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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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GRAVEYARD + TROUBLED HORSE + ELECTRIC BALLROOM - Bloom, Mezzago (MB), 08/10/2017
13/10/2017 (1241 letture)
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Fen-Fire Tour. Questo il nome dato al ritorno sulle scene dei Graveyard, dopo la confusa parentesi che li ha portati -appena un anno fa- prima a sciogliersi e poi a riformarsi con una formazione leggermente rimaneggiata. La band di Göteborg è partita dunque on the road insieme ai Troubled Horse, altro gruppo -tutto sommato- importante per la scena rock svedese e ha raggiunto il palco di un locale storico come il Bloom di Mezzago in una domenica sera di quest'ottobre ancora mite. Ad accoglierli: l'act locale di supporto (gli Electric Ballroom) e soprattutto un buon afflusso di pubblico.
ELECTRIC BALLROOM L'onore e l'onere di aprire le danze, in un Bloom che va lentamente riempiendosi, è degli Electric Ballroom, giovane trio biellese che propone un blues con venature rock perfettamente adeguato per dare il via ad una serata come questa. Dopo essere saliti sul palco un po' in sordina i tre ragazzi attaccano immediatamente con la loro breve -ma intensa- scaletta, lasciando parlare la musica e senza lanciarsi in presentazioni particolari, eccezion fatta per i ringraziamenti e per informare il pubblico della realizzazione di un video (peraltro ben fatto) del loro brano Golden Trigger. Voce, chitarra e batteria. Salta subito all'occhio l'assenza di un basso, che viene però compensata dalla mano pesante ma precisa del batterista Marco De Grandi e dal suono "completo" della chitarra semi-acustica di Filippo Sperotto, che può permettersi di occupare anche una buona parte delle basse frequenze, ottenendo così un suono denso e decisamente adeguato, reso ancora più particolare dall'uso massiccio dello slide. Su di lui grava il peso di articolare sia la parte ritmica che quella solista, in cui si dimostra assolutamente preparato ed efficace. Alla voce è invece Giulia Osservati a catalizzare l'attenzione, con una prestazione solida e priva di sbavature evidenti. Timbro caldo e un'interpretazione che sa essere sia graffiante che suadente coronano un ensemble che ha avuto il pregio di attirare molto pubblico sotto il palco e che probabilmente soddisferà l'orecchio di tutti gli amanti del blues.
TROUBLED HORSE Dopo un cambio di palco tutto sommato abbastanza rapido, arriva il momento del primo dei due gruppi di questo package svedese in tour europeo. Trattasi dei Troubled Horse, band di Örebro dalla storia piuttosto lunga. Fondati nel 1993 da membri dei Witchcraft (in particolare i fratelli Henriksson e John Hoyles) come side-project garage rock, hanno poi pubblicato il loro primo album Step Inside nel 2012. Il gruppo ha successivamente cambiato formazione, tanto che ad oggi rimane solo più il cantante Martin Heppic, che si è circondato di nuovi membri prendendo le redini del monicker. Il tour insieme ai Graveyard è pensato per supportare il nuovo nato, Revolution on Repeat, da cui vengono estratte diverse canzoni: Which Way to the Mob (di cui ci viene ricordata la recente uscita del video), Let Bastards Know e My Shit's Fucked Up (cover di Warren Zevon, uno degli idoli di Heppich). Il concerto è un po' lo stereotipo dell'esibizione rock, chitarristi scatenati (con tanto di chitarra sfregata contro la ringhiera che delimitava il palco), microfoni "droppati, finte impiccagioni autoinflitte con il cavo microfonico, passeggiate tra il pubblico. Tutto molto simpatico ma l'impressione (perlomeno personale) è stata quella di una scena molto preparata e ben poco spontanea. I brani hanno comunque saputo intrattenere il pubblico, anche perché eseguiti comunque in maniera molto professionale e con dei suoni "classici" ma mai impastati, e qui il plauso va anche a chi si è trovato dietro il mixer visto l'alto livello mantenuto durante tutta la serata. Complessivamente un concerto divertente, ma senza infamia, né lode. GRAVEYARD Terminata l'esibizione dei Troubled Horse lo stage del Bloom si riempie rapidamente di tecnici, che in poco meno di mezz'ora sgomberano il campo da batteria e amplificatori delle band precedenti. Il successivo line-check