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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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26/09/2015
( 7962 letture )
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Il concetto di eternità sfugge per definizione agli esseri mortali, la cui esistenza su questa terra può a volte essere scioccamente percepita persino come duratura, ma che anche se si protraesse per oltre un secolo sarebbe pur sempre una frazione infinitesimale, insignificante dell'eterno. Eppure da millenni gli uomini si arrovellano cercando di dare contorni e confini a qualcosa che non riusciranno mai completamente a comprendere, nei limiti della loro natura umana. Una volta raggiunta questa consapevolezza, non resta che un'inevitabile conclusione: l'eterno non può che avere origine divina. Tutto ciò sfugge al nostro controllo, ci si può credere per fede, non si può averne la certezza, perlomeno non finché si è in vita. E dopo che succederà? Perderemo per sempre coscienza di noi stessi, la nostra anima smetterà in un attimo di esistere, finendo per sempre nell'oblio insieme a tutti i suoi ricordi, o forse vivremo in eterno in un altro mondo, magari migliore di questo, in cui tutti i nostri affanni e i nostri timori spariranno come per incanto? Tu credi che vivremo in eterno?
Soavi melodie ci accolgono nel dolce fluire di Sentient, intro strumentale in cui una struggente composizione alle tastiere viene ancor più immalinconita dalle tenui armonie della chitarra. Si inizia così a saggiare fin dai primi virgulti l'atmosfera intima e nostalgica di quest'opera. In più, voci fuori campo ci introducono allo scenario cui ci si troverà di fronte ma che non si è normalmente propensi ad immaginare, scenario a cui peraltro si intende esplicitamente far riferimento nella raffigurazione in copertina:
Distractions from the truths we dare not face At the edge of the universe, there are a million angels
Alterne sensazioni si avvicendano addentrandosi in queste ambientazioni sonore e visive, da un lato è come se si rimanesse in mesta meditazione, assorti, rapiti, ingessati, con l'animo leggero e pronto a proiettarsi verso luoghi ed immagini della mente; dall'altro, però, non si può non essere pervasi da un seppur lieve senso di mestizia e tristezza, il che è con molta probabilità una delle principali finalità degli autori di questi immaginifici scenari. Angelica, primo vero brano del platter, non può che seguire il mood dell'intro strumentale, finendo per risultarne intimamente connessa e anzi per acuire ulteriormente quel profondo senso di melanconica contemplazione. La struttura del brano è fluida e per niente usuale: su una solida base offerta dalle note di un basso particolarmente energico ed in primo piano, si diramano gli arpeggi ritmici e melodici delle due chitarre, ottimamente stratificati, che incorniciano la trama narrativa e si intrecciano in queste ritmiche in mid tempo, infarcite di pause evocative colme di suoni sintetici e sovrastate dalla vocalità in clean di Vincent Cavanagh. Qui ritroviamo già tutti i motivi classici del gothic più malinconico e poetico, quel senso di romantica tristezza e di decadenza che affonda le sue radici nell'opprimente angoscia del doom death degli esordi, ma che muove in una direzione del tutto differente, incontrando stili e linguaggi a prima vista molto distanti, come quello dell'alt rock e persino del prog rock. Il risultato non è facilmente classificabile, sebbene possa ancora considerarsi rientrante nell'universo gothic metal; probabilmente il modo migliore per esplicitarlo è attraverso un'etichetta non troppo diffusa, cioè quella del "trance/atmospheric metal", visto il grande risalto che viene conferito all'atmosfera ed al mood che si respirano sentitamente in ogni traccia di questo album, soprattutto per merito degli inserti tastieristici di Danny Cavanagh e Les Smith, che peraltro diverrà membro effettivo della band negli anni a venire. Dovendo dunque rivivere il modo in cui gli Anathema evolvono dal doom death degli esordi rispetto ad altre band ad essa contemporanee, sicuramente si può affermare che Eternity rappresenti un punto di svolta fondamentale nel percorso della band, che li porterà ad abbandonare quasi del tutto i tratti acerbi e ruvidi degli esordi e ancora parzialmente presenti in The Silent Enigma, attraverso una ricerca di sonorità nuove che finiranno per donar loro dei connotati assolutamente personali ed un'identità propria, distinta da quella di tutte le altre band coeve provenienti dallo stesso background. Eternity rappresenta dunque per la band inglese un passo fondamentale nella ricerca della sua nuova identità; questo processo arriverà a pieno compimento solo con il successivo Alternative 4, mentre in questo album inizia a prendere forma, dando vita ad una delle più interessanti ibridazioni stilistiche create dalla band nel corso della sua multiforme carriera e non solo.
