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26/04/25
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The Darkness - One Way Ticket to Hell...and Back
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14/07/2018
( 4041 letture )
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Un esordio con il botto come Permission To Land nel 2003, poi il secondo capitolo, a due anni di distanza. In mezzo, video, fama, denaro, concerti ovunque, esperienze ed eccessi. One Way Ticket to Hell...and Back esce il 28 novembre 2005 per l’Atlantic Records. Sotto l’egida di mille aspettative, soprattutto per la deflagrazione in cui la band è stata coinvolta dall’ondata improvvisa della notorietà, da perfetti sconosciuti a rockstar novelle, con Justin Hawkins sulle copertine di mezzo mondo. Il disco viene prodotto da Roy Thomas Baker, celebre per i suoi lavori con i Queen, e risulta certamente meno immediato rispetto al debut CD, 10 canzoni elaborate e ricercate, sia in fase di composizione che di resa sonora. La release raggiunge la posizione numero 11 nelle classifiche inglesi degli album, piazzando due bei singoli come la title track e la stupenda Is It Just Me?, ma i risultati di vendite e onorificenze non sono lontanamente paragonabili con il predecessore sfonda classifiche. Anche se a furia di suonare in giro arriverà il platino, a parecchia distanza di tempo.
I fan numerosi, che già pregustavano il seguito da studio, vengono sorpresi, quando il 23 maggio 2005, il bassista Frankie Poullain lascia la band, nel bel mezzo delle incisioni del secondo disco: la solita versione dei dissensi artistici viene data in pasto alla stampa, come classica scusa. Il bassista, in seguito, ha negato questa versione dell'accaduto, affermando di essere stato costretto a lasciare il gruppo, versione più credibile questa, visto che il musicista mette la sua firma in ben 4 pezzi che compaiono in scaletta, prima dello strano abbandono. Il 13 giugno, i The Darkness annunciano che Richie Edwards, ex-tecnico di Dan Hawkins, ha preso il posto di Frankie al basso, insomma le prime crepe cominciano ad essere evidenti e serpeggianti. Anche se le restanti parti di basso, verranno completate da Dan in sala d’incisione. Ma veniamo alla musica, One Way Ticket to Hell... and Back contiene 10 tracce, in cui si percepisce una decisa maturazione da parte del gruppo, sia dal punto di vista tecnico che compositivo, con partiture e soli maggiormente studiati, coralità affilate, generi diversi tra loro, una maggior cura della registrazione data da numerose sovraincisioni nei cori, e lo smaccato utilizzo di piano, tastiere e sintetizzatori. Insomma, il classico poker, voce-chitarre-basso-batteria, viene accantonato per fornire profondità di sound e maggior penetrazione sul mercato. E qui lo zampino del produttore appare marcato. Va detto che tutta la stesura risulta meno indiavolata e d’impatto, a parte alcuni episodi davvero gustosi, un coacervo di pezzi più morigerati, che non ha mancato di deludere i fans che erano stati folgorati a morte, sulla via di Permission to Land. L’ouverture One Way Ticket è una sorta di breve compendio cinematografico, poi scatta il clock e la song esplode in tutta la sua frenesia, chitarre che dirigono, batteria che pesta, il falsetto di Justin che vola alto, e un ritornello che pare esser uscito da un biennio prima, uno scampolo quadrato, efficace e luminescente, uno dei top assoluti dell’intero lavoro. L’intervento di sitar nel bel mezzo della song è semplicemente da lustrarsi le scapole. Knockers a firma dei fratelli Hawkins, più l’ex bassista Poullain spara razzi sul ritornello che diventa magma incandescente, innescato dal falsetto vibrante, del cantante, una grande grande goduria che guarda con insistenza al passato, anche se il coadiuvo del piano non fa gridare al miracolo, mentre Is It Just Me? È una botta a parabola, letteralmente perfetta sotto l’incrocio. Chitarre tritatutto, armonie hard deluxe, la voce di Justin è stellare, il chorus fa strabuzzare i menischi con le note che restano sospese come il fiato, e si nascondono in armonizzazioni da AOR, solo della guitar da cazzotti in faccia e video clip immerso nell’ironia più sfrontata. Insomma, tre magli squartanti in apertura, da lodi alte nel cielo, ma il resto non sarà tutto così eccezionale. Dinner Lady Arms ha una chitarra in stile Def Leppard-Hysteria, il progresso della song avrebbe potuto essere intenso, invece si procede con il freno a mano tirato, il chorus è sicuramente di livello, come il solo della sei corde, ma un po’ di amaro in bocca rimane per ciò che avrebbe potuto essere e non è. Seemed Like a Good Idea At The Time è una ballad pianistica con grandi melodie e lucentezza perlata, un ritaglio di gran classe senza scetticismi, Hazel Eyes sciorina atmosfere orientali gustose e un inciso davvero indovinato, punteggiato dai synth, con l’introduzione di una marcetta; Bald sfregia l’hard rock energico e caliginoso nelle chitarre, il ritornello rispetta la vecchia ricetta del falsetto grondante, buona song, al contrario di Girlfriend che è tutta giocata sul tormentone, ma si dimostra leggerina, poppettara, lasciando ben poche scie dietro di sé. E con un video imbarazzante per pochezza. English Country Garden va di honky tonky piano e sfoggia una struttura molto Queen, che più Queen non si può sia per cori, intensità, scrittura e pathos, il che non è certamente un difetto ma le chitarre vengono riposte in garage per oltre tre minuti, sigilla il platter Blind Man, anche qui con piano, tastiere e armonizzazioni vocali alla Freddie Mercury e soci in grande evidenza.
