|
26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
|
|
MITOLOGIA, LETTERATURA E METAL - #0 - Nightfall in Middle-Earth (Parte Prima)
04/02/2015 (3949 letture)
|
I BLIND GUARDIAN E IL CREPUSCOLO DEL LEGENDARIUM TOLKENIANO
I lavori di Tolkien rivelano in molti modi una grande passione per la musica.
Hans Jurgen Kürsch
I Blind Guardian sono forse il più famoso gruppo metal a essersi ispirato al profondo legendarium di J. R. R. Tolkien. Nel 1998 usciva Nightfall in Middle-Earth, basato sul Silmarillion e che intreccia alla musica le storie di questa ricchissima mitologia. Altre canzoni nel repertorio del gruppo hanno continuato questo incanto, come The Bard’s Song e Lord of the Rings. Già a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, molte band del panorama rock e metal avevano cominciato a raccogliere e proporre l’ispirazione del Professore. I Led Zeppelin furono tra i primi a nutrirsi di tali emozioni e sentimenti, grazie alle immaginifiche parole di Robert Plant e alle sofisticate armonie tessute da Jimmy Page. Ricordiamo la celebre Ramble On, contenuta in Led Zeppelin II (1969), la magnifica ed evocativa The Battle of Evermore, che mischiava insieme la mitologia tolkeniana con i miti della tradizione anglosassone, e Misty Mountain Hop, con i suoi riferimenti a The Hobbit, entrambe contenute in Led Zeppelin IV (1971), senza dimenticare poi gruppi come Black Sabbath e Rush. Soprattutto, fu nella decade successiva che nacquero i primi gruppi direttamente ispirati alle opere del Professore. I Cirith Ungol, gruppo statunitense, devono il suo nome al passo omonimo, situato in un altopiano nella regione dell’Ephel Dúath (nome, tra l’altro, di una nota avant-gard metal band italiana), una vasta zona montuosa a ovest di Mordor. Grande successo, inoltre, riscosse tra le pieghe della scena black metal norvegese: Varg Vikernes, la mente dietro a Burzum, parola che nel linguaggio di Mordor significa “oscurità”, è un avido lettore e profondo conoscitore delle opere di Tolkien. Il suo stesso pseudonimo, Count Grishnákh, è mutuato da un personaggio di Lord of the Rings. Anche Fenriz, batterista dei Darkthrone, s’ispirò a Tolkien per il suo progetto Isengard, nome della fortezza che sarà abitata da Saruman il Bianco, e soprattutto, gli austriaci Summoning, che alle melodie tipiche di un black metal più sinfonico ed epico, uniscono canti e versi originali del Professore. Ma non è solo l’oscurità e la perversa seduzione del male ad aver ispirato musicisti, ma anche la luce e la speranza, il carattere epico e tragico. Da quest’ultime tematiche, a piene mani, hanno attinto gruppi come i finlandesi Battlelore e i Nightwish.
Tuttavia, i riferimenti di questi gruppi all’opera di Tolkien sono saltuari, vari e, strano a dirsi, privi di quell’immaginazione poetica che, in altri casi, hanno contraddistinto le loro canzoni. Non aggiungono nulla a ciò che Tolkien ha scritto, quasi come se essi non fossero che una mera stella brillante e il Professore un sole distante, quale non si può brillare in sua presenza se non di luce riflessa. I Blind Guardian, invece, sono stati i primi e, finora, gli unici, a porsi sullo stesso piano dell’autore, con quella stessa immodestia e superbia che ha permesso loro di “impersonare” Gesù Cristo e Giovanni Battista, di renderli carne viva e sangue, snaturandoli della loro santità e umanizzandoli. Eppure è proprio questa superbia, dettata dal grande amore per queste opere, a stare alla base della grandezza poetica del gruppo teutonico. La prospettiva, in ogni canzone, è ribaltata. La scena siamo abituati a vederla: le luci del palcoscenico si spengono, ogni cosa tace fin quando una luce verdastra e translucida rischiara la figura solitaria di Hansi e, dolcemente, la chitarra di Siepen incomincia quella lenta e stupenda frase che è l’apertura di Bard’s Song. Dunque, ecco la grandezza poetica dei Blind Guardian, ecco la totale innovazione della lettura di Tolkien fatta dal gruppo: fin dalla prima canzone del primo album, loro non sono che bardi. The Bard’s Song è solo un inno, la dichiarazione di uno status e di un ruolo che fin dagli esordi il gruppo di Krefeld si è tagliato e cucito addosso. Majesty, la prima canzone che andremo ad analizzare, così lontana da Bard’s Song per moltissimi motivi, sia strutturali che temporali, non è che naturale e principale prodromo della stessa. Hansi fa proprie le storie di Tolkien, le modella secondo i suoi desideri e le sue inclinazioni, si siede e le racconta al suo pubblico come gli antichi aedi greci e i bardi della tradizione celtica. La trama non è mai in divenire, ogni cosa è già avvenuta e noi tutti sappiamo com’è andata a finire, la conosciamo fin nei suoi recessi. Questo permette al bardo, all’aedo, di cantare un determinato episodio, tema o momento e di creare una rapsodia che vada ad arricchire la storia principale, che gli permetta d’investigare e di frugare in ogni piaga di essa, fin anche di esporre i protagonisti allo scrutinio di un’acuminata introspezione psicologica, di rivederli sotto luci e chiaroscuri diversi. Così, una materia statica e finita, si rinnova a ogni ascolto e a ogni lettura di nuovi particolari e impressioni.
