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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
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The Darkness - Motorheart
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27/11/2021
( 3177 letture )
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Settima fatica discografica per i Darkness e meno male, vien da dire, visto che la band ha confermato da qualche anno a questa parte di aver ritrovato la propria verve creativa riuscendo a pubblicare con costanza dal 2015 un disco ogni due anni. Chi conosce il percorso della band britannica sa bene quanto a cavallo del 2006 il sogno di quello che per molti era un autentico prodigio commerciale, raggiunto in particolar modo con l’eccellente debutto Permission to Land (2003), capace di riportare l’hard rock in un contesto di mainstream, rischiò di essere spezzato dalle pesanti problematiche del suo istrionico frontman prima con le corde vocali, uscite illese (o quasi) dall’operazione del 2004, poi con la cocaina e la depressione, al punto che dei Darkness non si seppe quasi più nulla fino alla reunion del 2011. Se da una parte gli eccessi e le sventure di Justin Hawkins hanno caratterizzato il percorso del gruppo, dall’altra c’è da dire che la fanbase è sempre stata fedele al quartetto britannico ed anche l’uscita del qui presente Motorheart è stata accolta con entusiasmo e interesse perché ad oggi, malgrado tutto, i Darkness restano una delle realtà più conosciute e affermate nel genere.
Il titolo Motorheart nasce da un’osservazione espressa dal bassista Frankie Poullain, il quale dopo aver ascoltato l’omonima traccia scritta da Justin Hawkins, aveva riscontrato in essa contaminazioni provenienti da due band, ossia Motörhead e Heart. La semplice fusione dei due nomi ha di fatto battezzato il full-length, benché in realtà e a dirla tutta nel sound dei Darkness vi sia piuttosto una vicinanza con altri gruppi, AC/DC su tutti. Anche in Motorheart, comunque, le cosiddette Seventies vibes con una spruzzata di sano glam e qualche accelerata più massiccia nei territori metal Ottantiani restano i punti di partenza imprescindibili per Justin Hawkins & soci, i quali dimostrano di essere in una forma più che discreta riuscendo in qualche occasione, come vedremo, a suonare davvero come ci si aspetterebbe dal marchio Darkness. Non manca neppure qualche coraggiosa novità che rimescola le carte in tavola, vedesi la convincente opener Welcome Tae Glasgae che mette in mostra i muscoli e si concede persino una virata vagamente folk con un fugace istante in cui risuonano le cornamuse scozzesi poi spazzate via da un riff energico e furioso che lascia ben sperare per il prosieguo dell’album. It’s Love, Jim è proprio una di quelle tracce cento per cento Darkness, con il falsetto a più riprese di Justin Hawkins a colorare le vocals, la ritmica incessante di basso e batteria affidata al duo Poullain/Taylor e quella vena di spensierata allegria e carica che hanno reso la band celebre in tutto il mondo. E a proposito di leggerezza, impossibile non spendere due parole sul testo paradossale della titletrack Motorheart, la quale, oltre a rappresentare uno dei momenti migliori del disco nonchè meglio eseguiti da tutti e quattro i musicisti, regala uno spassoso quanto irriverente siparietto che vede il protagonista ossessionato all’idea di far sesso con un robot multiforma. Le immagini sono assolutamente demenziali in uno scenario parodico che strappa ben più di un sorriso. I nevrotici cambi di tempo con elementi di hard ‘n heavy regalano una traccia solida e ben costruita che in futuro potrebbe entrare di diritto nella scaletta live dei Darkness. La successiva The Power and the Glory of Love si apre su un riff semplice imbottito di richiami Settantiani e vede Justin Hawkins dialogare con la sei corde in un botta e risposta a tratti davvero esaltante, con un intermezzo di vocalizzi che precede l’assolo moderato prima del chorus finale. Jussy’s Girl si eleva su un groove dalla vena catchy Eighties che ricorda Foreigner e Phil Collins, mentre Sticky Situations dosa i ritmi a favore di un arpeggio pacato andandosi a prefigurare come una sorta di power ballad che pecca nel ripetersi nelle proprie soluzioni almeno prima del fraseggio della Les Paul di Hawkins che strizza l’occhio (per sua stessa ammissione) allo stile di Slash. Si torna a battere il piede con le rasoiate delle asce ai limiti dello sleaze in Nobody Can See me Cry ma è con Eastbound che avvertiamo ancora lo stile scanzonato e fantasioso dei Darkness, in particolar modo nell’intermezzo dialogato che vede Justin Hawkins elencare una lista infinita di locali ove poter andare a bere in santa pace e senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Chiude l’ottima Speed of the Nite Time che accantona l’utilizzo del falsetto, peraltro non più abusato come in passato, e oscura le atmosfere proponendo una trama piuttosto intricata con ritmica che pesca a piene mani dal post-punk unita ad un finale quantomai etereo che fa calare il sipario su un lavoro interessante e variegato.
