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27/04/25
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ROB ZOMBIE - Devil's Eyes - Tra il palco e lo schermo
27/10/2022 (696 letture)
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INTRODUZIONE Rob Zombie, un folle visionario che ha saputo unire due mondi. Da una parte la musica rock e metal e dall’altra il cinema horror, mondi che collidono da sempre e che lui ha saputo miscelare sapientemente, con una base che va persino oltre e prende anche da fumetti, letteratura e televisione. Il libro di Edoardo Trevisani, autore di altri saggi sul cinema horror, scava nei folli deliri del nostro eroe e analizza la sua carriera partendo con i parallelismi tra ciò che il buon Rob ha fatto con la musica e con i suoi primi videoclip. Interessante scoprire che alcuni video di gruppi come Prong sono stati diretti da lui ai tempi dei White Zombie e che Dreamer di Ozzy Osbourne è un suo lavoro. E dopo aver analizzato la musica dei White Zombie e i loro videoclip - sottolineando l’evoluzione fino a I’m Your Boogieman in cui Rob raggiunge la sua forma definitiva - e la seguente carriera solista, si parte con la sezione più interessante del libro, cioè la sua carriera di regista che in questo libro arriva fino al film 31 del 2016.
LA CASA DEI 1000 CORPI E LA CASA DEL DIAVOLO Il libro non si sofferma tanto sulle tecniche cinematografiche dei film di Zombie, quanto sul contenuto ed è un’analisi molto profonda che scava non solo sulle citazioni e i riferimenti che sono alla base de La casa dei 1000 corpi e del suo seguito, ma porta alla luce molto di più. Nei film di Rob Zombie troviamo l’America nuda e cruda, fatta di redneck e spietati assassini, senza pietà come è per i reali fatti di cronaca e non come nei film di Hollywood in cui c’è sempre una speranza. E Trevisani cattura proprio il significato di ciò che avviene nello svolgersi dei film, sorprendendo il lettore perché il contenuto sociologico, ebbene sì, anche filosofico, dei film di Rob Zombie (nonostante i pregiudizi che si possono avere su di lui come regista) è innegabile dopo un’attenta disamina come quella di questo libro. Dal cartello con scritto “God is dead” all’inizio de La casa dei 1000 corpi fino al suo epilogo che non lascia intendere nessuna via d’uscita dall’orrore senza fine della famiglia Firefly, si trovano continui riferimenti ad un mondo fatto di ipocrisie come quello americano, in cui i simbolismi della borghesia e della normalità vengono più volte consapevolmente distrutti e le vittime sono infatti ragazzi benestanti che subiscono il fascino della storia del Dottor Satana e finiscono per pagarne le conseguenze; quasi a voler mostrare allo spettatore, come in Funny Games di Haneke, che il sadismo di chi cerca l’orrore non è così distante da quello di chi lo pratica o che perlomeno le due cose possono finire per incontrarsi. Soprattutto nel seguito, La casa del diavolo, le riflessioni sono molte, il bene rappresentanto dallo sceriffo Wydell in realtà non è meno crudele del male, cioè i Firefly e Spaulding, e i reietti del diavolo che vanno incontro alla loro fine hanno ricordi felici di momenti normali e pacifici, segno che anche nella loro psicologia perversa c’è forse un qualcosa di umano. Ma c’è anche molto di più: oltre a mettere a confronto i “white trash” e i ragazzi di città Rob Zombie ha un intero mondo di riferimenti che in questi primi due film finiscono forse per strabordare, dalla trama del primo che rimanda fin troppo a Non aprite quella porta e i riferimenti a John Wayne, a Groucho Marx e il divertente siparietto de La casa del diavolo in cui Wydell insulta un critico cinematografico che, in una consulenza proprio riguardo a Marx e agli pseudonimi dei Firefly con la polizia, insulta il re Elvis Presley.