prende poi diverso tempo, ma nulla di strano considerata la grande professionalità di band di questo tipo. Girandosi non si può fare a meno di notare come la sala del locale sia ormai piuttosto piena (seppur sembra non si sia raggiunto il sold out), e -al di là della notorietà dei Graveyard- il motivo è probabilmente da ricercarsi nello "spavento" che gli stessi svedesi hanno fatto prendere ai loro fan lo scorso autunno, quando hanno annunciato lo scioglimento, per poi riformarsi a fine gennaio di quest'anno, orfani però del batterista Axel Sjöberg che ha deciso di lasciare il gruppo ed è stato sostituito da un session drummer. Senza particolari preamboli i quattro di Göteborg prendono possesso del palco e non si può non notare sin dal primo sguardo come il loro spirito revival fine anni Sessanta/primi Settanta passi anche attraverso gli abiti e la strumentazione. Siamo infatti alla fiera del semi-acustico Gibson (anche il basso di Truls Mörck, che ha per l'occasione tenuto fermo il suo Rickenbacker), coaudivato da caldi Marshall e Orange valvolari e da pedaliere così ampie da suggerire una ricerca timbrica quasi maniacale. L'avvio è affidato alla tranquilla Slow Motion Countdown, estratta da Lights Out (del 2012), con il suo insistente giro di basso e il crescendo delle linee vocali di un Joakim Nilsson che deve ancora scaldarsi e che in questo frangente sporca l'ugola molto più che nella versione incisa. Segue poi Magnetic Shunk, che introduce la numerosa componente di brani estratta dall'ultimo (2015) e alza un po' il ritmo con il suo andamento più scanzonato tra arpeggi di chitarra rimpallati tra Nilsson e Jonatan Larocca-Ramm e i primi momenti solisti sostenuti da un drumming insistente e pulito del sostituto di Sjöberg. No Good, Mr. Holden ci riporta poi al capolavoro Hisingen Blues, con il suo riffing più dilatato e la componente blues preponderante che esce evidente nell'accompagnamento del basso al cantato di un Nilsson che inizia a sciogliersi e a muoversi più agilmente anche nel registro alto. Si arriva -con lo scorrere dei brani- a From a Hole in the Wall, forse l'episodio più atipico della discografia dei Graveyard, che però rivela un suo perché anche nella trasposizione live, tra il cantato più suadente di Truls Mörck e lo stranissimo passaggio in blast beat della batteria nella sezione centrale. Si prosegue tra altri estratti da , chicche come Granny & Davis (che risale addirittura all'EP che ha preceduto la pubblicazione dell'esordio) e altri brani come l'intensa Hisingen Blues, che di fatto obbliga tutto il pubblico a cantare con Joakim il ritornello.
Nothing lasts forever As I'm going to send you back Black winds flow through the dead And I know they do not care.
Prima dell'encore c'è ancora tempo per un blocco di pezzi che include la breve ma intensa Goliath o la più riflessiva storia sulla fine di un amore narrata in Uncomfortably Numb, giusto per sottolineare la varietà d'atmosfere che possono susseguirsi durante un live dei Graveyard. L'encore non si fa poi attendere, con gli ultimi pezzi collegati frettolosamente ma comunque portati a compimento in un intenso crescendo che raggiunge il climax proprio al termine della conclusiva The Siren. Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, rapidi ed essenziali come tutte le interazioni con il pubblico durante la serata, i Graveyard abbandonano il palco, lasciando i presenti soddisfatti. Gli anni Settanta non sono decisamente ancora svaniti del tutto.
SETLIST GRAVEYARD 1. Slow Motion Countdown 2. Magnetic Shunk 3. No Good, Mr. Holden 4. An Industry of Murder 5. The Apple and the Tree 6.From a Hole in the Wall 7. Exit 97 8. Cause & Defect 9. Granny & Davis 10. Hisingen Blues 11. The Suits, the Law & the Uniform 12. Too Much Is Not Enough 13. Goliath 14. Buying Truth (Tack & Förlåt) 15. Uncomfortably Numb
---- ENCORE ----
16. Ain't Fit to Live Here 17. Evil Ways 18. The Siren
Foto a cura di Maja Broggio
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Per fortuna si sono riformati i Graveyard, sempre piaciuti i loro dischi, spero che continuino cosi`. Anche i Troubled Horses non sono niente male, ho i loro due dischi che a me sembrano una riedizione moderna del garage anni 60`. Grandi!!!!! |
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