1. Majesty: il tema della solitudine e della pazzia.
Un comico giro di organetto, un ritmo fanciullesco e carnevalesco, di serena sicurezza e benevola ingenuità, un felice valzer prima del tuono e dell’incubo. Majesty è la prima traccia dell’album di debutto, Battalions of Fear. Un esordio violento, contraddistinto da quel gusto peculiarmente teutonico per la velocità e la potenza, per la precisione e una melanconica bellezza dell’estetica romantica. L’amore per il romanticismo di stampo tedesco, basato principalmente sulla dicotomia tra armonia e candore della classicità greca, e il selvaggio e tempestoso cremisi della tradizione scaldica si evince fin dalle prime battute. Al giro dell’organetto si sostituisce l’incubo della tempesta, che s’insinua dalle pieghe del riff di Olbrich e Siepen, nella voce di Hansi.
Now the time has come for me to leave these lands; Take my charge with pride sacrifice.
Ora è venuto il momento, per me, di lasciare questa terra; accetto il mio compito con un orgoglioso sacrificio.
At last with an effort he spoke, and wondered to hear his own words, as if some other will was using his small voice. ‘I will take the Ring,’ he [Frodo] said, ‘though I do not know the way.’
La canzone si apre con un atto di volontà: Frodo decide di accollarsi il peso di portare l’Unico Anello a Mordor per distruggerlo. Nel testo di Tolkien, notiamo come la volontà dello Hobbit sia istintiva. Vi è una totale inconsapevolezza dei rischi e delle conseguenze del gesto, sottolineata dall’ambiguità del sostantivo way utilizzato dal Professore, che può significare sia “strada” che “modo”. Lo Hobbit non conosce né il modo né la strada per portare a termine la propria missione e, di conseguenza, non sa cosa potrebbe comportare trovare entrambi. Non si erge, dunque, a vittima per l’ecatombe: non vi è in lui l’ardente desiderio del sacrificio e della morte gloriosa che ha infiammato gli ideali di Catone, né il suo gesto è mera sublimazione di un destino tragico e patetico, come la volontà che spinge Achille a scegliere una vita breve ma gloriosa. Le parole escono dalla sua bocca prima che vi possa realmente pensare. La totale mancanza di un ragionamento sta alla base della sua volontà, che è puro istinto e impulsività, un richiamo primevo al dovere, un sentimento che i latini avrebbero definito pietas. Di fronte ai grandi Potenti riunitisi al Concilio di Elrond, Frodo, pur minuto e meno sapiente, si erge a gigante proprio per questa sua sconsideratezza che lo porta a rivendicare la propria libertà con ben più coraggio e amore di coloro che a tale scopo erano eretti a guardiani e protettori. Ed è proprio per questa sua inconsapevolezza, denotata anche dalla neutralità del tono espressivo del Professore, che lo Hobbit non è trasformato in un patetico eroe tragico, ma ne esce umanizzato, una figura magnanima e generosa. Elrond, il signore di Gran Burrone, è consapevole delle conseguenze del gesto dello Hobbit. Frodo Baggins si accolla un heavy burden, prende posto tra altri indimenticati amici degli Elfi quali Hador, Húrin, Túrin e Beren, accetta un destino di glorioso e affettuoso ricordo. Hador morì nella Dagor Bragollach, la Battaglia della Fiamma Improvvisa, insieme al figlio Gundor. Húrin e suo figlio Túrin, invece, subirono una pena perversa: il primo, uscito sconfitto e catturato nella Nirnaeth Arnoediad, la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime, poiché si rifiutò di rivelare a Morgoth la collocazione di Gondolin e per averlo sbeffeggiato, fu posto su uno dei più alti picchi di Thangorodrim, le montagne dietro le quali si celava la fortezza di Angband, ed incatenato su un seggio, fu condannato dal Signore Oscuro ad osservare la rovina della sua stirpe e di suo figlio Túrin, che si renderà glorioso per aver ucciso il drago Glaurung, ma che si macchierà d’ignominia, amando e sposando sua sorella, Nienor, fino a giungere al suicidio. Beren fu costretto a vedere la rovina del suo regno, a vivere ramingo, fino a essere ucciso da un morso di Carcharoth, prima che Lúthien, la sua amata, potesse pregare Mandos di dargli una nuova vita che entrambi vissero lontano dagli altri mortali. Dunque, il signore di Gran Burrone, fa ben comprendere che trovare la via e il modo per distruggere l’Anello del Potere sarà una via irta, un corrosivo sacrificio e un’impresa in cui lo Hobbit perderà ogni cosa pur di salvare ciò che ama. In Majesty, invece, la poeticità dell’inconsapevolezza di Frodo, perde ogni vitalità. Il sacrificio è chiaro fin dalle sue prime battute, ogni cosa è già decisa e prevista. La prima strofa di Majesty si caratterizza, dal punto di vista musicale, per una scelta dicotomica: le chitarre imbastiscono la ritmica e il basso ricama la linea vocale stessa. Il cantato è tipico dei primi lavori del gruppo: molto narrativo, più distaccato, quasi apatico e distante da qualsiasi emozionalità, lontano e antico, ma al contempo ossianico, stupendamente evocativo come la voce del cieco Demodoco alla corte di Alcinoo.