Indubitabilmente il clou all'interno del disco si raggiunge nella triade di brani in cui è suddivisa la title track, firmata dal bassista Duncan Patterson, in cui aggressività ed atmosfere evocative si fondono per creare un quadro assolutamente coinvolgente ed unico nel suo genere. Eternity Part I è un susseguirsi di emozioni intense, un alternarsi di meravigliosi giochi di luci ed ombre, l'apoteosi del contrasto tra momenti intimamente legati ma apparentemente antitetici tra loro. È così che dunque oscuri frangenti di impetuosità, fortemente delineati da una sezione ritmica alquanto corposa ma soprattutto da spettrali suoni sintetici in primissimo piano, vengono solcati da agghiaccianti break evocativi, nei quali ancora una volta sono le tastiere in sottofondo a creare la cornice per i tenui arpeggi delle chitarre e i pur sporadici eterei vocalismi femminili, cortesia di Michelle Richfield, che in seguito collaborerà anche al progetto Antimatter, ideato dallo stesso Patterson e da Mick Moss. Il tutto si dipana attraverso una struttura ricca di progressioni e per nulla prevedibile, all'interno della quale troneggia l'interpretazione straordinaria del leader Vincent Cavanagh, finito inaspettatamente al microfono della band qualche anno prima, riuscendo ad essere profonda, adombrata e sfuggente, ma al contempo ossessiva e relativamente ruvida nei momenti di maggiore concitazione. In Eternity Part II echi di mondi lontani, riverberi di tempi perduti, vibranti insieme alle corde di una chitarra elettrica, in scenari quasi apocalittici e cibernetici creati ad hoc artificialmente, culminano negli eterei sospiri di una voce femminile quasi spiritica, aprendoci dolcemente la via verso l'ignoto:
Destiny, Infinity, Eternity Eternity Part III, posta più avanti nella track list, rappresenta la splendida conclusione di questa trilogia "capolavoro", in un crescendo straordinario di intensità guidato da robuste linee chitarristiche dall'accordatura bassa, cesellate da inserti tastieristici e linee vocali sempre più virulente. Se è pur vero che la triade rappresenti il cuore pulsante di Eternity, cionondimeno tutti i momenti dell'album meritano di essere sperimentati e vissuti con estremo interesse e coinvolgimento, nessuno escluso, neanche Hope, cover di un brano del cantante folk inglese Roy Harper, peraltro scritta in collaborazione con David Gilmour e preceduta magnificamente dai toccanti versi introduttivi enunciati dallo stesso artista. La cover si innesta perfettamente nel contesto, assumendo connotati psichedelici e spiccatamente rockeggianti. Alcuni brani imprimono dei decisi cambi di marcia, i ritmi si fanno più frenetici, le vocalità più impetuose, ma nulla è scontato perché break e progressioni rendono la loro struttura piuttosto elaborata e gli assoli chitarristici la impreziosiscono di pregevoli soluzioni tecniche. Altri sono intensamente dark -o, per meglio dire, gothic- fin dalle prime battute, oscurati dalle note basse dei cordofoni e delle parti vocali tormentate e angosciose. Può accadere che in essi esploda tutta l'energia sonora derivante da inevitabili reminiscenze doom o si sprofondi improvvisamente in arie melanconiche in cui il grondare della pioggia e le corde di una chitarra acustica riempiono l'animo di mestizia e rassegnazione all'ineluttabile.
