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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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04/05/2020
( 2356 letture )
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Amalie Bruun, in arte Myrkur, decide di cambiare rotta per la sua carriera musicale abbandonando, almeno nello stile, qualsiasi approccio al black o a sperimentazioni di stampo dark. A dir il vero però, da un primo sguardo alla copertina ritornano alla mente altre iconici scenari di pacifici scandinavi, da artisti quali Drudkh, con Blood in Our Wells, o Burzum. Al di fuori di questa inevitabile connessione, Folkesange e il quadro che lo rappresenta vogliono mirare dritti al punto, così come il titolo, letteralmente traducibile dal danese come "canti popolari". Scindendo quindi da derivazioni estreme o particolarmente dark, Amalie Bruun riversa in questi dodici brani un tributo ad una Scandinavia primigenia, naturale e popolare. Per fare ciò, l'artista imbastisce una strumentazione tradizionale di tutto rispetto, grazie a strumenti quali la nyckelharpa e la talharpa, e si fa affiancare da ospiti autori di progetti altrettanto interessanti. Infatti, echi dei Garmana ed Heilung in particolare risuonano per tutto il disco, grazie alla presenza di Stefan Brisland-Ferner e Christopher Juul, e senza dilungarsi troppo citandoli tutti, è comunque doveroso riconoscere che la bontà di Folkesange è anche merito di tutti gli altri generosi musicisti coinvolti nella realizzazione di musiche e atmosfere intrise di folklore puro.
Folkesange è un album che vuole rapire, ed è bene metterlo in chiaro subito. Già dalle prime note di Ella si può assistere al levarsi di una foresta tirata su dalle corde degli strumenti, mentre le voci femminili intrecciano e rinvangano trame e racconti infusi nelle tracce, imitando il dovizioso lavoro a maglie della ragazza col cestello in copertina. Il passo è lento ed evocativo, incentrato sul creare, mosso da un principio motore quasi materno: canti di nascita in un continuo salire melodico si amplificano sempre più, fino al loro dissolversi in chiusura con la stessa grazia mostrata fin dall'inizio, sancendo così un'ottima traccia d'apertura. A seguire vi è un brano decisamente più ritmato, Fager Som En Ros, che sposta l'inquadratura su toni un po' più movimentati. Anche qui, la melodia e il ritmo riescono a far scorrere il tempo come fosse acqua, mentre Myrkur e voci al coro si lasciano ogni tanto a vocalizzi tribali carichi di energia. Restituire un'immagine così ripulita del folklore scandinavo non è certo facile, complice anche una promozione intensa e a tratti selvaggia che negli anni ha portato in più campi d'arte a snaturare e adattare le radici di questa cultura, data troppo spesso in pasto alla belva commerciale. Allo stesso tempo comunque, Folkesange non eccede troppo nel rigore e riesce ad inserire rami decisamente più moderni sull'innesto tradizionale, che riescono ad attecchire e a rinvigorire gli alberi in cui scorre in parte la linfa vitale di un verde divino. È proprio questa linfa che si sente fluire, liquida e mai troppo densa, nei canti sospirati di Leaves of Yggdrasil. L'album tutto sembra impostarsi con il progressivo avanzare verso i temi della creazione, della genitorialità e della nascita, e senza avanzare ipotesi troppe azzardate la recente maternità dell'artista potrebbe aver inconsapevolmente donato questo tratto al "secondogenito" in musica. Infatti, riferimenti a figure femminili e materne ritornano nell'album anche con Svea, riferimento a Madre Svea, personificazione nazionale della Svezia, e in altri brani a seguire. Come già accennato, Myrkur sembra aver lasciato prosciugare i fiumi più cupi delle sue produzioni, e anche nei brani con cadenze più litaniche non vi sono elementi, almeno a livello musicale, che richiamano atmosfere sinistre. Una parte dell'album pare soffermarsi su un implicito dialogo tra uomo, o forse sarebbe meglio dire donna, e natura. Madre terra e madre umana si confrontano qui più volte, riflettendosi tra i solchi dei monti di una e del viso dell'altra. La vastità di una terra immensa, abbracciata dal mare e dalla dura pietra erbata è portata al nostro cospetto dalla profonda eco nell'inizio di Tor I Helheim, il brano più lungo dell'album. Nonostante questa restituzione sonora delicata e morbida, il testo della canzone riporta uno scorcio sull'aldilà di Hel, e attinge a piene mani dall'Edda poetica islandese. Nonostante le origini danesi dell'artista, l'album preferisce questo spaziare tra i paesi del nord Europa e attracca fino in Scozia con House Carpenter, popolare ballata scozzese e uno dei pochi brani in inglese presenti nel disco.
Una volta finito l'ascolto di Folkesange, viene quasi naturale farlo ripartire, sarà una melodia mirata, oppure la soavità del canto che strega in brani come Gudernes Vilje , ma il vero motivo è difficile capirlo. Quest'ultimo brano citato poi è particolarmente intenso, perché fa riferimento più che mai al tema della fertilità, invocandone addirittura la dea, e ad uno dei momenti più tristi vissuti dall'artista. Gudernes Vilje si incentra su una delle più profonde felicità dell'essere umano, una che ruota intorno a un perno microscopico, che in pochi mesi diventa l'amabile epicentro delle più dolci cure. Purtroppo non è detto che questo processo tanto complicato quanto miracoloso vada sempre come dovrebbe andare e davanti a questi brevi illusioni concesse dalla dea è difficile ed inutile controbattere. Con questo eloquente disco, Myrkur infonde in un variegato ma coerente comparto folk la sua personalità , e la sua essenza, dimostrando di aver scoperto il suo elemento e riuscendo a dare un tocco autobiografico in una serie di canti che per loro natura parlano di tutti senza far riferimento preciso a nessuno. Probabilmente frutto di una presa di coscienza, il cambio stilistico di Myrkur sembra essere stata un'accettazione presa di buon grado, un riconoscimento di ciò che fino ad ora aveva solo assecondato mentre era intenta a seguire altro, e da ciò non ha tratto altro che benefici.