Running and hiding, I’m left for time to bring back the order of divine; Hunted by goblins – no Gandalf to help with swords in the night. O, The last part of the game: decision of death and life. “Blood for Sauron”, they’ll call tonight – the final battle cry.
Running and hiding, I’m left for time to bring back the order of divine; There exists no tale and Hobbits are crying for all children of death.
Corro e scappo, sono solo a ristabilire l’ordine divino; inseguito da orchi – non c’è Gandalf ad aiutare con spade nella notte. L’ultima parte della partita: una decisione di vita o di morte. “Sangue per Sauron”, reclameranno – l’ultimo urlo di guerra.
Corro e scappo, sono solo a ristabilire l’ordine divino; qua non ci sono racconti e gli Hobbit piangono per tutti i figli della morte.
Emerge qua il principale tema che interessa al bardo di Krefeld: la solitudine di Frodo. In Tolkien, la solitudine e l’inquietudine di Frodo sono tratteggiate solo nell’ultima parte della sua opera, quando anche le cure amorevoli dell’amico Samvise non riescono più a guarire il male e la cancrena. Hansi, invece, vi pone l’accento fin da subito. È giunto per Frodo il momento di lasciare le dolci terre della Contea e di Gran Burrone, ed è lui che accetta il proprio compito con spirito di sacrificio, è, ancora, lui a scappare, a nascondersi: non ci sono compagni, il viaggio è una solitaria descenso ad inferos. In The Hobbit, quando i nani e Bilbo furono catturati dagli Orchetti delle Montagne Nebbiosi, arrivò Gandalf. In Majesty, Frodo è consapevole, invece, fin dalle prime battute che lo stregone non lo aiuterà, sarà lontano, perduto e i suoi interessi saranno rivolti a questioni più grandi, quasi come un dio epicureo. Si ricorre spesso al pronome personale I e me (… the time has come for me…, I’m left for the time…) per sottolineare la costante solitudine del Portatore dell’Anello fin dai primi passi del suo viaggio, mentre, in Tolkien, quel though I do not know the way è una sintomatica richiesta di aiuto, di non essere abbandonato, il punto di collegamento tra la volontà e la necessità insita nell’inconsapevolezza del pericolo, che portano alla formazione della Compagnia dell’Anello. La canzone rallenta, la ritmica si fa meno violenta e si apre una parentesi quasi intimistica, totalmente distaccata. La Compagnia dell’Anello, fino a quel momento assente, si presenta adesso, ma solo per sottolineare ancora di più la solitudine del Portatore. È Boromir, infatti, l’unico a prendersi la scena e, più che lui, il suo tradimento e la sua pazzia. La Compagnia, dunque, per i Blind Guardian, non è un baluardo, un muro dietro al quale cercare riparo e calore contro le fredde raffiche della solitudine e della paura, essa è corruttibile e, ancor di più, malvagia. Boromir è la Compagnia e la Compagnia è Boromir; non vi sono altri personaggi, non ne nominerà altri il nostro bardo.
I have a dream… The Thing you have to hide, for deliver our kingdom and our reich. Don’t fall in panic – just give me the thing that I need or I kill! Don’t run away for what I have done…
Ho un sogno… La Cosa che devi nascondera, [dammela] per salvare il nostro regno e il nostro impero. Non avere paura – dammi solo ciò di cui ho bisogno o uccido! Non scappare per ciò che ho fatto…
‘True-hearted Men, they will not be corrupted. We of Minas Tirith have been staunch through long years of trials. We do not desire the power of wizard-lords, only strenght to defend ourselves, strenght in a just cause […] I am a true man, neither thief nor tracker. I need your Ring […] Why not be free of your doubt and fear? You can lay the blame on me, if you will. You can say that I was too strong and took it by force. For I am too strong, halfling […] What have I said? […] What have I done? […] Come back, a madness took me, but it has passed. Come back!’