Dal full length di esodio ad Eternity la band ha mantenuto la stessa line up, ad eccezione dell'esclusione di Darren White, il cui stile vocale -in puro growl- non era più compatibile con il processo di mutazione iniziato immediatamente dopo Serenades, album che resta comunque uno dei capisaldi del doom death, insieme ai primi lavori di Paradise Lost e My Dying Bride, tutti rilasciati dalla storica label inglese Peaceville Records, che ha altresì il merito di aver supportato le tanto incredibili quanto sorprendenti trasformazioni subite da queste tre grandissime band negli anni successivi, compreso l'album in esame. È straordinario osservare come talvolta sia proprio nel pieno della sua ricerca, nel momento di maggiore incertezza sul suo futuro, in una fase in cui ancora tutti i tasselli devono essere messi al loro posto ed il sound e le tonalità devono ancora essere perfezionati che si raggiunge il proprio apice e si creino opere destinate a rimanere impresse nella storia. È il caso di Eternity, già perfetto così pur nella sua perfettibilità, già maturo pur nell'incompiutezza del percorso evolutivo della band che lo ha partorito. È difficile comprendere cosa possa spingere dei musicisti a compiere una simile trasformazione, sfidando con indubitabile coraggio il rischio di fallire miseramente o di incontrare gli aspri dissensi degli estimatori della prima ora, pur di assecondare la loro ispirazione e la loro vena artistica; ma il risultato è sotto gli occhi di tutti, semplicemente straordinario. Con Eternity gli Anathema hanno cercato di volgere lo sguardo verso l'infinito, verso l'intangibile, trovando più domande che risposte alla conclusione della loro ricerca. Ma paradossalmente è proprio grazie a questa loro spasmodica ricerca che infine sono riusciti, essi stessi, a scolpire il proprio nome tra le interminabili pieghe dell'eternità.
A flood of tears bonding my soul with my mind A dream of love, reality closing in behind As I close my eyes, the vision dies As I bid my last farewell to mankind
The unseen, the eternal...
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Eternity è un primo tentativo di cambiamento di stile, ma non molto riuscito. Le sonorità sono spesse troppo commentante in modo univoco. Bisognava' aspettare due anni dopo con il vero capolavoro degli ANATHEMA post death domm, ovvero quel ALTERNATIVE 4 Che rimane una perla assoluta nel loro ultimo percorso. I 100 pezzi hanno uno stato qualitativo alto ed ancora oggi non ha perso un secondo in malinconica espressività sia musicale che nei testi. Il seguente Judgement è a mio avviso un sorta di riprendere il passato recente dell'anno precedente, ma non ranngiunge solo in rari casi la grandezza di Alternative 4 che rimane l'ultimo vero album dei veri ANATHEMA prima della svolta senza chitarra e post prog. Anche se per me che amo il prog gli ANATHEMA degli ultimi anni troppo legati a rincorrere le mode del momento, ma con una classe stilistica che però rimane intatta, soprattutto con l'inserimento da anni della voce femminile. Questo disco è un'altra storia che ho vissuto in prima persona con qualche delusione di rtoppo |
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COme sempre gli ANahtema suonano da un' altra dimensione e questo lavoro ne è l' esempio più lampante.
