|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
|
02/05/2018
( 5017 letture )
|
We are exploring a deep and devouring sense of insignificance.
Apriamo così la recensione di Sonder, atipico quanto famigliare nuovo step musicale per l’iper-cubo britannico-progressivo. Copertina minimalista, carta ruvida e confezione impeccabile. Andiamo a esplorare qualcosa di totalmente sconosciuto e, talvolta, privo di significato. In assenza di certezze, proseguiamo con il lanternino spianato in cerca di stabilità e rifugio. Una mano amica che ci protegga e ci guidi. Un senso laddove il senso e la ragione sono solo fumo, nebbia, caos. Torno a occuparmi dei Tesseract dopo le ultime, brillanti uscite discografiche. C’è tensione ed eccitazione nell’aria. Percepiamo la staticità elettrica e la voglia di qualcosa che ci stupisca ancora una volta. Chiariamo subito i dubbi: Sonder è, a differenza del suo predecessore, altalenante. È un album inappuntabile sotto alcuni punti di vista, ma risulta -per certi versi- incompleto. Andiamo a capire insieme il perché…
Luminary apre i giochi con verve e muscolosità ritmica, recuperando alcune soluzioni degli esordi e creando un velluto sonoro di notevole fattura, supportato dai riff -brillanti e monolitici- di Acle Kahney e James Monteith, in netto contrasto con le vocals distese e acute di Daniel Tompkins, vocal coach e cantante incredibilmente dotato. Il fil-rouge che tanto ci piace non manca e, anzi, viene ripreso maggiormente rispetto al passato recente, creando così la sotto-sfera del tesseratto musicale: un'unica, incredibile e monocroma entità sonico-percettiva. Un plauso per l’incipit e soprattutto per l’idea di piazzare un brano snello ed essenziale in apertura, immediatamente doppiato dalla traccia più brillante e fantasiosa dell’opera: King che, nei suoi 7 minuti di durata ci apre le porte alle dimensioni della conoscenza spazio-temporale. Siamo a casa, al sicuro, ma siamo anche nel vibrante nulla/totalità del wormhole, con tutte le pareti intersecate e la destrutturazione cosmica. Il secondo brano, giocato su aggressività, melodie squisite e prog tout-court aumenta ancora la portata della band e, nello specifico, di Sonder. Riff squadrati e incastonati alla perfezione, mattoncini Lego di qualità indiscussa e limpida. Jay Postones, arciere e mostro di bravura, percuote il kit con intelligenza, mentre il solito mattatore Tompkins si eleva all’ennesima potenza, recuperando anche l’aggressività di One per alcuni versi infuocati.
Bava alla bocca e tutto positivo, dunque? Ni. Il flusso canalizzatore ci proietta indietro nel tempo per la prima parte dell’album, riuscendo a convincere anche inserendo tante novità, come suoni, ambience, riff più semplici e melodie eteree. La progressione rispetto al bellissimo Polaris c’è, ed è evidente, soprattutto sotto forma di parentesi musicali, alcune volte palesi, altre volte minuscole e sensibili. Orbital e Juno sono incredibilmente sfaccettate ma, nel contempo, snelle e dirette, con la prima a tessere una trama elettro-soffusa, scevra da chitarre, chiasso e distorsioni. Una dinamicità fuori dal comune che colpisce in pieno volto solo per metà dell'ascolto, però, perché la dispersione è dietro le porte. In un album dal minutaggio contenuto (36 minuti), questo aspetto dovrebbe essere eliminato a priori. Ma procediamo con ordine: Il professor Amos Williams, leader e bassista di prim’ordine, impazzisce e ci regala gioie funk-fantascientifiche sulla sovracitata Juno, impreziosendo ancora una volta il bagaglio tecnico-espressivo del combo inglese. Altro gioiello in cassa, speziato a dovere e preparato per la stratosfera. Un metal d’impatto, corroborato dall’essenza del prog rock e trasformato in certezza assoluta. Dal djent al pop, passando per tutte le sfumature possibili, senza cali di tensione. Curioso come, almeno due dei brani presenti in Sonder siano tra i migliori in assoluto dei Tesseract, sia per quel che riguarda inventiva, sia per songwriting e classe espressa. Ma, allora, cosa manca a questo nuovo capitolo? Cosa ci preme dire? Cosa non funziona correttamente? L’incompletezza, ecco cosa. La brevità non è mai stata di casa-T e, fino ad ora, questo aspetto così banale ma così caratterizzante ci aveva sempre convinto, a partire dall’immenso e mastodontico One, fino ad arrivare al live Odyssey/Scala, passando per gli altrettanto entusiasmanti Altered State e Polaris. Dopo un po’, in Sonder si finisce per caracollare nello spazio buio e indefinito. E mentre le prime quattro tracce sono di ottima fattura e rifinitura, il resto rimane -a parer di scrive- un passo indietro. La semi-suite Beneath My Skin/Mirror Image ci fa pensare ai Rush nelle intenzioni, ma concede troppo il fianco al pop, alla destrutturazione e alla noiosa rarefazione, in una sorta di pericoloso incrocio tra gli ultimi Steven Wilson, The Contortionist e alcune tendenze dilatate di Altered State. Discorso simile va fatto per la successiva Smile, singolo presentato tempo fa e riadattato per l’occasione grazie a una ristrutturazione parziale e ad un ampliamento strumentale sulla tre-quarti. Il brano, costruito sulle melodie cristalline di Daniel Tompkins, scivola via senza colpo ferire, riciclando le idee del nostro N-cubo preferito e allungando il brodo primordiale con un codino strumentale non necessario. Il brano sfocia nell’arido epilogo di Sonder : The Arrow, cupa e sfuggente, breve e smunta, che chiude il tutto nella maniera meno entusiasmante possibile.