Per Frodo, che narra con le parole e i versi di Hansi, è proprio Boromir il nemico, il massimo male, l’unico nominabile. Si capovolge, così, la prospettiva che la critica di Tolkien ha continuamente sottolineato, ovvero la somiglianza tra Hitler (oppure Stalin) con Sauron. È Boromir ciò che lo Hobbit deve combattere; dunque, non il Male in sé, quale forma metafisica e intangibile, quanto il male che nasce laddove un tempo vi era il bene, il male portato dai dubbi e dai più intimi e lugubri desideri dell’uomo, quello stesso male che possiamo toccare con mano e che sentiamo più reale e vivo. Se si osserva bene il verso della canzone e il testo di Tolkien, si notano subito due cose. Innanzitutto, la presenza, nella canzone dei bardi di Krefeld, della parola tedesca reich, impero. Il rimando, credo, non possa essere più chiaro di così. Si crea un parallelo tra Boromir e Hitler, una poetica del non-detto di rara efficacia e crudeltà. In secondo luogo, nelle parole di Hansi non c’è redenzione, non c’è alcun pentimento. L’ultimo verso (Don’t run away for what I have done) è troppo debole per poter rappresentare un pentimento sincero e sentito. Si capovolge completamente la pazzia di Boromir: la lucidità sta nelle minacce e l’ultimo verso è il naturale risultato della negazione di tale lucidità. Nel passaggio di Tolkien, al contrario, la pazzia vibra in Boromir fin dalle prime parole; scorre a fiumi, spoglia il cavaliere dell’elmo e della cotta di maglia, l’uomo di onore degli scrupoli e, infine, lo rende un nudo selvaggio che si arrende al primitivo istinto, fino alla riconquista della ragione. La follia del cavaliere è, per Tolkien, giustificata e perdonabile. Ciò che lo sconvolge è l’incapacità di poter difendere la sua gente dalla distruzione, del totale sovvertimento del suo ruolo di erede al trono e futuro re, dal momento che non può essere re colui che non può difendere il proprio popolo. Il sovvertimento di questa norma è assoluta e tangibile nelle sue parole (We do not desire the power of wizard-lords, only strenght to defend ourselves, strenght in a just cause) e fa sì che per lui crolli un intero sistema concettuale. Boromir si rivela un grande e magnanimo eroe, ma finisce per scontrarsi con la realtà. Da tale conflitto profondo, tra il desiderio di proteggere il suo popolo e l’incapacità di farlo, nasce la serietà morale della sua pazzia. Il cavaliere, invece, di Majesty dichiara altri intenti: to deliver indica la libertà, lo scioglimento da ogni catena. Ma Gondor e il suo popolo non sono in catene; sono sotto assedio, certamente, accerchiati e minacciati, ma non distrutti. Le catene sono this elves and half-elves ritenuti, invece che saggi, troppo timidi per agire. Ed è questa la lucidità di cui parlavo prima, il lucido e ponderato desiderio di dominio a scapito dei deboli e dei miseri che ha contraddistinto Hitler. Dunque, la minaccia non può che essere ben più forte e oscura nella canzone dei Blind Guardian che in Tolkien. Nel libro, infatti, Boromir è consapevole della sua forza (For I am too strong, halfling), non ha bisogno di uccidere Frodo e, quest’ultimo, è ben consapevole, da parte sua, che non è questo l’intento del Compagno. Così, mentre nel libro, lo Hobbit si limita a spostarsi, a frapporre un sasso fra loro e a nascondersi con il potere dell’Anello, in Majesty Frodo è descritto mentre scappa, corre a perdifiato (to run), come se avesse combattuto e fosse stato in pericolo di morte. La canzone riprende velocità, segue un bel cantato della chitarra di Olbrich, ben sostenuto dalla ritmica del basso, che ci trascina direttamente al chorus.
O, Majesty – your kingdom is lost and you’ll leave us behind. O, Majesty – your kingdom is lost and ruins remind of your time. Now come back…
Oh, maestà – il vostro regno è perduto e lascerete alle spalle. Oh, maestà – il vostro regno è perduto e le rovine ci ricordano dei vostri tempi. Ora, tornate indietro…
Il chorus è una preghiera, malinconica e struggente. Più che spostare l’attenzione su Aragorn, cosa che comunque è inconcepibile dal momento che nelle strofe seguenti non c’è alcun riferimento a lui o alla sua missione, Hansi sembra quasi dare voce a coloro che Boromir in precedenza aveva tradito, ovvero gli Uomini. C’è un barlume di speranza, in questa preghiera, per quanto essa sia lontana e flebile. Now, come back… è il più bello degli inviti, poiché, come ho già detto, è composto a posteriori: sebbene vi siano rovine e morte, il Re comunque ritornerà e non vi sarà più sofferenza. È una dolce poesia, di non comune efficacia e di rara bellezza pur nella sua pura semplicità. Segue uno struggente solo di Olbrich, uno dei più belli composti dal chitarrista tedesco, un misto di melodia e tecnica. Non vi è una nota fuori posto, non una che strida con il cantato precedente o la ritmica, è tutto una concatenazione perfetta di armonia ed emotività. Dopo aver ripreso il ritornello e reintrodotto un breve cantato, la canzone si fa più violenta, con veloci cambi d’accordi e un lead tagliente e spietato.
Cries – cries in a dark land; hear the voice, it’s cold as ice. Eyes, they’re watching, they look for me but cannot find.
Urla – urla in una terra oscura; ascolta la voce, è fredda come il ghiaccio. Occhi, stanno indagando, mi cercano ma non riescono a trovarmi.
Siamo ormai giunti al punto di non ritorno, alla meta finale. Si apre allo Hobbit un paesaggio crudele e devastante, dipinto con le rapide pennellate degli accordi e con questi due versi: le urla di guerra, l’ossessiva ricerca dell’Anello da parte del Signore Oscuro e dei suoi orchetti. Riaffiora il senso d’inquietudine, di solitudine.
Creature is following with no place to escpae, my last steps will find the right way. Where is the future, the call of the blind? ‘Cause there’s no one to find. To the sky you see no light; my weapon burst with fear. With the howling wolf, the Nazgûl will die for all children of death.
Cries – cries in a dark land; hear the voice it’s cold as ice. Eyes they’re watching, they look for me but cannot find. Run – run for the whole world, it’s time you cannot wait. Lost – lost in a dark world, you feel the strange but cannot see…
Una creatura mi sta seguendo, non c’è luogo dove scappare; i miei ultimi passi troveranno la giusta strada. Dov’è il futuro, la chiamata del cieco? Qua non c’è nessuno da trovare. Nel cielo, non si vede alcuna luce; la mia arma brucia di paura. Con il lupo ululante, il Nazgûl morrà per tutti i figli della morte.