Io dico solo: do you think we' re forever??? |
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A mio avviso con questo lavoro comincia la fase "leggera", con ancora alcuni spunti "pesanti", per ricordarci a tutti quanti da dove provengono e dove stanno andando (musicalmente parlando). Detto questo...lavoro quasi perfetto. 95/100. L' apice sarà Alternative 4. |
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@NomeECognome: anche io ho apprezzato la tua disamina ESCLUSE le ultime tre righe . Avrei bisogno di capire quali sono gli "inutili virtuosismi degli 80's". Oggigiorno si vive l'epoca della cosidetta "musica per ingegneri"...e non aggiungo altro, per evitare sterili polemiche. Tuttavia, credo che qualcosa di buono / veramente buono esista pure nel XXI secolo in ambito musicale. Alla tua (volontaria?) provocazione aggiungo pure il Math Metal!  |
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NomeEcognome@ sono d'accordo su quello che dici... escluse le ultime tre righe, sia per il discorso "appiattimento" che per quello "virtuosismi" tipo Djent?! Di gruppi che producono musica interessante ce ne sono a bizzeffe, e anche nel Djent ci sono illustrissimi esempi...brani geniali ce ne possono essere per qualsiasi genere per quanto mi riguarda; che poi soggettivamente ognuno preferisca ascoltare un genere piuttosto che un altro è un altro discorso |
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Gli anni 90, musicalmente parlando, saranno sempre ricordati come il decennio della sperimentazione. Indipendentemente dal tipo di metal, lo hanno fatto i Priest con Jugulator, lo hanno fatto gli W.A.S.P. con Kill Fuck Die e anche i Queensrÿche con Promised Land (quest'ultimo per certi versi accostabile ai lavori delle nuove band gotiche inglesi anche se in un contesto leggermente diverso ma che esprime un certo disagio, anch'esso sperimentale, angoscioso, acustico, e guarda caso...floydiano!). Non stupisce più di tanto che queste nuove leve del metal britannico nascano con una voglia di evoluzione stilistica manifestata coraggiosamente ad ogni uscita discografica e profondamente radicata nel dna. Gli Anathema appartengono ampiamente a questa categoria di band che se ne infischiano della ricetta compositiva facile facile che a lungo andare diventa mainstream per arruffianarsi fette consistenti di pubblico. Esattamente come facevano nello stesso periodo Tiamat, The Gathering, Moonspell, Paradise Lost, My Dying Bride e molti altri, componevano musica che esulava completamente dalle rassicuranti sovrastrutture mentali in cui l'ascoltatore trova rifugio e conforto ed Eternity va ascoltato in questo contesto. Infatti fateci caso: le band che ho citato hanno grossomodo iniziato tutte col doom/death per poi ritrovarsi al quarto/quinto album a sperimentare con l'elettronica, la musica d'atmosfera, il jazz, l'alternative rock, la psichedelia acida ecc... dopo questo sussulto creativo si è di nuovo appiattito tutto e siamo di nuovo tornati agli inutili virtuosismi strumentali degli 80's ma estremizzati all'inverosimile e spacciati per creatività dove più suoni complicato più sei figo e orde di quindicenni abboccano al volo (Djent Metal?). |
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Una cosa mi ha da sempre colpito ed entusiasmato degli Anathema, che seguo fin dai loro esordi nei primi anni novanta: la capacità di crescere,di variare il proprio sound con album sempre diversi dal precedente, senza in ogni caso rinnegare del tutto il passato. In altre parole sono per me una di quelle pochissime band in ambito Metal (termine che da qualche album appare parecchio stretto) riconoscibilissime fin dalle prime note di un nuovo disco. Visti la prima volta dal vivo per il tour di Eternity con ancora Duncan al suo posto. Puoi ben immaginare Andrea come andò la loro esibizione. Recensione dettagliata e scorrevole; sul disco è inutile dirti molto altro. E' uno dei miei preferiti degli inglesi. |
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Che magia, che pathos signori. Straordinario, inarrivabile!!! Meraviglia! |
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La durezza degli esordi lascia il posto a tristezza e solitudine ben rappresentata da Angelica e The Beloved. Ricordo quando alla sua uscita si cominciò ad accostarli a certe cose dei Pink Floyd. Discorsi non del tutto fuori luogo quando si ascoltano Suicide veil, in cui sembra che la sofferenza di Roger Waters sia stata trasmessa a Vincent, o Cries on the wind in cui la vena psichedelica degli Anathema è concreta. E che dire di Hope e Far away che possiedono un'eleganza compositiva che all'epoca in pochi potevano vantare? Tra i migliori della loro generazione. Forse i migliori 78 |
