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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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28/08/2016
( 9017 letture )
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Se c’è una band appartenente al settore heavy/power che è stata capace di raccogliere un successo davvero importante, ma anche di assorbire senza contraccolpi alcune critiche relative ad una presunta ripetitività della proposta, questa risponde al nome Sabaton. Dall’inizio di questo millennio ad oggi, la loro carriera si è snodata senza alcun vero intoppo, inanellando una serie di lavori tra il buono e l’ottimo -con l’unica, parziale eccezione dell’esordio- che sono andati a costituire il corpus di una discografia certamente da gruppo di primo piano. Almeno nella considerazione della maggioranza e di un certo calo di ispirazione lungo la strada. A distanza di circa due anni dall’ultimo album in studio, i Sabaton tornano sul mercato con un CD la cui genesi è ampiamente spiegata in questa intervista da noi recentemente pubblicata.
Preso contatto con questo progetto tramite la copertina firmata Peter Sallaì, più volte rimaneggiata su indicazione della band prima di giungere alla versione finale, The Last Stand affronta il tema della battaglia, sviscerando il punto di vista di vari aventi causa attraverso diverse epoche storiche ed altrettanti episodi noti. In generale, considerando la totalità della scaletta proposta dal disco, costituita da pezzi tutti al di sotto dei quattro minuti tranne Sparta, si nota una maggiore presenza delle tastiere, uno spazio leggermente aumentato per l’hard rock (addirittura per l’AOR) e l’uso di alcune soluzioni produttive la cui raffinatezza forse è destinata a sfuggire, se l’ascolto viene effettuato senza la giusta attenzione a certi particolari. A questo proposito ed a titolo di esempio, è opportuno citare uno specifico passaggio dell’intervista a Joakim Brodén prima linkata:
“The Lost Battallion, non ha batteria. Le persone pensano che ci sia una batteria, ma non lo è... quello che pensi sia la grancassa, in realtà è una mitragliatrice calibro 50. Quello che la gente pensa sia il rullante, è una pistola 9 mm. Quello che pensi sia l’hi-hat, quello è una baionetta. Dunque ci sono alcune... strane cose che accadono in questo album.”
La valutazione di The Last Stand, pertanto, deve tenere conto anche di questi... strani parametri. Avvio affidato a Sparta, con le tastiere ad ammantare di una grande, semplice epicità un pezzo che è scritto, come di consueto, per esaltare la voce di Joakim Brodén. Grande pathos e canzone che predispone positivamente nei confronti di questo nuovo parto degli svedesi. Last Dying Breath ci porta al ’15/’18 ed alla guerra di trincea dei soldati serbi per difendere “l’onore di Belgrado”. Il pezzo è più in bilico tra le tastiere maggiormente amichevoli e la prestazione vocale più aggressiva. A metà tra hard rock e heavy metal, il brano scorre via piacevole, ma senza affondare del tutto. Blood of Bannockburn è uno dei due singoli prescelti -l’altro è The Lost Battalion- e la sua funzione è evidente sia dalla durata inferiore ai tre minuti (praticamente un pezzo inciso direttamente in versione “radio edit”), sia dalla sua costruzione, mirata a scatenare entusiasmo immediato tramite la presenza, peraltro coerente dato il tema, di cornamuse ruffiane. Pezzo il cui scopo è smaccatamente quello di fare da uncino presso il grande pubblico, ma che almeno svolge bene la sua funzione e che dal vivo scatenerà certamente la gente. Diary of an Unknown Soldier è un’intro, propedeutica all’avvio di The Lost Battalion. Questa, dopo averci portato a vivere l’offensiva della Mosa-Argonne del 1918, facente parte di quella dei cento giorni, alla fine della quale i tedeschi vennero pesantemente sconfitti soprattutto per mano degli statunitensi, procede marziale e densa di pathos. Il ritornello, però, ne denuncia la funzione di singolo, pur destinato ad un pubblico più tipicamente metal rispetto al primo. Bpm in netto aumento con Rorke’s Drift, efficace pezzone heavy/power dal ritornello trascinante ed ancora una volta mirato ai concerti il quale, stavolta, ci descrive l’epopea dei soldati di Sua Maestà Britannica a difesa di un ospedale ed una chiesa dall’attacco di 4000 guerrieri Zulu, avvenuto nel 1879. La title-track è ambientata in Italia, o meglio, in zona Vaticano. I soldati protagonisti sono le Guardie Svizzere che difendono Clemente VII dai Lanzichenecchi durante il sacco di Roma del 1527. Anche qui si registra il ricorso a temi musicali un po’ troppo pomposi ed a tastiere pseudo-barocche, che però vengono stemperate da inserti simil-Europe del tempo che fu, limitando di molto la resa del brano. Molto più performante Hill 3234. Gli occhi sono quelli di uno sparuto plotone sovietico a difesa di una collina attaccata dagli afghani e difesa con eroico successo. Pezzo robusto, prestazione vocale più rauca, epicità QB, ritornello semplice e d’effetto; discreto pezzo. Virata verso oriente con Shiroyama, con lo scontro tra 500 samurai e le forze imperiali che diventa quello tra la vecchia cultura ancestrale dell’onore giapponese ed il nuovo che avanza, travolgendo modi di fare consolidati da secoli ai quali certi uomini non possono adeguarsi. Ancora tastiere da presa immediata e pezzo che svolge il suo compito, pur senza entusiasmare. Winged Hussars ci fa piombare nella Vienna sotto assedio del 1683, alla Lega Santa ed agli Ussari Alati di Polonia che riuscirono a sbaragliare l’esercito ottomano. Ancora una canzone ricca di sentori di battaglia, blandamente arrangiata in modo da restituire sapori orientali, ma non in grado di entusiasmare. L’ultimo pezzo in programma è The Last Battle, nel quale l’AOR, pur abbastanza deciso, fa capolino in modo evidente sotto un arrangiamento, per così dire, mimetico. Chiusura all’insegna del “volemose bene” e della fine della seconda guerra mondiale con una canzone dignitosa, ma nulla più.
