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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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19/11/2023
( 1165 letture )
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Peace, ultima fatica sulla lunga distanza degli svedesi Graveyard, risalente addirittura al 2018, segnò una repentina battuta d’arresto, per lo meno sul piano qualitativo, in un percorso artistico che fino ad allora non aveva conosciuto passi falsi o quasi. Quella che sembrava una carriera gloriosa suffragata dai primi tre album di una discografia quasi perfetta venne prima messa in discussione da un quarto lavoro, Innocence & Decadence, non all’altezza delle pubblicazioni precedenti ma per lo meno più che dignitoso, e poi bruscamente interrotta appunto da Peace nel 2018, pubblicazione che lasciò l’amaro in bocca ai fan così come alla critica discografica, ridimensionando, almeno temporaneamente, le ambizioni della band svedese e le altissime aspettative riposte in essa. Dopo quella prova non esaltante seguirono gli anni della pandemia che costrinsero la band ad una lunga pausa forzata, ma rappresentarono pure un’imprevista occasione per poter ricaricare le batterie e dare forma e voce alle nuove composizioni destinate al sesto album, senza la pressione di dover rispettare scadenze programmate e relative attività promozionali imposte dalla produzione e dalla casa discografica. Come ogni grande artista, i Graveyard trassero vantaggio da questa concomitanza di avversità riuscendo a canalizzare l’angoscia e la malinconia legate all’isolamento e al lockdown in energia creativa, invertendo la rotta che li avevi relegati ed impantanati in una stasi artistica senza apparente via d’uscita. Fast forward al 2023: Nuclear Blast Records annuncia che il nuovo album è finalmente pronto per essere pubblicato, dopo due sessioni di registrazione sotto l’attenta supervisione dello storico produttore Don Ahlsterberg, graditissimo ritorno di colui che aveva contribuito alla magia dei primi tre riuscitissimi album della band svedese.
Fin dal titolo, 6, diretto ed essenziale risulta chiaro come i Graveyard mirino al sodo, al nucleo della propria poetica per ricostruire da zero o quasi una nuova musicalità, riconnettendosi con le origini della musica rock. Sì, perché 6 è un album intimo e minimale, che scava sotto alla crosta rocciosa del rock duro alla ricerca di quei suoni e quei generi che hanno portato alla sua nascita. Con buona pace di chi attendeva un ritorno alle sonorità graffianti e tumultuose dei primi lavori, 6 prende una direzione diametralmente opposta senza comunque disdegnare fugaci passaggi fatti di ruvide distorsioni. Una decisione ribadita con veemenza fin dalla canzone d’apertura, Godnatt, un lento ed intimo blues intriso di forte malinconia, sentimento che tingerà a sprazzi 6 in quasi tutta la sua interezza. Il rock più duro, sempre e comunque mitigato dal blues, riaffiora nelle composizioni successive; in Twice le ritmiche sostenute e un ritornello volutamente melodioso ammiccano alle produzioni di inizio anni Novanta dei The Black Crowes, mentre I Follow You si rifà ai Led Zeppelin, grazie alla giusta commistione di riff e parti solistiche. Ma è con Breathe In Breathe Out che i Graveyard piazzano la prima zampata, con una canzone che si addentra nei songbook dei grandi artisti americani dei Sessanta e Settanta, mescolando la lisergica sensualità dei The Doors alle sfumature country degli America ed Eagles. Esattamente a metà percorso, Sad Song è quanto di più lontano dal rock i Graveyard abbiano mai composto e suonato; una composizione più vicina al repertorio di un cantautore folk che al rock duro, una malinconica ballata che potrebbe tranquillamente essere uscita dalla penna di Bob Dylan. Pochi minuti in cui si riassaporano i Graveyard delle origini, con l’impetuosa Just a Drop, e si ripiomba nella crepuscolare Bright Lights, dove le note delle chitarre di Jonathan La Rocca e Joakim Nilsson si muovono dimesse e timide per poi esplodere in un refrain corale che ha la carica esaltante delle grandi canzoni della spiritual music. No Way Out, ammantata di cupa frenesia, apre la via a Rampant Fields, un ideale punto d’incontro tra i Graveyard del passato e quelli che forse saranno, in grado di fondere arrangiamenti solistici tipici dei grandi bluesmen alle dinamiche elettriche e distorte dell’hard rock, ripercorrendo in maniera personale un sentiero aperto in primis proprio dai Led Zeppelin.
6 è un album destinato a dividere i fan più intransigenti dei Graveyard così come la critica musicale poco avvezza al cambiamento. Il ritorno alla regia di Don Ahlsterberg è chiaramente riscontrabile non tanto nella musicalità proposta, lontana dai primi imprescindibili album, quanto nella coesione generale di un album che affronta a testa alta i giganti della musica blues e rock degli ultimi settant’anni senza venirne schiacciato. Non a caso, anche in sede produttiva, questo viaggio a ritroso ha visto la band svedese adottare nuovamente una strumentazione puramente analogica, nella ricerca dei primi lontani vagiti della musica rock. Se le ultime prove sulla lunga distanza dei Graveyard avevano lasciato l’amaro in bocca per via di composizioni affidate a tanto mestiere e poca ispirazione (sempre con qualche ottima eccezione), in 6 è vero il contrario. I Graveyard non si nascondono più e mettono a nudo e condividono sentimenti di disagio, frustrazione e malinconia, senza voler suonare forti e grintosi a tutti i costi. Una metamorfosi che ha origine con un fragile ed indifeso bruco che finalmente emerge dalla crisalide come una nuova e leggiadra farfalla, le ali tinte di nuovi ed accattivanti colori. Paradossalmente, liberatisi una volta per tutte dalla necessità di dimostrare il proprio valore, i Graveyard fanno esattamente quello: dimostrare al mondo che questi inossidabili artisti sono tutto tranne che finiti e che hanno ancora tanto da dare alla musica in generale. 6 è l’album che narra del ritorno del figliol prodigo dopo un periodo di smarrimento e lontananza, ed è l’abbraccio caldo e sincero ai fan, quelli veri, quelli capaci di perdonare, a coloro che non hanno mai smesso di credere e sperare. Bentornati a casa, Graveyard.
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6
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Che grande gruppo!! Ottimo disco, veramente tanta ma tanta roba!! Voto 85 |
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5
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Ascoltato da disco fisico 5 volte di seguito.I Promosso davvero.78 |
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4
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Si, vero, il mio è stato un commento scontato. Però ammetto di non apprezzare ciò che è venuto dopo troppo pulito e moscio. Questo disco qui è malinconico, elegante, però non mi ha preso. Lo devo risentire bene, ma i primi ascolti mi hanno deluso |
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3
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bè epic il disco a cui fai riferimento è un disco enorme e tra l\'altro è il disco con cui li ho conosciuti. |
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2
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Non mi ha colpito, purtroppo. Haisingen blues resta il loro apice, quello si bellissimo |
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1
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Per me il loro capolavoro, personale come non mai e soprattutto malinconico come non mai .. perfetto per il periodo |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Godnatt 2. Twice 3. I Follow You 4. Breathe In Breathe Out 5. Sad Song 6. Just a Drop 7. Bright Lights 8. No Way Out 9. Rampant Fields
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Line Up
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Joakim Nilsson (Voce, Chitarra) Jonathan La Rocca (Chitarra) Truls Mörk (Basso, Voce) Oskar Bergenheim (Batteria)
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