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Jethro Tull - Minstrel in the Gallery
28/07/2018
( 4342 letture )
1975. Il prog rock viene dato per morto da almeno due anni, ed infatti i Jethro Tull già nel 1974 se ne sono usciti con War Child, un ritorno alla forma canzone e ad una maggiore immediatezza, viste anche le critiche al secondo concept album consecutivo dopo l’acclamato Thick As a Brick, il “troppo estroso e ornamentale” A Passion Play. Stavolta però l’insoddisfazione più che esterna è interna, perché War Child è un vero e proprio passo indietro nel percorso artistico del gruppo di Ian Anderson, che comincia anche a notare una certa mancanza d’interesse da parte dei compagni. E’ quindi, ancor più che in passato, dalle mani e dalla mente del leggendario frontman che si genera l’ultimo grande album dei Jethro Tull, registrato a Monaco nel loro personale studio mobile, il Maison Rouge Mobile Studio, e pubblicato con il titolo di Minstrel in the Gallery, evocando la figura del menestrello e il luogo a lui riservato, nelle sale principali dei castelli medievali, per esibirsi. La copertina, poi, è una piccola variazione di un quadro di Joseph Nash del 1838, Twelfth Night Revels in the Great Hall, che raffigura una festa nel salone della Haddon Hall, nel Derbyshire.

L'album recupera, specie nella prima metà, la parte hard rock del sound dei Jethro Tull, venendo a patti con l'amore per il folk medievale, che comunque domina la seconda metà. Ma ancora più degni di nota sono i testi: Ian Anderson diviene più intimo, più cinico (anche per via della separazione dalla prima moglie e delle tournée estenuanti), autoreferenziale in maniera indubbiamente egocentrica, ma anche molto ironica, sia con sè stesso che con ciò che lo circonda. Fin dalla prima traccia si nota infatti il lato satirico delle liriche, che non risparmia nessuno tra gli ascoltatori del gruppo: bugiardi, superficiali, mediocri, ma il nostro menestrello preferito rivede sè stesso in ognuno di loro. La title track parte dal folk e nella lunga sezione strumentale si sposta dal fortissimo gusto neoclassico all'heavy prog sporco, con accelerazioni che accentuano i punti di legame tra i JT e i connazionali Gentle Giant. Martin Barre alla chitarra è sempre esaltante, così come il sottovalutato Jeffrey Hammond al basso, ma se nella traccia d'apertura Ian Anderson si fa un po' da parte, nella successiva Cold Wind to Valhalla ruba la scena a tutti con una fantastica prestazione vocale su falsetto e registri alti, mentre a parole richiama inquietanti immagini della mitologia nordica. Con Black Satin Dancer subentrano gli inserti orchestrali (molto ridotti rispetto al precedente War Child), che preparano un saliscendi ai limiti dell'heavy metal con assoli di chitarra e flauto/voce. Dopo un brano così movimentato e virtuoso, forse persino troppo, c'è la più rilassata Requiem, una sorta di ballata acustica sessantiana che può riportare alla mente Leonard Cohen per l'atmosfera e l'uso degli archi.

One White Duck / 010 = Nothing at All prosegue sulla falsariga di Requiem, superandola in bellezza grazie ad un'altra bellissima performance di Anderson. Ma da ricordare nel lato B di Minstrel in the Gallery è la suite di 16 minuti che ne occupa gran parte, Baker Street Muse, l'apice del sarcasmo dell'album e paragonabile a Supper's Ready dei Genesis per l'importanza del testo nell'evoluzione della canzone. Qui le parti elettriche si ritagliano uno spazio davvero risicato; Ian Anderson diventa assoluto padrone con la sua chitarra acustica e le sue liriche ermetiche, consentendo al massimo al pianoforte di John Evan e ai violini di accompagnarlo nei tanti passaggi calmi ed introspettivi. Ostica e di difficile interpretazione, rimane una delle tracce più particolari mai partorite dal gruppo. L'acustica e sardonica Grace segna velocemente la fine dei giochi.