I Sabaton confezionano con The Last Stand un lavoro formalmente inappuntabile, connotato dall’impronta tipica della band, da una maggiore apertura verso arrangiamenti rivolti ad un pubblico un po’ più ampio (nulla di male in questo), contenente un buon lavoro di chitarre -per la cronaca: Thobbe Englund ha intanto lasciato per far posto a Tommy Johansson-, ma lascia una traccia non certo indelebile nel panorama attuale. Al di là di una non troppo fitta cortina fumogena di piccole novità produttive, The Last Stand è il solito lavoro dei Sabaton, ma meno aggressivo nel suo complesso e più “invitante" del solito. Non troppo, ma è così. A questo album mancano due o tre pezzi davvero micidiali come ci avevano abituato a sentire nei loro CD migliori e qualche aggiustamento nel suono, unitamente a quelle piccole/grandi novità più volte segnalate, non basta ad elevare la qualità del prodotto oltre un range largamente oltre la sufficienza, ma lontano dall’eccellenza. E forse, dai Sabaton del 2016, è esattamente ciò che ci si può e si deve aspettare.
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Devo averne sentito parlare... |
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Band troppo sopravvalutata! Ripetitivi, noiosi a parer mio. Ascoltati I Grace Digger se siete alla ricerca di temi "storici". Chris Boltendhal ci mette l'anima in quello che fa e lo fa da 40 anni! |
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Boh... dico una cosa che c'entra poco forse: quando spopolavano gli HammerFall molti critici dicevano che fossero la brutta copia degli Helloween. Forse è vero, ma a me sono piaciuti molto sia gli Helloween che gli HammeFall: hanno entrambi una loro ragion d'essere.
Ma questi qua... sono una scoreggia dei Grave Digger (marcia anche...): i temi non sono originali, le soluzioni armoniche neppure, si vede a occhio nudo che non condividono nulla dello spirito del metal classico teutonico.
E poi cazzo... se un gruppo italiano cantasse in inglese in quel modo sarebbe spernacchiato allo sfinimento. Ma canta in tedesco già che ci sei.. no? |
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Semplicemente i brani non hanno il "tiro", manca il groove. Mi allineo al voto del recensore; molto meglio il dvd allegato registrato in Francia, che ha una buona scaletta dei loro pezzi più riusciti. Ma ancora mi chiedo come abbiano potuto fare da headliner ad un gruppo come gli Accept.... |
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Più che un passo indietro rispetto ad Heroes. Sembra come se suonino con il freno a mano tirato. Per il resto, come ogni loro lavoro suona molto simile agli altri, e aspettarsi novità stilistiche da questa band mi sembra alquanto utopico. Ad ogni loro nuova fatica sai già in anticipo cosa ti proporranno. Voto: 62 |
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Per me è inspiegabilmente la band più sopravvalutata degli ultimi 10 anni (almeno dal pubblico), e questo disco mostra tutti i limiti di un gruppo che di limiti ne è pieno....canzoni tutte uguali con titoli diversi, voce caratteristica ma che può permettersi di lavorare solo dentro un determinato range (con conseguente somiglianza di tutte le canzoni)...una formula di questo tipo può funzionare per un paio di dischi, se siamo al non disco i coglioni iniziano a sfrangiarsi parecchio...tutti si sentono in dovere di provare a farseli piacere perchè sono sulla cresta dell'onda ma spero che la favoletta duri poco |
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dopo diversi ascolti il lavoro diventa sempre piu' convincente. che il distacco dal loro " power " classico sia stata una mossa vincente ? |
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@Io: ma se ti fanno schifo cosa commenti a fare (basta leggere anche il tuo commento sui Dgm per capire dove vuoi parare)? |
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band di merda, disco di merda., semplice |
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Concordo con la valutazione del recensore e dei lettori: un paio di pezzi vincenti, ma anche tanti pezzi mediocri, che scivolano piacevolmente via senza lasciare il segno. D'altronde se continuano a pubblicare con questo ritmo, le innovazioni sono pressoché impossibili.... |
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Bello l'artwork, interessante appronfondire le storie raccontate. Musicalmente per me é un 60. Orecchiabile ma tutt'altro che esplosivo. Ritornelli e riff scivolano piacevolmente ma non restano, tutto troppo omogeneo e poco incisivo. |
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Ma dai speravo di vederli a Roma ma siamo arrivati giusto per i Saxon, peccato da quello che avevo sentito sono una band solida! |