Folkesange è allo stesso tempo una raccolta e un viaggio per varie terre in cui è difficile provare noia, grazie all'ottimo lavoro svolto da Amelie Bruun insieme agli ospiti coinvolti. In questo disco è proposto qualcosa sì tradizionale, ma debitamente rivisitato e diversificato, adattato anche alle esigenze del tempo. In alcuni momenti si potrebbe avvertire un'accondiscendenza un po' troppo voluta per risultare estremamente gradevole all'udito, ma il fatto che ci riesca è allo stesso tempo un punto a favore. Concepito per essere allo stesso tempo intenso ed agile, ogni brano riesce a trovare il suo senso e il suo posto, ed è possibile pescare dalla lista il preciso brano che si vuole ascoltare senza doversi concentrare su un unico grande discorso da seguire dall'inizio alla fine. Atmosfere evocative e musiche ipnotizzanti sono le primizie che Folkesange ha da offrire, un menù delicato e allo stesso tempo ispirato, in cui Myrkur riesce ad esprimere veramente il suo essere poliedrico, espresso dai molteplici canti e voci che la raccontano come donna, madre e guerriera.
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14
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Bellissimo. Fa quello che vuole, con coraggio! |
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13
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@dunwick ... calda. Niente, ci ho provato ad ascoltarlo per bene, con le cuffie, a parte la tripletta Svea, Harpens Kraft e Gammelkaring che non mi sono discpiaciute, tutto il resto è noia (cit.) impo, nmric. Pace. La sua voce comunque è bellissima. Magari riuscendo a capire i testi potrebbe risultare molto più interessante, non so. |
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12
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Ascoltare questa roba equivale a bere la birra 0,0 |
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11
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La copertina da quel che ho letto non ricordo dove è la riproduzione di un quadro che c'era in casa di sua nonna, personalmente la trovo molto bella. Il disco invece mi dice che finalmente è riuscita a fare la musica che più sente sua, che la ispira di più. Promosso completamente, ma ovviamente chi cerca metal qui non ne troverà |
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10
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A chi e' piaciuto questo di lei consiglio Mausoleum, il suo primo live dove ricanta le canzoni del primo album in versione acustica e sono molto piu' belle. |
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9
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Che piacere trovarlo recensito, personalmente l'ho apprezzato molto! |
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Condivido il gentile e cavalleresco apprezzamento espresso dal duca conte nel commento n.3 |
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7
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Black me out, il tuo ragionamento effettivamente fila e potrebbe essere come dici te! |
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...a me la copertina....da l'impressione ....della colonna sonora del fim su heidi.... |
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5
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Ti dirò @sicktadone, per me paradossalmente potrebbe essere più verosimile il contrario: all'inizio col primo album l'etichetta ha cercato di creare un fenomeno pompandolo in una determinata maniera, ma la Bruun ha sempre registrato brani tradizionali con strumenti come la nyckelharpa e secondo me quello di questo disco è il suo ambito effettivo, la sua vera natura. Secondo me lei per prima ad oggi potrebbe essere capace di rinnegare il suo primo disco (che per la cronaca a me non era dispiaciuto). |
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4
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il disco di per sè a me non è dispiaciuto. Non vorrei solo sia stata una virata impartita più dalla casa discografica che dalla coscienza artistica della Bruun, visto il disastroso esordio che dire che avevano pompato un sacco è dire poco. |
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2
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Una bella recensione che condivido in gran parte: personalmente trovo questo un gran bel disco, chiaramente non facile e non adatto a qualunque tipo di ascolto. Però Myrkur ha secondo me trovato finalmente la sua dimensione ideale e spero possa continuare ad esplorarla. |
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1
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Disco davvero molto bello, secondo me ci stava anche qualche punto in più nel voto finale. Melodie che rapiscono e che portano in un mondo incantato, di riflessione. Qui non è questione di (black) metal o non metal, è questione di buona musica, onesta, che trasmette sensazioni.
Da ascoltare, nel giusto contesto |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Ella 2. Fager Som En Ros 3. Leaves Of Yggdrasil 4. Ramund 5. Tor I Helheim 6. Svea 7. Harpens Kraft 8. Gammelkäring 9. House Carpenter 10. Reiar 11. Gudernes Vilje 12. Vinter
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Line Up
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Myrkur (Voce, Piano, Nyckelharpa, Lira, Violino, Chitarra, Tamburo)
Musicisti ospiti:
Stefan Brisland-Ferner (Violino, Talharpa) Joanna Quail (Violoncello) Ida Sandberg Motzfeldt (Voce corista) Veslemøy Aalde Heyerdahl (Voce corista) Christopher Juul (Mandola, Percussioni) Kristian Uhre (Percussioni)
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