Minstrel in the Gallery è parte integrante della fine dell'epoca del progressive rock: il bassista Jeffrey Hammond abbandonerà presto il gruppo per dedicarsi alla passione per la pittura, precedente all'esperienza musicale, e in generale i Jethro Tull non raggiungeranno più certi picchi nella loro carriera. Vuoi per idee musicali troppo di largo consumo, vuoi per l'essersi lasciati alle spalle il periodo d'oro, di maggiore ispirazione, non arriveranno più ai livelli della prima metà degli anni 70, pur acquisendo un seguito sempre maggiore. Ai posteri lasciano comunque questo Minstrel in the Gallery, uno dei loro dischi più ambiziosi e sottovalutati, che va riascoltato con attenzione, riscoperto, e ricordato.



VOTO RECENSORE
82
VOTO LETTORI
85.82 su 17 voti [ VOTA]
Titus Groan
Mercoledì 1 Agosto 2018, 8.52.36
5
Indubbiamente si può definire Minstrel in the Gallery il canto del cigno, l'ultimo vero grande album progressive della band. Nei dischi successivi come heavy horses e' il folk a dominare la scena, seppur dischi di pregevole fattura. In questo disco la mescolanza di hard rock con il folk e passaggi cantautoriali raggiungono l'apice della ispirazione di Ian Anderson.
Master
Lunedì 30 Luglio 2018, 22.52.59
4
Grandissimo album, tra i miei preferiti dei Jethro, complessivamente...almeno i 3/4 successivi per me rimangono grandi album, poi anche secondo me gli anni '80 ne hanno decretato un forte calo di ispirazione. Certo, rimangono belle canzoni anche nella discografia seguente agli anni '80, ma mai più album di livello dall'inizio alla fine. Qua siamo oltre il 90 per me.
progster78
Lunedì 30 Luglio 2018, 17.35.31
3
Minstrel in the gallery non è l'ultimo bel disco dei Jethro come già detto in precedenza,anzi Heavy Horses è meraviglioso...basta solo la title-track per avere i brividi!
Le Marquis de Fremont
Lunedì 30 Luglio 2018, 17.17.08
2
Ecco un caso dove il commento che leggi, precede esattamente la tua opinione. D'accordo pienamente con lei, Monsieur Blessed: buona recensione ma questo NON E' l'ultimo dei grandi album dei Jethro Tull. A parte "A" (che poi avrebbe dovuto essere un album solista di Jan Anderson) e "Nightcap", trovo tutti gli altri album successivi dei Tull, degli eccellenti album. A livello di questo e a volte, vedi i titoli citati da Monsieur Blessed, anche superiori. Qui, appunto, siamo sempre su ottime composizioni, esecuzioni che mostrano l'abilità dei musicisti e molte idee. Poi, il periodo, MTV, le radio, ecc. forse non gli hanno più collocati al top dell'attenzione dei media modaioli, ma la musica è rimasta sempre bellissima. Grandissima band. Au revoir.
Blessed
Domenica 29 Luglio 2018, 9.52.23
1
Apprezzo e condivido la recensione di questo album, ma non condivido l’assunto che sia l’ultimo grande album dei Jethro Tull. Parlando naturalmente per opinioni, credo che Songs From the Woods ed Heavy Horses almeno possiedano tutti i crismi per essere annoverati tra i classici della band. Come per tanti altri eroi della scena, sono stati gli anni 80 ad ammazzare la band.
INFORMAZIONI
1975
Chrysalis Records
Prog Rock
Tracklist
1. Minstrel in the Gallery
2. Cold Wind to Valhalla
3. Black Satin Dancer
4. Requiem
5. One White Duck / 010 = Nothing at All
6. Baker St. Muse
7. Grace
Line Up
Ian Anderson (Voce, Flauto, Chitarra)
Martin Barre (Chitarra)
John Evan (Pianoforte, Organo)
Jeffrey Hammond (Basso, Contrabbasso)
Barriemore Barlow (Batteria, Percussioni)

Musicisti Ospiti
David Palmer (Arrangiamenti orchestrali)
Rita Eddowes (Violino)
Elizabeth Edwards (Violino)
Patrick Halling (Violino)
Bridget Procter (Violino)
Katharine Tullborn (Violoncello)
 
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