Urla – urla in una terra oscura; ascolta la voce, è fredda come il ghiaccio. Occhi, stanno indagando, mi cercano ma non riescono a trovarmi. Corri – corri per tutto il mondo, è il momento: non puoi aspettare. Perso – perso in un mondo oscuro; senti una sensazione strana ma non la puoi vedere.
Ormai si è giunti, come ho detto, al punto di non ritorno. Frodo si ritrova solitario a Sammath Naur, alla Voragine del Fato. Gollum sta per sopraggiungere per ingaggiare con lui l’ultimo duello. Ma cosa succederà quando avrà gettato l’Anello? In cielo non vi è luce, non c’è niente che possa, dunque, garantire un futuro felice e sereno. La cancrena della solitudine è ormai a uno stato quasi necrotico.
[Frodo said] ‘[…] I tried to save the Shire, and it has been saved, but not for me. It must often be so, Sam, when things are in danger: some one has to give them up, lose them, so that others may keep them.’
Il tema della “ferita”, della “cancrena”, sarà solo superficiale corruzione in Tolkien e profondo ottenebramento, quando il sacrificio di Frodo sarà il più estremo, ovvero la rinuncia a tutto ciò che lo aveva spinto a rischiare la vita. In Majesty, la cancrena è una tangibile solitudine, visibile e in putrefazione fin dalla prima strofa e che ora giunge alla completa consunzione del corpo occupato. Frodo, il protagonista, Hansi, il bardo che narra le sue imprese, è perso, è alienato. Ben prima di compiere l’ultimo gesto, vi è in lui la consapevolezza del suo destino futuro di emarginato, di disperso, di uomo ferito incapace di poter vivere nello stesso mondo che ha salvato. Ogni cosa, ogni suo gesto e ogni sofferenza che l’hanno portato alla Voragine, ogni cosa è stata fatta per salvare gli altri e non se stesso. You feel the strange but cannot see, dice Hansi. E a poco serve la consolazione dell’ultima strofa, la consapevolezza della vittoria. Il sacrificio, ovvero la rinuncia alla compagnia, alla fanciullesca e carnevalesca innocenza hobbit, la completa solitudine dell’essere, la rinuncia a tutto ciò che si è amato in vita, enunciato nella prima strofa già dalla partenza dalla Contea era radicato nella mente dello Hobbit.
Too many battles we carry along from the war, for too many frightens we feel from his law. For so many victories, we are praising so strong, for so many blood we’ve lost.
Troppe battaglie abbiamo trascinato dalla guerra, poiché troppe paure abbiamo subito dalla sua legge. Per così grandi vittorie, innalziamo canti al cielo, poiché così tanto sangue abbiamo versato.
La vittoria è per gli altri, non per Frodo. È il Re che torna al suo popolo, è Sam che può chiudere la storia (Well, I’m back). Frodo non può tornare e così, solo come ha intrapreso la sua missione, la sua cerca, deve andarsene e run off into the Blue.
2. The Lord of the Rings e la poesia orale: il rapporto tra bardo e narratore.
Lord of the Rings è sicuramente la canzone che ha guadagnato ai Blind Guardian la nomea di “cantori di Tolkien”. Oltre a Majesty, ad avere influenze tolkeniane, vi sono state altre canzoni: Run for the Night e le strumentali By the Gates of Moria (che presenta chiari riferimenti alla Sinfonia n. 9, “Dal nuovo mondo” di Antonín Dvořák), e Gandalf’s Rebirth, contenute tutte nell’album di debutto Battalions of Fear. Tuttavia, Lord of the Rings, a mio avviso, ha una caratura ben più definita e poderosa. Di fatto, ha inizio qui una Trilogia del Bardo, composta, appunto, da Lord of the Rings, The Bard’s Song (In the Forest), The Bard’s Song (The Hobbit). Una trilogia, lungi dall’essere canonicamente definita in questi termini dal gruppo di Krefeld.
Tales from the Twilight World rappresenta un primo punto di svolta nella produzione artistica del gruppo. Nel 1991, il power metal non era altro che un tenero neonato: gli Helloween si erano già imposti sulla scena co i due Keeper of the Seven Keys ma, tuttavia, erano quasi giunti al punto di non ritorno a causa dell’abbandono di Kai Hansen e del crescente solipsismo di Michael Kiske. All’abbandono del chitarrista, seguì conseguentemente la nascita dei Gamma Ray e il loro debutto, solo un anno prima, con Heading for Tomorrow. Gli Stratovarius erano al lavoro su Twilight Time, mentre altri gruppi affermatisi in tale ambito e genere come Sonata Arctica e HammerFall non erano ancora nati. Il gruppo di Krefeld decide di frenare e riflettere. A loro avviso, lo stile tagliente e veloce che ha caratterizzato l’album di debutto Battalions of Fear e il suo erede, Follow the Blind, non aveva più molto da offrire. Con Tales from the Twilight World incomincia a definirsi lo stile che accompagnerà il gruppo teutonico alla composizione dei loro più grandi successi. I suoni delle chitarre si fanno meno taglienti e graffianti, le canzoni, in alcuni casi, tendono a rallentare e a lasciare spazio a spaccati acustici o a vere proprie ballate, si abbandonano alle melodie tessute da Olbrich relegando, man mano, sempre di più Siepen al ruolo di chitarrista ritmico, e il cantato di Hansi diventa più maturo e consapevole, il suo modo di scrivere si libera di alcune imperfezioni grammaticali e lessicali, e incomincia a farsi più vario.