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Comunque devo dire che sensibilmente con gli ascolti sta salendo, anche se confermo tutto quanto detto in precedenza. Pero' i primo tre ci stanno tutti alla grande classiche Sabaton - song, pure Rorke's drift ( anche se l'inizio e' quasi la ripetizione di To hell and back) e Hill 3234. Effettivamente in The lost battallion dopo un ascolto piu attento si sente l'assenza del drum kit al posto degli effetti sopra descritti..all'inizio non me ne ero accorto. Quindi alla luce di tutto cio' porto anche io il mio voto a 67. |
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@Steelminded, se questo ti e' piaciucchiato credimi sei sulla buona strada per farti piacere anche gli altri! Te lo dice uno a cui fino a un anno e mezzo fa' i Sabaton non piacevano😉.. |
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10
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Una buona band ma troppo prolifica e che si ripete troppo. I migliori restano The art of War e Carolus Rex, davvero ottimi, ma i Sabaton pur essendo bravi li vedo troppo limitati |
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In accordo con la recensione e voto. Nella loro discografia ci sono stati alcuni cambi di Lineup, ma il brodo bene o male è sempre lo stesso. Non è che Brodén ha il monopolio della scrittura dei pezzi e da poco spazio agli altri, i quali abbandonano la nave o meglio il carro? |
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Ma quella panzanata della batteria.... è vera? |
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7
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Ormai sono ripetitivi, anche perché fanno passare poco tempo tra un album e l´altro e vista la ripetitivitá delle loro canzoni e dei testi di certo ció non giova all´originalitá dei loro prodotti. Se fate caso tutte le canzoni hanno la stessa durata e sempre lo stesso schema introduzione-strofa- ritornello con zero o quasi parti esclusivamente musicali. Finora ho tutto di loro ma stavolta lascio perdere. I migliori sono Coat of arms e The art of war. |
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6
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passiamo dall' 80 di heroes al 67 di questo .... penso che sia toppo alto il voto del precedente e troppo basso quello del nuovo lavoro. la cosa che mi lascia perplesso e' la mancanza di canzoni " power ". le trovo tutto troppo " morbide " se penso alle bordate di " coat of arms " . comunque un gradito ritorno |
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5
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Cavolo, i sabaton non mi sono mai piaciuti troppo. Questo dischetto qui però l'ho trovato molto easy listening come dice Maurizio e per cui mi è piaciucchiato. Lo comprerò, poi vediamo magari riascoltero anche i precedenti. |
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4
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Disco caruccio, molto easy listening, voto 70. I capolavari sono altrove però attenzione... |
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Quindi alla fine condivido la tua recensione Raven, la penso esattamente allo stesso modo...ci fossero stati quei tre o 4 pezzi piu diretti tipo in Heroes lo giudicherei in maniera migliore. |
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2
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Per me diciamo e' una parziale delusione...L'album e' indubbiamente carino e sicuramente ogni tanto lo ascolterò con piacere, ma cmq non entusiasma. Mi spiego meglio, per esempio in Heroes che reputo un gran bell'album avevano preferito l'impatto alla pomposità delle tastiere e il risultato li aveva premiati. Qui c'è un marcato ritorno al passato in cui le tastiere la facevano da padrone, ma il songwriting e' indubbiamente piu fiacco e meno ispirato. Pezzi che mi piacciono ce ne sono soprattutto i primi tre, poi il calo con alternanza di cose quasi buone ad altre ripetitive. Al momento The Art of War, Carolus Rex e Heroes non si battono. Certo c'è da dire che stare tutto il tempo in tour e suonare un giorno si e l'altro pure non li ha aiutati e per questo alla fine un 6,5 glielo so' sulla fiducia. Poi magari col tempo crescerà...boh.. |
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1
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Album leggerino, come da recensione. I cori ci sono, ma la musica tante volte è ripetitiva e si sentono cose del passato. Se si vuole passare un pò di tempo con musica scanzonata va bene, ma non è di certo un disco che passerà alla storia, anzi. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Sparta 2. Last Dying Breath 3. Blood of Bannockburn 4. Diary of an Unknown Soldier 5. The Lost Battalion 6. Rorke’s Drift 7. The Last Stand 8. Hill 3234 9. Shiroyama 10. Winged Hussars 11. The Last Battle
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Line Up
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Joakim Brodén (Voce) Chris Rörland (Chitarre) Pär Sundström (Basso) Hannes Van Dahl (Batteria)
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RECENSIONI |
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