Motorheart è un disco grintoso, a tratti imprevedibile, che si fa ascoltare con piacere dall’inizio alla fine. Il marchio di fabbrica dei Darkness, quell’ibrido fra pop, hard rock e metal sapientemente miscelati a favore di una songwriting leggero e ironico, viene celebrato nei tre momenti migliori del lotto (It’s Love, Jim, Motorheart e Eastbound). Sebbene in assenza del capolavoro in grado di far gridare al miracolo -d’altronde siamo ovviamente distanti per vicissitudini ed anagrafica ai fasti di I Believe in a Thing Called Love- la band di Justin Hawkins dimostra di essersi ritrovata a pieno regime e di godere di una più che discreta freschezza compositiva che ci auguriamo possa mantenersi effervescente e offire il meglio di sé negli ottimi show dal vivo che hanno sempre incoronato gli inglesi con l’epiteto di “animali da palcoscenico” e a ragione. La priorità è ancora quella di divertirsi e divertire chi ascolta e questi Darkness sanno come farlo.
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6
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Gran bel disco, sound vero e potente. Meglio del mediocre Easter Is Canceled. Sempre amati |
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5
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E' una band che amo, fortunatamente non ho fatto l'errore di fermarmi al primo album, anzi, ascolto spessissimo dal terzo in poi, e li trovo fenomenali. Poco mi interessano i testi o i loro atteggiamenti, non si può vivere di soli Queensryche, Rush, Maiden e compagnia bella. |
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4
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Non di certo all'altezza dei primi due album, ma almeno (a differenza del penultimo disco, pessimo) qui almeno Justin e compagni tirano fuori un più che discreto lavoro, con qualche ottimo brano, ed altri che si fanno comunque ascoltare. Menzione per The Power and the Glory of Love, e soprattutto per Speed of the Nite Time, veramente ottima ed al di fuori dei soliti schemi. |
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3
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Non mi hanno mai convinto troppo disomogeneità per imiei gusti. |
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2
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Non siamo di fronte a qualcosa di eclatante, ma c’è energia, c’è - come scritto in chiusura di recensione - voglia di divertirsi e divertire. Meglio del precedente (ma non al livello di Hot Cakes, né tantomeno del debut). Tre bei pezzi in apertura, poi magari qualche colpo a vuoto, ma meritano sicuramente Nobody Can See Me Cry e la leggermente anomala (per loro) Speed of the Nite Time, che chiude un lavoro assolutamente piacevole. Concordo col voto. |
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1
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Ennesimo lavoro divertente e piacevole, con la tripletta iniziale veramente sugli scudi. E poi "Nobody can see me cry" sembra una versione ripulita di "Ace of spades". Il "Motor" qua ci sta tutto, e macina che è un piacere! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Welcome Tae Glasgae 2. It’s Love, Jim 3. Motorheart 4. The Power and the Glory of Love 5. Jussy’s Girl 6. Sticky Situations 7. Nobody Can See me Cry 8. Eastbound 9. Speed of the Nite Time
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Line Up
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Justin Hawkins (Voce, Chitarra, Tastiera) Daniel Hawkins (Chitarra) Frankie Poullain (Basso) Rufus Taylor (Batteria)
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