrare, per soddisfare il pubblico, con un encore inaspettato, ma sinceramente, dato che quella che Karl ha dovuto spegnere non era una sigaretta, e che Barry ha dovuto chiedere indietro il plettro a un mio amico dopo averglielo lasciato alla fine del pezzo precedente. E allora la vera conclusione arriva con la maestosa Silent Demise, e solo dopodiché possiamo dirci soddisfatti; anche i Bolt Thrower lo sono, lo si legge sulle loro facce, per non parlare dei sorrisoni tra il pubblico. Per gruppi del genere vale davvero la pena fare strada, quella che ho appreso a Lyss è stata una lezione musicale ed artistica che definirei unica in questo genere.

SETLIST BOLT THROWER

War / Remembrance
Mercenary
World Eater / Cenotaph
Anti-Tank (Dead Armour)
Warmaster
Where Next to Conquer
This Time It's War
The IVth Crusade
No Guts, No Glory
...For Victory
The Killchain
Powder Burns
At First Light
When Cannons Fade

---- ENCORE ----
Silent Demise



Alberto
Lunedì 6 Ottobre 2014, 16.04.30
4
Bellissimo report della data di sabato, sembra di essere lì sotto il palco a leggere queste note. ... No spetta... c'ero anch'io! ahahah Poco da aggiungere, poi per me i Bolt Thrower sono e saranno sempre i numeri uno incontrastati del genere, sia musicalemnte sia come attitudine, fattore assolutamente importante, altroché. Woooooorld Eataaaaaahhhhhhhh....... \M/
Max
Lunedì 6 Ottobre 2014, 15.49.33
3
Sicuramente una bellissima data, anche se a me personalmente i Bolt Thrower hanno sempre fracassato un pochino le palle, anche da vivo, logicamente de gustibus. Però posso capire che per molti vederli è un piccolo evento vista la rarità con cui suonano...
PanTheoN
Lunedì 6 Ottobre 2014, 13.12.21
2
Bomba di concerto cazzo!
Doomale
Lunedì 6 Ottobre 2014, 9.07.50
1
Mamma mia che concertone!!!...e' dai tempi del frontiera che ce lo sognamo un bill cosi a Roma!!...Poi vabbe i Bolt Thrower penso che moriro' senza esser mai riuscito a vederli dal vivo!! Sigh...
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BOLT THROWER + MORGOTH + INCANTATION
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06/10/2014
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Day 2, Lyss (CH) - 27/09/14
 
 
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