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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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( 5578 letture )
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I Graveyard sono una delle realtà più belle emerse negli ultimi anni. La loro capacità di interpretare un ruolo forte e credibile all’interno del movimento retro rock si fonda innanzitutto su una riconosciuta e rispettata capacità di scrittura. Niente effetti speciali, niente scandali, niente immagine brevettata, ma solo ottima musica e carisma interpretativo. La solidità di chi fa quello che ama e lo sa fare molto meglio di quasi tutti gli altri. La loro capacità di gestire i linguaggi garage, blues, rock, lo stoner, la psichedelia, fino ad arrivare ad un proto metal mai pienamente abbracciato ma latente e riconoscibile in alcuni passaggi, unita alla riconoscibilità ormai acquisita della propria identità, grazie anche a un interprete formidabile come Joakim Nilsson, fanno di questa band svedese una vera delizia. Una di quelle band che virtualmente potrebbe piacere a chiunque, per la trasversalità di una proposta di fatto senza confini temporali o di genere e per la qualità stessa dei brani. Che la band sia infatti in grado di scrivere delle ottime canzoni capaci di reggersi anche singolarmente, senza per forza fare massa come accade spesso nei prodotti di genere, è un altro degli aspetti convincenti della loro proposta. Il calore, la profondità dell’ispirazione e le qualità individuali, sublimate dalla bellissima voce di Nilsson sono una delle gioie che gli anni 2000 ci stanno riservando.
Giunti al fatidico terzo album dopo l’ottimo debutto omonimo del 2007 e l’incredibile ritorno del 2011 con Hisingen Blues, i Graveyard sono di fatto una delle punte di diamante di un genere che sta offrendo agli ascoltatori band di grandissimo spessore, ciascuna con una sua propria identità specifica, seppur tutte riconducibili a una generica ispirazione settantiana. Lo scoglio del terzo album viene affrontato dagli svedesi con una naturalezza e una facilità impressionante: nessuna correzione di rotta, nessuna innovazione fine a se stessa, nessun salto nel vuoto. La formula è ormai consolidata e sono i particolari ad andare a posto: spazio ad un lavoro di cesello in fase di arrangiamento, a una prestazione ragionata e maggiormente votata all’interpretazione senza per questo rinunciare all’impatto, a una tracklist ben strutturata e di qualità omogenea, con i soliti due-tre brani di rango superiore a elevare la qualità complessiva del disco. La consapevolezza dei propri mezzi e l’apparente semplicità con cui queste nove canzoni fluiscono dalle casse dello stereo sono evidenti e quasi consolatorie. Lights Out si fa ascoltare con piacere e va giù come una birra fresca d’estate, senza scossoni e senza momenti di stanca o di minor ispirazione. Il percorso dei Graveyard è lineare e non si può davvero rimproverare alla band di aver voluto giocare sul sicuro, dato che il livello dell’album è in tutto paritario a quello dei dischi che l’hanno preceduto, ma con una maturazione ancora maggiore ed evidente. La band non abbassa neanche il tiro, mantenendo la capacità di graffiare e scalciare, al pari di quella di coinvolgere e ammaliare. I brani sono vigorosi, apparentemente grezzi e velati di psichedelia, capaci di abbandonarsi a languidi blues, come a scalpitanti schegge hard rock con venature stoner. Il tutto sempre conservando un gusto per la melodia settantiana e per la commistione di generi che porta il gruppo ad abbracciare ispirazioni diverse senza che una prevarichi sull’altra. In questa esplorazione nascono così brani come Endless Night, garage rock spaziale e psichedelico con un cantato che ricorda i Doors, o le bellissime Slow Motion Countdown e Hard Times Lovin’ nelle quali Nilsson giganteggia con una interpretazione che va a raggiungere il compianto Jeff Buckley, al quale si affianca ancora il fantasma di Jim Morrison. Più movimentate e roventi l’opener An Industry of Murder, Seven Seven che sembra quasi una canzone dei Monster Magnet, The Suits, The Law & The Uniforms che invece richiama i Creedance Clearwater Revival e i Grand Funk Railroad. Ancora ottime e urticanti Goliath e Fool in the End, mentre 20/20 Tunnel Vision chiude ottimamente e con un pizzico di malinconia un disco di indubbio spessore.
