Esplorando continuamente lo sterminato parco di sottogeneri del metal, a volte può capitare di ritrovarsi spaesati di fronte ad una varietà di stili così immensa da rendere quasi arduo credere che tutto sia nato da un solo genere. È proprio per questo che fa piacere vedere come molte band, anche relativamente recenti, dedichino la propria carriera a tributare il metal più classico, quello da cui si sono diramati, nel corso del tempo, tutti i diversi filoni che oggi conosciamo. Gli Stormzone rientrano proprio in questa categoria. Nati nel 2004, per volere del cantante John “Harv” Harbinson, inizialmente come studio project, poi evolutosi ben presto in una vera e propria band grazie al reclutamento da parte di Harbinson di una line-up completa, per l’allora nascente formazione inizia una fortunata carriera che li vede condividere il palco con band del calibro di Saxon e Stryper, partecipando altresì a festival come Wacken, Bloodstock e Sonisphere, giungendo infine, nell’agosto 2015, a tagliare il traguardo del quinto album, un concept sui sette vizi capitali che risponde al titolo (appunto) di Seven Sins.
Come già anticipato, la proposta musicale degli Stormzone è un heavy metal di stampo maideniano, con qualche lieve sfumatura thrash. Dopo un’introduzione dai toni vagamente orientaleggianti, il riff esplosivo di Bathsheba da il benvenuto all’ascoltatore con un lodevole impatto sonoro, nel quale spicca senza mezzi termini la chitarra di Steve Moore (anche produttore del disco), dotata di un suono aggressivo che conferisce, tanto alle ritmiche quanto alle elaborate e veloci solistiche, un carattere che saprà farsi apprezzare da chi ama i suoni duri ma ben studiati. La seguente Another Rainy Night, forse uno dei pezzi più riusciti dell’intero platter, sprizza classic metal da ogni nota, grazie ad una melodia diretta, sorretta da un ritmo cadenzato, sul quale regna sovrana l’acuta voce di Harbinson, dotata di un timbro pulito che, in alcune sfumature, mostra una vaga ispirazione a Jorn Lande e Geoff Tate (oltre che prevedibili forti richiami a Bruce Dickinson), dividendosi il ruolo da protagonista con la chitarra di Moore. Il disco prosegue, fra rimandi alle classiche cavalcate tipiche della NWOBHM, come nel caso di You're Not the Same e Abandoned Souls, ed alcuni pezzi più melodici come Special Brew, senza però mai abbandonare del tutto la carica che pervade l’intero lavoro. Il quartetto di Belfast non disdegna nemmeno divagazioni un po’ più estreme, come nel caso di I Know Your Pain, il brano più pesante della setlist, dotato di un riffing rabbioso ed un ritmo serrato che in alcuni passaggi ricorda, seppur molto alla lontana, persino un pezzo degli Slayer. Anche sotto il profilo tecnico i Nostri non scherzano: oltre alla già citata ottima performance del vocalist, un plauso va ancora al già citato Steve Moore, fautore di una produzione limpida e qualitativamente eccelsa, oltre che di assoli chitarristici tecnicamente impeccabili. Diverso il discorso invece per la sezione ritmica, che pare essere messa in secondo piano, con il basso di Graham McNulty troppo spesso nascosto e la batteria di Davy Bates che fa il proprio dovere, ma nulla di più. Un peccato, vista soprattutto la qualità dei pezzi, per nulla banali, ma in fin dei conti non si sta parlando di veri e propri difetti in grado di minare l’ascolto complessivo.
Gli Stormzone con questo nuovo disco rimangono fedeli alla propria natura, confezionando un vero e proprio tributo agli anni d’oro dell’heavy, opportunamente svecchiato con una veste aggressiva e moderna che rende Seven Sins un buon mix di ciò che ha reso grande questo genere. Al quartetto non andrà il merito di aver inventato qualcosa di nuovo, ma sicuramente possono dire di aver dato il loro contributo per tenere alta la bandiera dell’heavy metal.
|