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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
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STEVEN WILSON - Atlantico Live, Roma, 10/02/2018
16/02/2018 (2157 letture)
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Nuova calata italica per il progster tuttofare Steven Wilson a supporto dell'ultima uscita discografica To The Bone, finita nell'occhio del ciclone soprattutto a causa dell'approccio e delle sonorità di alcuni brani, tendenti al pop più che al progressive. Il tour europeo è cominciato a fine gennaio e ha toccato l'Italia il 9 e 10 febbraio, rispettivamente a Milano e Roma. Superata una certa titubanza iniziale, dovuta più che altro alla combinazione prezzo (€ 45 circa)/location (Atlantico, ex Palacisalfa) decido di imbarcarmi per assistere al concerto, forte dell'esperienza del tour precedente dove il nostro aveva riproposto integralmente Hand. Cannot. Erase. Dopo aver parcheggiato agevolmente, mi metto pazientemente in fila fuori dal locale. La fila, però, scorre davvero lentamente, più del solito, forse a causa dei controlli di sicurezza più approfonditi. Giunto nel locale (quasi del tutto pieno) appena in tempo per riuscire a trovare una posizione non troppo scomoda, alle 21:05, stranamente puntuale, il concerto comincia.
STEVEN WILSON Un telo trasparente divide il pubblico dal palco. Una voce annuncia l'inizio imminente di un video, e invita gli spettatori a prenderne attentamente visione. Come annunciato infatti, il video viene proiettato direttamente sul telo. Si tratta di una breve introduzione al tema di To The Bone: parole sovraimpresse su immagini, che nel corso del video cambiano per far sì che le stesse parole vengano associate ad altre immagini. Il significato veicolato dal video è indubbiamente affine alle parole e ai concetti che sottendono ai brani dell'album, ovvero che la verità è soggettiva e varia a seconda degli occhi di chi guarda una determinata cosa: Once we've made sense of our world, we wanna go fuck up everybody else's because his or her truth doesn't match mine. But this is the problem. Truth is individual calculation. Which means because we all have different perspectives, there isn't one singular truth, is there? Finito il momento di riflessione, le note di pianoforte di Nowhere Now riscaldano gli animi e portano direttamente il pubblico nell'anima più pop di Steven Wilson. I suoni sono perfettamente bilanciati, e vale la pena notare che, seppur la location sia alquanto spartana, nel corso degli anni l'acustica dell'Atlantico è migliorata notevolmente (o più probabilmente i fonici dell'artista inglese sanno davvero il fatto loro). Wilson imbraccia la chitarra acustica per Pariah, per chi scrive il brano più bello di tutto To The Bone, ma è un vero peccato che la voce di Ninet Tayeb sia solo virtuale, proiettata sul telo che divide il pubblico dal musicista. Si continua con una doppietta tratta da Hand Cannot Erase: Home Invasion e lo strumentale Regret #9, che danno modo alla band di Steven, composta ancora una volta dai fidi Nick Beggs al basso (nonché quando necessario al chapman stick), Craig Blundell dietro le pelli, Adam Holzman alle tastiere e Alex Hutchings alla chitarra solista, di mostrare le notevoli doti strumentali. Dopo la sorpresa di The Creator Has A Mastertape, brano dei Porcupine Tree stranamente inserito nella prima metà della scaletta, vengono proposti altri due pezzi da To The Bone, nello specifico Refuge e People Who Eat Darkness (quest'ultima, come si cura di spiegare il cantante, ispirata alla passione per i serial killer di sua madre), che dal vivo funzionano il giusto e conducono senza troppi patemi al break di metà concerto.
