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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 1466 letture )
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Un piacevole album di heavy metal classico, ben cantato e ben suonato. La recensione potrebbe finire qui, gli Stormzone non inventano e non propongono nulla di innovativo, ma avessimo a che fare più spesso con dischi come Three Kings potremmo stare tranquilli sul buono stato di salute del nostro amato hard’n’heavy. La band irlandese nasce nel 2004 come project studio da un’idea del cantante John Harv Harbinson e del bassista Graham McNulty, entrambi ex Sweet Savage, e si dedica inizialmente ad un AOR molto melodico, per poi virare verso un più roccioso hard’n’heavy fortemente influenzato dalla NWOBHM. Three Kings è il loro quarto album, primo sotto l’etichetta Metal Nation Records, e segue di solo un anno Zero to Rage, ben accolto da pubblico e critica. Il sound della band è molto old school e la sensazione è che il gruppo abbia volutamente scelto un mixaggio ed una produzione che suonasse un po’ datata per rimarcare le proprie origini ottantiane, scelta che tutto sommato si rivela piacevole e vincente. Ciò che l’ascoltatore troverà saranno brani ben composti ed eseguiti, senza ricercare il suono potente, ma cercando di valorizzare le composizioni; l’unica pecca, che era riscontrabile anche nel disco precedente, è il divario di volume tra voce e strumenti a favore della prima, difetto piuttosto banale per una band professionista che pur senza rovinare il giudizio globale di un disco riuscito non riesce a valorizzarlo al 100%.
I have nothing to offer but blood, toil, tears and sweat. May 13, 1940 Le parole di uno dei discorsi di Winston Churchill su rullate di batteria che tendono a ricreare atmosfere da campo di battaglia guidano The Pain Inside, che col suo classic metal senza compromessi funge bene da opener del disco. Il tempo per gli Stormzone si è fermato a metà anni 80, quando Iron Maiden e Judas Priest continuavano a stupire coi loro capolavori seminali; vocalmente, John Harv Harbinson ricorda vagamente il buon Bruce Dickinson, soprattutto nel vibrato. La Vergine di Ferro ed i connazionali Thin Lizzy sono sicuramente i punti di riferimento per trovare similitudini stilistiche, grazie anche alle varie trame chitarristiche a cura dei bravi Steve Moore e David Shields. Il brano è trascinante e coinvolgente, piace nonostante una sensazione di già sentito che, considerata la proposta musicale, aleggia per tutta la durata del disco, catapultando l’ascoltatore venticinque anni indietro nel tempo. Inutile nascondere che l’intro di Spectre lo possiamo trovare almeno in altre decine di canzoni di metal classico, ma il brano si sviluppa con una linea vocale piacevole e un ritornello perfetto in sede live. Discorso simile per Stone heart, canzone dal coro coinvolgente ed in cui troviamo interessanti stacchi acustici che ricordano i Maiden di Piece of Time, in cui però John Harv Harbinson tende a voler strafare salendo con la voce e rasentando la stonatura, risultando così quasi fastidioso nelle note più acute; è necessario ascoltare il brano più volte per apprezzarlo. Promossi a pieni voti i due già citati axe-man, che sfoderano assoli azzeccati senza virtuosismi non necessari, ma con idee varie ed interessanti. Alive e Night of the Storm virano leggermente verso un metal più radiofonico, che strizza l’occhio ai Def Leppard od agli Whitesnake, caratterizzati dal buon lavoro delle chitarre che spaziano da parti acustiche a cavalcate elettriche a sostenere melodie e ritornelli ruffiani ma funzionali, che fanno presa al primo ascolto senza risultare però (troppo) banali o commerciali. Beware in Time è la riuscita ballata del disco, funzionale in tutte le sue parti, mentre la title track dopo un’intro presa in prestito ai Judas Priest di Killing Machine sfocia in un brano che difficilmente ci permetterà di tenere la testa ferma. Il resto dei brani conferma una buona qualità compositiva ed esecutiva, pezzi come Wallbreaker e Never Trust sono estremamente piacevoli e scorrono senza annoiare l’ascolto, così come tutto il disco non annoia e difficilmente viene la tentazione di premere il tasto stop o passare al brano successivo, anche se data la lunghezza del disco in termini di numero di canzoni – ben tredici – qualche brano in meno avrebbe giovato all’immediatezza del prodotto.
Three Kings è un buon disco, ma vanno sicuramente fatte un paio di considerazioni prima di consigliarne l’ascolto a scatola chiusa. Se da una parte, come evidenziato sopra, siamo al cospetto di brani ben composti e suonati in modo eccellente, dall’altra va considerato che tutto l’album suona molto retrò. Gli Stormzone arrivano infatti con una trentina d’anni di ritardo rispetto ai maestri del genere e qualche guizzo di sperimentazione o innovazione, sia nel sound che nelle idee, avrebbe reso il piatto più gustoso. La prestazione dei singoli è impeccabile, ma anche qui manca quel qualcosa in più che possa far drizzare le orecchie, nulla di indispensabile quando è la stessa band a volere un approccio volutamente classico, ma il limite tra il solito piatto sfizioso ed uno riscaldato è veramente sottile. In questo caso l’ago della bilancia pende verso la prima opzione, ma un ascolto in anteprima è caldamente consigliato prima di investire i vostri sudati risparmi.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Pain Inside 2. Spectre 3. Stone Heart 4. Alive 5. Night of the Storm 6. Beware in Time 7. Three Kings 8. The Pass Loning 9. I Am the One 10. Wallbreaker 11. Never Trust 12. B.Y.H. 13. Out of Eden
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Line Up
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John Harv Harbinson (Voce)
Steve Moore (Chitarra)
David Shields (Chitarra) Graham McNulty (Basso) Davy Bates (Batteria)
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