I DUE HALLOWEEN Per il suo primo Halloween Rob passa ad una grande produzione e il film difatti, nonostante la violenza e le volgarità siano ancora presenti, è meno sporco rispetto ai primi due e all'epoca si rivelò un successo al botteghino. Anche se Zombie ha comunque inserito Michael Myers nel suo mondo fatto di parolacce e volgarità estreme, rendendo indiscutibilmente suo il film, la trama finisce per non allontanarsi troppo dall’originale di John Carpenter, mentre con il secondo film la sperimentazione finisce per prendere il sopravvento e stravolgere alcuni ruoli. Infatti il Dottor Loomis interpretato da Malcolm McDowell qui diventa malvagio e avido, interessato a lucrare sul suo rapporto con Michael, e Laurie Strode non è più una ragazza sobria e pronta a difendersi, ma passa da diverse fasi con l’avanzare della trama e dopo aver scoperto la verità sulla sua parentela con Myers soffre e si rafforza allo stesso tempo. Sebbene questa evoluzione del personaggio sia comunque approfondita e interessante non è stata molto apprezzata dagli autori originali del film come riporta Trevisani, infatti Debra Hill (sceneggiatrice insieme a Carpenter del primo film e anche di altri della saga) fa notare come Laurie sia inizialmente troppo caratterizzata come vittima indifesa persa nei suoi incubi.
LE STREGHE DI SALEM E 31 Dopo aver avuto la sua fase di cinema mainstream Rob ritorna a delle produzioni meno costose. Le streghe di Salem è una sperimentale e inquietante pellicola in cui si dà spazio ad una sorta di Rosemary’s Baby con un interessante base storica sugli avvenimenti di Salem, di cui Rob riporta i nomi di alcuni personaggi coinvolti che vengono rappresentati volutamente in modo stereotipato come viene sottolineato dall'autore; e poi il più diretto di tutti i suoi film: 31. Se il primo ha tanti contenuti interessanti e offre ancora spunti psicologici - la tossicodipendenza di Heidi (la onnipresente Sheri Moon Zombie) e la sua incapacità di amare per esempio - il secondo è un film senza fronzoli e dritto al punto. Atmosfera per il primo e violenza per il secondo, inquietante uno e potente l’altro. Ma se Le streghe di Salem, nonostante abbia diviso, è indubbiamente un lavoro dietro cui Rob ha lavorato molto sia come preparazione e sceneggiatura che caratterizzazione (ne ha scritto anche un romanzo) 31 invece è fin troppo semplice e i cliché sono decisamente eccessivi; anche se resta un lavoro interessante non c’è la profondità che Trevisani ha fatto notare negli altri. Non per questo il film va ignorato nella filmografia di Zombie, anzi ha sicuramente una sua identità estrema che riesce nel difficile compito di superare quella degli altri.
CONCLUSIONE Un libro da recuperare per chi vuole approfondire il cinema di Zombie, che nonostante tratti anche della musica dell’artista offre il meglio del proprio contenuto appunto nell'analizzare i suoi lavori come regista. E se vi piacciono i suoi film la lettura è d’obbligo perché ci sono molte più cose da dire di quanto si può immaginare riguardo al folle mondo del nostro. Non è solo un viaggio tra fumetti, b-movies e cultura rock, sotto a tutto questo si nasconde una persona molto intelligente e acculturata, che preferisce mascherare la sua arte sotto le influenze di subculture sporche, individuabili nei film di Russ Meyer, nella nazisploitation e in tante altre folli forme d’arte, che forse rendono ancora più geniale l’irriverenza di qualcuno che sceglie di chiamarsi Zombie come artista.
::: ::: ::: RIFERIMENTI ::: ::: ::: AUTORE: Edoardo Trevisani TITOLO: Devil’s Eyes: Rob Zombie tra il palco e lo schermo EDITORE: Shatter Edizioni PAGINE: 133 PREZZO: 16,00€
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