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A mio avviso lo zenith assoluto degli Anathema. L'ho letteralmente consumato all'epoca. 100 |
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Ottimo album, come tutti quelli a cavallo della metà degli anni '90. Il nuovo corso è un po' sonnacchioso. Hanno delle belle canzoni ma tendono ad essere troppo soft. Qui siamo decisamente su livelli molto più alti. Au revoir. |
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Album stratosferico nulla da eccepire. Però io preferisco il loro nuovo corso, quello dell'alt-rock d'atmosfera. |
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Non ho mai seguito un granchè questa band, ma questo disco non è niente male e ancora adesso suona alla grande. |
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Fra i tanti loro album a cui sono legato, di questo conservo un ricordo speciale... sicuramente per gli anni e le situazioni che vivevo, ma anche per l'intensità emotiva di queste tracce, che hanno davvero fatto loro il concetto di romanticismo, nel senso letterario del termine, dipingendo storie e paesaggi delicati (Angelica) ma anche violenti (Suicide Veil), come l'infinito spettro delle emozioni umane... |
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10
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Buon disco, con punte di eccellenza. Ottimo il successivo, poi lasciamo perdere... |
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Ho sempre preferito gli ultimi lavori più rock, più puliti... Comunque Far Away, Angelica e Ascension sono dei buoni pezzi. Voto 79, il meglio arriverà da cinque anni dopo in avanti... |
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@aeyron Da poco hanno finito il Resonance Tour dove hanno riproposto brani degli album più vecchi. E per vecchi intendo quelli con darren white e duncan patterson. Purtroppo ho solo visto video su yt, ma mi stavano scendendo le lacrime |
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7
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capolavoro,non hanno mai più raggiunto questi livelli,ora sono dediti ad un rock atmosferico e sempre un po soporifero e annoiante,mentre qui sapevano sterzare su momenti di rabbia stratosferici,facessero un tour dove lo ripropongono al completo bisogna andarci anche a piedi |
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6
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Stessa classifica di Vitadathrasher anche per me, io comunque ho apprezzato anche Judgement e soprattutto Serenades. Bel disco ma per me 93 è esagerato, più di A4 no di certo. |
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4
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Fantastico. per me scegliere tra i loro album di quel periodo è impossibile, 4 capolavori tutti personali e diversi. Peccato che negli ultimi tempi si siano un pò persi. |
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3
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Album che nella mia classifica si attesta al 3 posto: Primo The silent enigma, Alternative 4 e poi questo. |
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Oh, finalmente la recensione di Eternity. Complimenti, è stato un piacere leggerla. Album immortale, la fine del periodo doom (e che doom!!) e l'inizio del sogno. Bastarebbe solo Angelica per innamorarsi; per non dire della suite Eternity che dal vivo eseguita insieme è magia pura. Gli Anathema per me sono davvero una leggenda, personalmente tutti i loro album sono dei capolavori, compreso l'emozionante Distant Satellites. |
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L'ultimo album degli anathema che ho amato....Gran lavoro. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Sentient 2. Angelica 3. The Beloved 4. Eternity Part I 5. Eternity Part II 6. Hope 7. Suicide Veil 8. Radiance 9. Far Away 10. Eternity Part III 11. Cries on the Wind 12. Ascension
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Line Up
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Vincent Cavanagh (Voce, Chitarra) Danny Cavanagh (Chitarra, Tastiere) Duncan Patterson (Basso) John Douglas (Batteria)
Musicisti Ospiti: Michelle Richfield (Voce) Les Smith (Tastiere) Roy Harper (Voce narrante nella traccia 6)
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RECENSIONI |
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