Il tentativo di diversificare la proposta è certamente un atto lodevole, magari dopo il terzo album, invece i The Darkness hanno deciso di sparigliare le carte e mutuare la propria ricetta, cosa che ha lasciato perplessi molti fan. Intendiamoci, il disco è di valore, e ci voleva coraggio e sfrontatezza, al limite dell’incoscienza, per avviare un’operazione tale, ma la scorrevolezza e l’incisività vengono certamente minate per una buona dose di ascoltatori che avrebbero desiderato un prodotto guitar-oriented come il debutto. I problemi giungeranno in seguito e risulteranno belli pesanti. La band promuove il qui citato album con una tournèe nel Regno Unito, seguito da un tour mondiale, con tappe in Europa, Scandinavia, Stati Uniti, Australia e Giappone. Nel agosto 2006 un articolo rivela che Justin accusa disturbi dovuti al pesante utilizzo di cocaina, e altri abusi: il singer deve entrare in clinica per disintossicarsi. Il resto del combo prende inizialmente tempo, smentendo le voci che li vedevano in difficoltà anche sul mantenimento del contratto con la casa discografica, annunciando, addirittura, che il ritorno di Justin sarebbe coinciso con le registrazioni del terzo album. Ma il 10 ottobre 2006, il periodico britannico, The Sun, sgancia la bomba: il cantante-chitarrista lascia il gruppo, dopo aver completato la riabilitazione. Il resto è un’altra storia….
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13
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Riascoltato dopo 10 anni almeno, non di impatto come il primo ma molto piacevole da ascoltare, voto 82 |
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12
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Ottimo album,sebbene manchi un po\' l\'effetto sorpresa delnprimo lavoro anche qui\' ci sono gran belle canzoni. |
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11
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Riascoltato oggi. Ottimo, forse solo non ha i singoloni del primo album. Non mi convincono a pieno solo Knockers e Blind man. Il resto bello. Voto 8,5 |
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10
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Forse darei un pochino meno di 80 a questo disco. Alcune canzoni non le ricordo proprio. Hanno fatto meglio dopo, secondo me e i miei gusti. Saluti. |
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9
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Pienamente d'accordo con Metal Shock! A me o loro dischi piacciono tutti. |
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7
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Certi commenti fanno proprio ridere, vabbè... Per me i Darkness sono state una di quelle band che per primi hanno riportato in auge l'hard rock dopo la sbornia depressiva del grunge e dopo un grande primo album hanno replicato con questo, inferiore si ma ugualmente buono, con la titketrack che da sola vale l'acquisto. Certo il falsetto di Justin anche a me irrita quando ne abusa, ma per fortuna dalla reunion ne ha limitato l'uso e gli ultimi due dischi sono ottimi in tutto e per tutto. Poi come dimostra l'appena uscito Live at Hammersmith sono in a grandiosa band dal vivo con Justin vero mattatore.
Per questo disco il voto è 78. |
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6
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Come tutta la loro discografia.Non è parodia, non è trash. E' scimmiottamento, cantante che oltre ad essere osceno da vedere scimmiotta di tutto e di più e canta, scimmiottando tutto un repertorio settantiano, ottantiano, per altro male. Musica da ascoltare per prendere atto dove possa arrivare la distorsione della parola rock e poi evitarla. |
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5
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Da amante delle atmosfere alla Queen, a me piace parecchio tutta la loro produzione, soprattutto il penultimo "Last of our kind". Questo per me rimane un più che buon album, con picchi nella titletrack e in English country garden. 75-80 per me... |
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4
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Da fan del glam a 360 gradi, non sono mai riuscito a farmi piacere questa band. Gli acuti di Hawkins sono insopportabili. |
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3
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A me non fanno impazzire, ma questo disco é il mio preferito. Sono una delle poche persone al mondo che lo ritiene molto piu riuscito del primo, meno pacchiano, piu maturo e pieno di canzoni ottime come la title track, knockers, bald (la mia preferita) e blind man...per me un 75 pieno, e dal vivo sempre grandi |
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2
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Ricordo bene il periodo un cui i Darkness spopolavano, da una parte ero contento perché riportavano un po di hard rock in classifica, dall'altra li ho sempre considerati mediocri, canzoni carine, qualche buon assolo, ma tutti qui. Avevo i primi due album, consumati a forza di ascolti insieme ai miei amici, ma li ricordo solo piacevoli. Voto 65 |
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1
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Per me nati e morti con la prima uscita, qui già entra in gioco la noia che contraddistingue la loro carriera. Una canzone li salva dalla bocciatura però non vado oltre il 63. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. One Way Ticket 2. Knockers 3. Is It Just Me? 4. Dinner Lady Arms 5. Seemed Like a Good Idea at the Time 6. Hazel Eyes 7. Bald 8. Girlfriend 9. English Country Garden 10. Blind Man
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Line Up
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Justin Hawkins (Voce, Chitarra, Sitar, Piano, Hammond) Dan Hawkins (Chitarra, Basso, Cori) Richie Edwards (Basso, Cori) Ed Graham (Batteria)
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