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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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02/04/2016
( 2807 letture )
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I tedeschi sono famosi per tante cose, alcune molto negative ed altre positive, tra cui mi sento di citare il panorama metal in ambito thrash (vedasi i Sodom). Però questa non è una recensione thrash, direte voi e qui si tratta di metalcore. Ecco, appunto. Diciamo che –core non è il suffisso preferito dai teutonici, abituati a suoni più grezzi e crudi, piuttosto che a melodie e cantato pulito moderno. I nostri Caliban sono tra le realtà più famose nel loro genere, con una buona dose di esperienza alle spalle ed un nome solido tra gli appassionati. Purtroppo però, questa loro ultima fatica è proprio una fatica da ascoltare per intero, figuriamoci ascoltarselo più volte e scriverne.
L’inizio non infonde fiducia, Paralyzed è un brano piatto piatto che scorre via come niente fosse, probabilmente perché il ritornello azzeccato ci coinvolge il minimo che basta a non annoiarci di fronte a riff troppo canonici. Parliamoci chiaro, la varietà non è certo prerogativa di questi simpatici ragazzoni tedeschi e lo sanno tanto loro quanto noi, quindi non fingiamoci delusi. Cerchiamo altro, no? Cerchiamo buone melodie e brani tirati, energia e brutalità miste al tocco delicato che solo il core ci concede. Ma quando anche queste caratteristiche latitano, allora abbiamo un bel problema. Prendiamo Walk Alone, titolo generico e contenuto altrettanto vago. Ritornello tra scream e pulito, buona batteria e almeno questo lo devo ammettere, strofa potente e bridge più curato del solito. Poi arriva il ritornello e già il pezzo stanca. Tutto sommato però, si tratta di una canzone ben confezionata con persino un breve assolo carico di emozione (a vostra discrezione pesare queste parole). Il breakdown merita qualche scapocciata, dal vivo porterà a tanti torcicollo tra i giovani astanti. Con l’ultimo ritornello salutiamo il brano con un pizzico di fiducia, non siamo di fronte ai We Came as Romans Quando il pezzo successivo però ti riporta sui lidi banali e noiosi delle tracce d’apertura, il briciolo di speranza non fa che innervosirti ancora di più. Un po’ come una ragazza che accetti di uscire con un largo sorriso per poi dirvi durante la serata che ha il fidanzato e che sta benissimo con lui. Sarebbe stato meglio restare a casa con un bel disco nel lettore, magari non questo, ma avete capito. The Ocean’s Heart ha una parvenza di atmosfera e di animo oscuro, ma è un grande breakdown ripetuto per tutta la durata del brano, con una struttura lineare e scialba. Certo, il gruppo definisce il proprio sound come il più violento di sempre per i loro canoni, ma le chitarre granitiche ed il drumming forsennato non celano una mancanza di spunti compositivi e lirici; i testi sono quasi imbarazzanti e spendo qualche parola al riguardo, per la mia battaglia personale contro l’idea che la parte scritta di una canzone ne sia un mero apparato supplementare. Di solito, si deve notare che l’hip hop ha testi fin troppo basati sull’autocelebrazione, il che preclude riflessioni più profonde su argomenti alti ed introspettivi. Il metal sembra garanzia di parole più ragionate, ma non è sempre vero. Prendiamo i poveri Caliban, ed analizziamo i loro contenuti. Vedremo subito che i testi sono basati sull’autocommiserazione quasi adolescenziale, sulle lamentele contro chi ci tratta male e la voglia violenta di avere rivincite personali. Niente di male, direte: il power parla di draghi ed il death di budella. Ma spesso questi altri generi approfondiscono tematiche originali pur mantenendo un campo di fondo abbastanza fisso, mentre il metalcore moderno non sembra andare oltre l’idea che qualche "fucking coward" che ci ha traditi e "we are here to give him what he deserves" e così via. Vedasi a tal proposito il testo di Who I Am.
This fucked up world will choke on ignorance. Call me freak, call me weird, call me what you want I am who I am until the end.
Ora, per quanto il concetto non sia sbagliato ed il messaggio sia anche condivisibile, la forma ed il lessico infantile sono quasi ridicoli. E non mi soffermo oltre su esempi simili, perché l’antifona è questa ed è chiara. In definitiva, non consiglio l’acquisto del disco in analisi. Per quanto siate appassionati di questo sound giovane ed all’apparenza ribelle, non fatevi ingannare ed andate oltre la superficie. Farlo vi renderà consci di una realtà mediocre, che non siete costretti a rifuggire (d’altronde la musica non è necessariamente impegnata ed alta, nessuno ci obbliga a considerarla tale) ma di cui potete trovare esponenti ben superiori. Non fatevi forviare dal fatto che il gruppo prenda nome dal mostro di Shakespeare orribile ma commovente nei suoi discorsi, qui i contenuti sublimi mancano. Non resta che il senso di inadeguatezza e scherno che il mostro induce in chi lo incontra.
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Birra, wurstel e metal: questa è la filosofia dei Caliban 2016. Alla fine la musica deve anche essere svago e divertimento. VOTO 70 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Paralyzed 2. Mein Schwarzes Herz 3. Who I Am 4. Left for Dead 5. Crystal Skies 6. Walk Alone 7. The Ocean’s Heart 8. Broken 9. For We Are Forever 10. Inferno 11. No Dream Without a Sacrifice 12. Hurricane
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Line Up
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Andreas Dörner (Voce) Denis Schmidt (Chitarra, Voce) Marc Görtz (Chitarra) Marco Schaller (Basso) Patrick Grün (Batteria)
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