Senza criticare eccessivamente il lavoro della band, la parabola all’interno dell’ascolto è abbastanza evidente. Top class e vibrazioni positive nel lato A, premorienza e decadimento nel lato B. Fortuna loro, questo aspetto non inficia troppo il giudizio finale, anche se ci saremmo aspettati un livello emozionale/emotivo molto più alto. Tecnica sopraffina, idee che bollono in pentola ma che non sempre sono focalizzate al meglio e tanta voglia di ergersi sopra tutti quanti. I Tesseract sono ancora tra le migliori realtà prog in circolazione, devono solo fare attenzione a non farsi prendere troppo la mano nel voler racchiudere tutta l’essenza nei confini geniali da loro stessi tracciati ormai tanti anni fa.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
13
|
Disco molto bello, magari non esattamente quello che tutti (me compresa) ci si aspettava… però lo trovo ugualmente interessante e ben fatto. Pare qui sia venuta un po’ più fuori la loro parte gothic, che comunque ritrovo sempre in tutti i loro dischi ma qua di più. Per me 80 |
|
|
|
|
|
|
12
|
Io non lo considero un vero e proprio passo indietro, reputo invece che Sonder sia un lavoro diverso dai precedenti, pur rimanendo perfettamente riconoscibile come album TesseracT. Album piuttosto breve, però molto convincente. Voto: 88 |
|
|
|
|
|
|
11
|
La band prog più innovativa di questo periodo. I suoni sono sorprendenti, morbidi, profondi e il tutto cattura l'attenzione. I TesseracT sono quelli di Daniel Tompkins, voce pazzesca con una espressività e tecnica che oggi è difficile da trovare in giro. One poco melodico, linee melodiche vocali molto meno ricercate e piuttosto statiche dal mio punto di vista. I TesseracT con Polaris hanno dato una svolta decisiva al loro sound, più melodico, più bello, con ritmiche incalzanti e maggiore varietà nei brani. Sonder è un ottimo album, che resta sulla stessa cresta d'onda di Polaris, buttando fuori brani come Luminary, King, Smile, ma sopratutto Juno che è uno dei brani più belli che i TesseracT abbiano mai scritto. Troppe critiche, lavoro ottimo! Un bel 85 all'album! |
|
|
|
|
|
|
10
|
mamma mia, se sti qua sono "tra le migliori realtà prog in circolazione"... la vedo davvero dura! orripilanti è il termine giusto, rappresentano tutto ciò che il metal non dovrebbe essere: mielosi, banali, ruffiani... |
|
|
|
|
|
|
9
|
Album che sta almeno due gradini sotto ai lavori precedenti, sempre bravi ma Sonder rappresenta decisamente un passo indietro. |
|
|
|
|
|
|
8
|
Concordo con Hellion, ma se si dà 52 a The Congregation, ci si può aspettare un voto basso anche per quest'altro disco... che dire, non esiste solo il prog di dieci anni fa |
|
|
|
|
|
|
7
|
Sarà, ma io li adoro. Gusto e classe da vendere. |
|
|
|
|
|
|
6
|
Ordinato spero di non rimanere deluso. |
|
|
|
|
|
|
5
|
Francamente dai TesseracT mi sarei aspettato qualcosa in più, soprattutto dopo gli ultimi ottimi lavori. Più bella e coinvolgente la prima parte, alquanto deludente la seconda. Resta un po' di delusione.... |
|
|
|
|
|
|
4
|
A me piace, ma nondimeno credo sia il loro album peggiore. |
|
|
|
|
|
|
3
|
Per me lavoro tra 80 e 85, maturazione spaventosa, suoni della Madonna, soprattutto della batteria. Disco breve ma meraviglioso |
|
|
|
|
|
|
2
|
per me lavoro molto piacevole,ardisco un 75! |
|
|
|
|
|
|
1
|
Lavoro discreto, hanno fatto di meglio. Concordo sul voto, non vado oltre il 66/69. Il tempo ci dirà se questo è solo un piccolo incidente di percorso o se si tratta di una deviazione vera e propria. Vedremo..... |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Luminary 2. King 3. Orbital 4. Juno 5. Beneath My Skin 6. Mirror Image 7. Smile 8. The Arrow
|
|
Line Up
|
Daniel Tompkins (Voce) Alec ''Acle'' Kahney (Chitarra) James ''Metal'' Monteith (Chitarra) Amos Williams (Basso, Voce) Jay Postones (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|