The Lord of the Rings è un proemio e, al tempo stesso, un costrutto sulla base di un disegno narrativo che non consiste nella semplice esposizione di eventi in successione. La tensione che si stabilisce tra la necessità del narrato principale (che è la vicenda appena accennata del viaggio di Frodo) e lo sviluppo autonomo del suo ruolo proemiale con effetto di ritardo o di temporanea contraddizione nello svolgimento dell’azione, è un elemento che è essenziale all’epica come fenomeno letterario e artistico. La canzone si apre con la scena della scoperta, da parte di Frodo e di Gandalf, della vera natura dell’Anello ereditato dallo Hobbit.
There are signs on the Ring, Which make me feel so down. There’s one to enslave all Rings, To find them all in time, And drive them into darkness; Forever they’ll be bound.
Ci sono dei segni sull’Anello che m’intristiscono. C’è un Unico Anello per ridurre gli altri in schiavitù, per ritrovarli e condurli nelle oscurità; per sempre saranno imprigionati.
‘Hold it up!’ said Gandalf. ‘And look closely!’ As Frodo did so, he now saw fine lines, finer than the finest penstrokes, running along the ring, outside and inside: lines of fire that seemed to form the letters of a flowing script. They shone piercingly bright, and yet remote, as if out of a great depth. […] ‘I cannot read the fiery letters’ said Frodo in a quavering voice. ‘No,’ said Gandalf, ‘but I can. The letters are Elvish, of an ancient mode, but the language is that of Mordor, which I will not utter here. But this in the Common Tongue is what is said, close enough:
One Ring to rule them all, One Ring to find them, One Ring to bring them all and into darkness bind them.
Si passa, dunque, da una sequenza narrativa a una sequenza proemiale, leggermente citando i versi del poema di Tolkien.
Three to kings of the Elves, high in the light, Nine to the Mortal, which cry.
Tre ai re degli Elfi, alti nella luce, Nove ai Mortali, che piangono.
Three Rings for the Elven-kings under the sky, Seven for the Dwarf-lords in their halls of stones, Nine for the Mortal Men doomed to die, One for the Dark Lord on his dark throne, In the Land of Mordor where the Shadows lie. One Ring to rule them all, One Ring to find them, One Ring to bring them all and into darkness bind them. In the Land of Mordor where the Shadows lie.
I moduli espressivi che scandiscono il racconto richiedono con lieve variazione un ulteriore sforzo immaginativo che prescinde da qualsiasi situazione realmente descrivibile dentro il proemio, ma dentro la situazione narrativa che va alternandosi al proemio. Il segmento infatti descrive, oltre alla già citata situazione della scoperta, il viaggio sé tramite brevi pennellate.
Slow down and I sail on the river, Slow down and I walk to the hill, And there’s no way out.
[…] Mordor, Dark land under Sauron’s spell, Threatened a long time.
[…] Into the valley, I feel down.
[…] In the land so dark where I have to go.
Rallento e guado il fiume, rallento e cammino fino alla collina e non c’è modo per uscire.
[…] Mordor, una terra oscura sotto l’incantesimo di Sauron, minacciò per lungo tempo.
[…] Nella valle, mi sento triste.
[…] Nella terra oscura dove devo andare.
Abbiamo quindi una sbrigativa e rapida impressione del viaggio compiuto nel primo segmento (Slow down…), una rapida presentazione della terra di Mordor, un velato accenno alla morte di Gandalf e al viaggio nelle miniere di Moria (Into the valley, I feel down...) e, infine, ancora, il viaggio verso Mordor. L’intero quadro descritto è oscillante e indeterminato. Il passaggio dal proemio alla narrazione, avviene di quando in quando in modo estremamente brusco e, anche, in modo leggero e delicato. Dalla prima parte del proemio si passa al viaggio dopo un breve e melodico solo di Olbrich e un cambio nella ritmica dell’arpeggio, con l’introduzione anche di un flauto distante. Da qui, i sintetizzatori si prendono la scena, prima che l’ombra di Mordor compaia nelle pieghe degli accordi della chitarra distorta. Si ritorna, dunque, all’arpeggio e qua, al proemio, si mischia sapientemente il viaggio, prima che un nuovo stupendo solo ci catapulti nella ritmica finale e conclusiva. Questo complesso sistema di passaggi narrativi è basato, tuttavia, su un’unica piattaforma: la memoria. La memoria, infatti, è tra le influenze psicologiche quella che più direttamente riguarda la tecnica compositiva propria di una poesia orale. Già nell’antichità, per improvvisare i suoi canti nel corso di udizioni pubbliche il poeta ha bisogno di un’eccezionale memoria ritmica e lessicale, frutto di un lungo esercizio. Non stupisce, poi, che il collegamento fra la memoria e la poesia sia attestato già tra alcuni dei più antichi miti: addirittura da Esiodo è noto il mito per cui Mnemosyne è madre delle Muse. Per mezzo della memoria, Hansi, in Lord of the Rings, pone se stesso su un doppio binario che segue, appunto, il sistema opposto di narrazione e proemio: è, dunque, sia bardo che narratore.