Dopo un abbondante quarto d'ora, il gruppo torna e le note di Arriving Somewhere but Not Here causano urla di giubilo tra il pubblico: il brano è senza dubbio il punto più alto del concerto, accompagnato dalle suggestive immagini proiettate sullo schermo retrostante ai musicisti. Comprensibilmente, viene dato ancora grande spazio a To The Bone, del quale nel corso dello show vengono proposti ben otto brani, inclusa la discutibile Permanating. Proprio questo brano induce il buon Wilson ad un soliloquio che narra la storia di come egli, a causa della passione della madre per il pop anni '70 (in particolare per gli ABBA) e a causa del ripetuto ascolto dei dischi di Prince dopo la morte di quest'ultimo, ne sia stato colpito a tal punto da volerne sperimentare le sonorità. Se questo sia riuscito o meno, ai posteri l'ardua sentenza. Noi, dopo l'innocua Song of I, ci rifugiamo nel porto sicuro dell'immancabile Lazarus, cantata all'unisono da tutti (o quasi) i presenti. Sempre per rimanere in ambito Porcupine Tree, la band tira fuori dal cilindro Heartattack In A Layby e Sleep Together, due brani meno noti tratti da due album di grande successo del gruppo, nonché una versione solo chitarra e voce di Even Less, suonata dal solo Steven Wilson sulla sua Telecaster tramite un mini amplificatore: semplice, ma di grande impatto. Chiudono il concerto due pezzi solisti tratti dai precedenti lavori di Wilson, Harmony Korine e The Raven That Refused to Sing, quest'ultima accompagnata dal relativo video promozionale e degna conclusione di un lungo show.
Insomma, dopo quasi tre ore di musica, Steven Wilson si riconferma come un grande professionista, sia per la dedizione al suo pubblico, sia per l'ottima band che lo accompagna, sia pure per le lodi sperticate all'Italia fatte durante un po' tutto il concerto. I brani del nuovo disco, a parte qualche eccezione, hanno retto discretamente bene il paragone con il resto della discografia, e chi era venuto per ascoltare qualche brano degli ormai estinti Porcupine Tree non è rimasto certo deluso. La nota negativa purtroppo, è sempre la venue: per concerti di questo calibro ci sarebbe bisogno di un luogo più attrezzato e più comodo, che a Roma, per spettacoli di medie dimensioni (da 500 a 2000 persone) è sempre mancato. A questo si va ad aggiungere il prezzo non proprio economico del biglietto, su cui alla fine si chiude sempre un occhio per amore della musica che si andrà ad ascoltare. SETLIST Intro ("Truth" short film) Set 1 Nowhere Now Pariah Home Invasion Regret #9 The Creator Has a Mastertape (Porcupine Tree song) Refuge People Who Eat Darkness Ancestral
Set 2 Arriving Somewhere but Not Here (Porcupine Tree song) Permanating Song of I Lazarus (Porcupine Tree song) Detonation The Same Asylum as Before Heartattack in a Layby (Porcupine Tree song) Vermillioncore Sleep Together (Porcupine Tree song)
---Encore--- Even Less (Porcupine Tree song) (SW solo) Harmony Korine The Raven That Refused to Sing
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4
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Identica scaletta proposta a Milano agli Arcimboldi, SW è sempre un bel concerto a cui andare, sinonimo di suoni curatissimi, pulizia e perizia nell'esposizione dei pezzi. E con l'andare degli anni, il nostro si lascia trasportare pure fra soliloqui, battute e botta e risposta col pubblico. A Milano quando ha chiesto chi c'era a fine anni 90 per il tour di Even Less e in diversi gli hanno risposto affermativamente, gli ha detto "Quanto siete vecchi!". Allora qualcuno dal fondo gli ha risposto "Pure tu!", e lui fra le risate generali "Grazie per avermelo ricordato!"  |
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3
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Bravo Alessandro. Ero presente anch'io. L'Atlantico era pienissimo (gente sulle scale e quasi al limite della legalità). Wilson mi ha folgorato, il più bel concerto che abbia mai visto e, fidatevi, ne ho visti tanti. Non ho mai assistito ad uno spettacolo così curato e coinvolgente. Soldi spesi benissimo e che rispenderei altre mille volte. Se ci fosse stata Ninet Tayeb (presente a Madrid e qualche altro posto che non ricordo), sarebbe stato UNICO. A mio parere, ANCESTRAL, tratta da Hand.Cannot.Erase., è stato il punto più alto mai raggiunto durante lo show,. Poi la chiusura con The Raven That Refused to Sing è stata davvero commovente tanto che Wilson non voleva chiudere con l'ultimo accordo. Memorabile.
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Il 9 a fontaneto c'erano gli iq, la concomitanza con wilson li ha relegati in secondo piano ma nonostante cio' era bello pieno.io comunque preferisco 5 minuti di iq a 90 di wilson |
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Un appunto: l'Atlantico può contenere fino a 4000 persone, non 500 - duemila. |
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