Light Out conferma insomma tutte le giuste ambizioni dei Graveyard, testimoniando che Hisingen Blues, di cui sembra in tutto una seconda parte, non è stato un caso, ma frutto di una maturazione artistica e di un consolidamento di scrittura evidente e riuscito. I Graveyard oggi sono una band dotata di una personalità spiccata, che tramanda e rinnova un linguaggio antico senza complessi di inferiorità e tracciando una strada propria. La qualità del disco è pari a quella degli album che lo hanno preceduto e questa è già una buona notizia. Come già detto non si può rimproverare loro di aver giocato sul sicuro con Lights Out, ma semmai di aver esplorato a fondo e con merito il proprio spettro espressivo, migliorando le proprie qualità di scrittura e componendo un disco inattaccabile e ricco di arrangiamenti stratificati e mai così validi e centrati. Cosa la band saprà donarci in futuro resta invece un punto aperto: il rischio di ripetersi da ora in avanti è concreto, eppure è proprio l’apparente facilità con la quale la band suona e compone a far sperare. Non resta che godersi queste nove splendide canzoni e lasciare che siano esse a riempirci la testa e il cuore: per il momento siamo su livelli ottimi e tanto basta.
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13
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@ ai Capi Redattori..........Scusatemi tanto, ma la recensione del nuovo " Innocence & Decadence"? Dovrò aspettare il 2017 ??? Questa è una mancanza molto grave per un sito come il vostro che si occupa di musica a 360° |
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11
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Graveyard e Witchcraft sono ottime band! Adesso poi ci sono anche gli Horisont, Free Fall ed i Troubled Horses.... ne vedremo delle belle in futuro. La Svezia sta salvando il rock, quello fatto come Dio comanda!!! ROCK ON!!!! |
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10
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Appunto è strano come la Nuclear Blast abbia sotto etichetta una band così di valore, originale e in gamba, finalmente una ventata di freschezza nel rock come dio comanda, da una band giovane che sa il fatto suo. Bravi davvero..e non solo al primo colpo |
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9
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No, questa band per quanto mi riguarda è la migliore degli ultimi 20 anni. Sto adesso ascoltando l'album, sono a dir poco allucinanti. Dei poeti musicali. |
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8
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Oh, bello! Non vedo l'ora di ascoltarlo; non sapevo avessero già un nuovo album! |
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7
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@Undercover: no, prevedibile no. Diciamo che hai i tuoi punti fermi @Witchcraft: questa volta sono stato io a rubarti la recensione eheheh ma vedo che comunque la disamina è comune  |
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6
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@Lizard son prevedibile eh ahah... |
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5
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grande Lizard, ti avrei rubato volentieri questa recensione ahahahah, ma devo ammettere che è stato un piacere leggerla, come sempre del resto con le tue rece....un ottimo album anche se leggermente inferiore ad Hisingen Blues....voto perfetto.... |
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4
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ahahaha immaginavo il tuo commento Undercover  |
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3
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Uno dei rari casi per cui vale la pena seguire la N.B. |
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Queste recensioni voglio... questo è ROCK. Bravo! Cazzo!! |
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Dischetto onesto. Segue a capo chino le orme dell' ottimo Hisingen Blues (che in ogni caso rimane il mio lavoro preferito dei Graveyard) Voto : 80. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. An Industry of Murder 2. Slow Motion Countdown 3. Seven Seven 4. The Suits, The Law & The Uniforms 5. Endless Night 6. Hard Times Lovin’ 7. Goliath 8. Fool in the End 9. 20/20 (Tunnel Vision)
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Line Up
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Joakim Nilsson (Voce, Chitarra) Jonathan Ramm (Chitarra) Rikard Edlund (Basso) Axel Sjöberg (Batteria)
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