Il bardo è animato dall’oggettività, ben comprensibile, della fase proemiale della canzone. Il suo intervento rimane nella sfera che è attribuita al singolo ruolo del cantore, quella espressiva del canto, appunto, che è prodromo del ruolo successivo, e che analizzeremo meglio più avanti, di Hansi in Bard’s Song. L’oggetto del canto del narratore, invece, è narrazione di un’esperienza personale. Hansi, che qua impersona, presumibilmente, un Frodo che racconta agli amici ciò che è successo, ha il pregio di essere breve e formalmente evocativo. La brevità è dettata dalla tristezza che il canto risveglia nel protagonista, mentre l’evocazione è frutto delle stesse parole che compongono le rapide pennellate del viaggio: si descrivono posti in modo che, tramite la loro descrizione, si possano immaginare le emozioni, le sensazioni e si arrivi a una ben più precisa comprensione delle sventure capitate allo Hobbit. Così, Mordor è caratterizzata dall’oscurità, la vicenda di Moria non è che intuitiva, proprio per il dolore che il ricordo lascia nel protagonista, e i lunghi viaggi e i lunghi pericoli, non sono altro che un fiume e una collina, dai quali, tuttavia, non vi era via di fuga.
3. La figura e il ruolo del bardo.
A differenza di quanto avviene negli aedi classici, che totalmente dipendono dalla divinità, il bardo Hansi è quanto di più lontano vi sia da questi dettami. Riguardo agli aedi odissiaci, di Demodoco, θεῖος ἀοιδός, si dice subito fin da quando è chiamato per la prima volta ad allietare il banchetto, l’origine del canto. La ἀοιδή nel senso di facoltà di cantare e di canto insieme, gli deriva dal dio; così come Femio, com’egli stesso proclama quando l’aedo ricompare nell’episodio della strage, per ottenere salva la vita rivendicando proprio il rapporto che lo lega alla divinità:
αὐτοδίδακτος δ' εἰμί, θεὸς δέ μοι ἐν φρεσὶν οἴμας παντοίας ἐνέφυσεν·
Hansi, invece, non ha bisogno di rapportarsi a una divinità ispiratrice, il suo canto è uno scorrere naturale derivato da pensieri e sogni. Il rapporto, dunque, che esisteva nell’età classica fra la divinità ispiratrice, in quanto unico possessore della verità da trasmettere, e l’uditorio composto da tutti gli umani compreso l’aedo, si trasforma in un rapporto totalmente umano fra il cantore e il pubblico.
Now you all know the bards and their songs.
Ora voi tutti conoscete i bardi e le loro canzoni.
Il cantore non è più l’unico portatore della verità. Con il verso iniziale della canzone, Hansi investe tutto l’uditorio del proprio ruolo. Come il vecchio cieco che, insieme tutte le creature radunatesi per ascoltare il suono del kantele di Väinämöinen, riuscì ad ascoltare il suono che da esso scaturiva, riuscendo ad ottenere il dono della musica, così l’uditorio stesso è capace di tessere una propria melodia, di vedere come questa nasce e come questa si svolge.
In my thought and in my dreams, There are always in my mind, These songs of Hobbits, Dwarves and Men And Elves; come, close your eyes! You can see them too.
Nel mio pensiero e nei miei sogni, vi sono sempre nella mia mente, queste canzoni di Hobbit, Nani e Uomini e Elfi; avanti, chiudete i vostri occhi! Potrete vederle anche voi.
Il bardo, dunque, non è che un tramite attraverso cui la materia del canto vivifica e si rende tangibile, trascendentale e, in parte, crudele. Il cantore è completamente sottomesso al canto, a cui s’attribuiscono quelle peculiari caratteristiche proprie delle divinità consolatrici e materne, capace di allietare e di commuovere, ma anche di scacciare le oscurità e il freddo. Ma il cantore, comunque, rimane autonomo e indipendente nella conoscenza dei propri canti.
Tomorrow will take us away, far from home, No one will ever know our names, But the bard’s song will remain. Tomorrow will take it away, the fear of today, It will be gone due to our magic songs.
[…] Tomorrow all will be known, and you’re not alone, So don’t be afraid in the dark and cold, ‘Cause the bard’s song will remain – They all will remain.
Il domani, ci porterà via, lontano da casa e nessuno ricorderà più i nostri nomi, ma le canzoni del bardo rimarranno. Il domani porterà via la paura di oggi, se ne andrà grazie alle nostre magiche canzoni.
[…] Domani, tutto sarà conosciuto, ma tu non sei solo perciò non aver paura quando sarà buio e verrà il freddo, perché le canzoni del bardo rimarranno – tutte loro rimarranno.
Centrale rimane comunque l’ispirazione al legendarium tolkeniano, come si evince dall’ultima strofa. Le tales of a brave man sono canzoni esaurite nel loro ciclico ripetersi, mentre le songs of Hobbits, Dwarves and Men and Elves rimangono udibili, dal momento che non abbandonano mai il cantore stesso. È proprio la centralità data alle opere del Professore che mi spinge ad accettare le premesse già enunciate nella premessa, ovvero di una rilettura volta ad arricchire e rinnovare le stesse, aggiungendo allo stile neutrale e modesto dell’autore, quell’armonia romantica e sentimentale che è propria della lingua tedesca. Il bardo tratteggiato dalle parole del gruppo tedesco, quindi, non si limita a riferire canti derivati da una divinità ispiratrice, così come fino a questo momento era stato fatto da altri gruppi che si erano accostati alle opere di Tolkien, quanto piuttosto di rinnovare le stesse con la loro propria ispirazione, invitando il pubblico a comportarsi di conseguenza, in modo da riuscire a rendere ancora più immortali quelle stesse canzoni.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
25
|
Articolo di qualità, l'ho letto con grande interesse e attendo il seguito. Complimenti Franci |
|
|
|
|
|
|
24
|
Ti ringrazio Unia per i complimenti. Mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto così tanto. Effettivamente, mi sono dimenticato di mettere la traduzione (non solo per il greco, ma anche per l'inglese) e alla cosa sto già riparando per le prossime uscite. A breve arriveranno anche gli altri articoli! |
|
|
|
|
|
|
23
|
Finalmente l'ho letto. A mio avviso una delle analisi più approfondite riguardo il lavoro dei bardi e il rapporto con le tematiche tolkieniane che abbia mai avuto modo e soprattutto piacere di leggere, e ce ne sono di articoli, saggi e biografie sui vari temi, a valanghe. Da quel che ho letto ho evinto due cose: primo sei un appassionato di letteratura, in particolare classica, e quindi hai ampliato il lavoro di analisi, cosa non da poco per un articolo; la seconda che ti piace la musica in tutte le sue sfaccettature, non parlo solo dei temi, anche della composizione, della struttura... Bravo, complimenti. Un solo appunto/suggerimento: per le parole/frasi greche metti tra parentesi la traduzione, almeno parlo per chi non conoscesse l'alfabeto. Aspetto la seconda parte! Continua così.  |
|
|
|
|
|
|
22
|
Complimenti! Per un appassionato di Tolkien e fan dei bardi questo articolo è oro! Aspetto con trepidazione il resto  |
|
|
|
|
|
|
21
|
Che ne dici di leggere le recensioni della sezione Low Gain e le molte di altri generi che trattiamo già normalmente?  |
|
|
|
|
|
|
20
|
Non ho ancora letto l'articolo perché devo studiare.Tuttavia sono qui fare una proposta:che ne dite di espandere il vostro sito non solo al genere Rock/Metal ma ad altro? |
|
|
|
|
|
|
19
|
Ho letto questo splendido articolo ascoltando "Beyond the Red Mirror" e devo ammettere che un pizzico di nostalgia per i brani che hai analizzato mi è venuta... comunque hai fatto davvero un grande lavoro, complimenti...!  |
|
|
|
|
|
|
18
|
Bellissimo, soprattutto per Majesty hai fatto un lavoro da brividi. |
|
|
|
|
|
|
17
|
Non preoccuparti, sarai accontentato  |
|
|
|
|
|
|
16
|
Non vedo l'ora di leggerne di altri  |
|
|
|
|
|
|
15
|
Sono contento che ti sia piaciuto, Cristiano ! |
|
|
|
|
|
|
14
|
Complimenti per l'articolo, davvero ben fatto e soprattutto interessante! Gli articoli su Tolkien e il suo rapporto col Metal sono sempre ben accetti! La dimostrazione che il Metal è cultura allo stato puro |
|
|
|
|
|
|
13
|
Ciao Matteo! Allora, la figura di Gesù ricorre spesso nei Blind, pensa a canzoni come "Another Holy War" nella quale la prospettiva è proprio quella del Cristo ("I am God") e "Precious Jerusalem". Per il Battista ti rimando a "Banish from the Sanctuary"! Grazie per i complimenti  |
|
|
|
|
|
|
12
|
Articolo molto bello e sapientemente curato, complimenti (e i complimenti dei "colleghi" valgono doppio, occhio Ma mi spiegate i riferimenti a Gesù e al Battista? Il primo dovrebbe essere per "Sadly sings destiny", dell'altro non saprei dove andare a parare. Grazie! |
|
|
|
|
|
|
11
|
articolo mostruoso! bravissimo! sono un grande fan di tolkien e della terra di mezzo e apprezzo qs articolo fatto da dio! bravo!!! |
|
|
|
|
|
|
10
|
Grazie Enomis! Attendo di sapere cosa ne pensi, Unia! |
|
|
|
|
|
|
9
|
Appena avrò qualche minuto di tempo a disposizione, lo leggerò con piacere. Sono davvero curiosa di questa tua analisi. |
|
|
|
|
|
|
8
|
Nuovo format promosso a pieni voti e con lode! |
|
|
|
|
|
|
7
|
Grazie mille a tutti ! |
|
|
|
|
|
|
6
|
Da leggere e rileggere. Davvero complimenti! |
|
|
|
|
|
|
5
|
Bellissimo articolo, una sorta di Cryptic Writings 2.0, rielaborato e potenziato nella formula. Egregio lavoro. |
|
|
|
|
|
|
4
|
Grazie mille Radamanthis! Spero che vi piacciano anche le prossime uscite ! |
|
|
|
|
|
|
3
|
Chapeau a Francesco, questo è uno di quegli articoli da stampare e mettere nella collezione personale! Stima massima! |
|
|
|
|
|
|
2
|
Grazie mille Asher per i tuoi complimenti . |
|
|
|
|
|
|
1
|
Articolo capolavoro, grazie Francesco ma grazie pure alla redazione che sta elevando Metallized a dimensioni auliche |
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|