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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Evergrey - Escape of the Phoenix
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25/02/2021
( 3239 letture )
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Dopo il bellissimo The Atlantic del prolifico 2019, gli Evergrey sono pronti a imporsi nuovamente come una delle band più attive, coscienti e meglio gestite dello scenario progressive metal del ventunesimo secolo. Un quintetto che non solo ha saputo dimostrare di poter costruire sulle solide basi dei capostipiti del genere, ma anche di essere abilissimo nel decostruire e impreziosire il tutto con influenze dalla musica più contemporanea, con l’utilizzo dell’elettronica e delle sonorità metal di nuovissima scuola. L’ultima trilogia allora, terminata proprio con il summenzionato The Atlantic, consolidava questa qualità del songwriting della band svedese, ancora una volta capace dopo più di vent’anni di comporre musica di assoluta qualità: pesante, diretta e soprattutto solida nelle sue basi.
Escape of the Phoenix non vede cambi di formazione, riproponendo i cinque maestosi musicisti a cui ormai siamo abituati da Hymns for the Broken. Per i più accaniti e/o interessati, i singoli sino ad ora usciti hanno già reso una discreta immagine del nuovo platter: a partire dalle prime due tracce Forever Outsider e Where August Mourn, sino alla settima Eternal Nocturnal. Da aggiungere vi è sicuramente poco, la musica avrà già ampiamente espresso da sola la potenza del songwriting dell’album. La prima con l’introduzione esplosiva tipica degli Evergrey, un abbandono delle linee concettuali marittime del precedente lavoro per un nuovo interessantissimo concept: e se la fenice decidesse di non risorgere dalle sue ceneri? Allora questo brano è un perfetto inizio essendo nichilista sia nel sound che nelle liriche:
We crossed the main road Through the fire Always defied Because life is a lie
Plauso al breakdown nello special, si riesce a viaggiare in immagini sinestetiche grazie alla bravura di ogni musicista. Stesso discorso proprio nel bridge prima del mini-assolo, il quale ci ricorderà che la band non invecchia mai ma, anzi, sarà sempre capace di apparire al passo con i tempi.
La seconda traccia -anch’essa sicuramente già spolpata- è invece aperta da leggere melodie in elettronica, poi strozzate da riff mutati sul mi grave che creano un’atmosfera asfissiante con influenze alternative se non addirittura metalcore. Ottima la performance di Niemann al basso, ma non comunque capace di innalzare il pezzo al di sopra del precedente, meno pop e meno vittima di una produzione incapace, lungo tutto il platter, di pompare seriamente le pelli del mostruoso Ekdahl. Un pizzico di corposità in più non avrebbe guastato insomma, seppur la grancassa in 4/4 prima dell’esplosione finale trascenda anche questa imperfezione. Per il resto anche qui si ripresenta la formula tipica di Englund e compagnia: ottimi bridge, guitarwork, pesantezza e impianti melodici speculari a quelli di band “cugine” come i Redemption -anche se quest’ultimi decisamente più barocchi.
Ultimo singolo è Eternal Nocturnal, una traccia diretta, orecchiabile ed estremamente cantabile. In mezzo alla cascata di riff privi di fronzoli e plastici sarà l’assolo a spiccare, ponendosi tra l’altro, come uno dei soli più belli in assoluto del disco. Aperto da Englund, vedrà Danhage completarlo richiamando nell’attacco il leitmotiv dell’intera canzone, assolutamente perfetto.
I’ll be your winds when you need a storm
Passando agli inediti ecco la appena sufficiente Stories, aperta da un delicato piano e da una soffice linea vocale, dimenticati poi a fronte dell’incipit vero e proprio affidato al riffone pesante con tonalità agrodolci. Il brano in sé è però abbastanza prevedibile negli sviluppi, leggermente monotono e semplice nel suo songwriting. Si capisce sin da subito l’intenzione di spingere sulle atmosfere nostalgiche e non sulla tecnica, peccato però che, glissando sul discorso compositivo, i fill di batteria e le tempistiche utilizzate sono piuttosto piatte così come il guitarwork e la prestazione al microfono. Sul finale è indubbia una leggera ripresa, mostrandosi in un climax emotivo concluso con una sezione in tapping mozzafiato e poi con un’esplosione solenne con tanto di cori. Stories è insomma il classico pezzo che potrebbe piacere a molti, ma quello meno ispirato dal punto di vista prettamente compositivo e soprattutto nei suoi primi 2/3. Discorso completamente diverso per il gioiello del platter A Dandelion Cipher, che parte in quarta e non delude per un istante. Il charleston ad arte accompagna la voce sino al riff moderno e d’impatto -per intenderci, sembra uscito da un nuovo disco degli Erra. Il ritornello è una furia, una tempesta che sancisce scelte del songwriting intelligenti e mai banali, le quali continuano nei riff poliritmici e sincopati prima dell’assolo micidiale poggiato sul terremoto generato dal rullante. Memorabili poi le linee vocali di Tom Englund, non solo più che degne, ma vere e proprie opere catartiche capaci di valorizzare perfettamente il timbro del grandioso microfono di Evergrey e Redemption.
No gold at the end of the rainbow No stars to guide my way And now I walk here alone Because we’re walking in circles
The Beholder soffre invece di un eccessivo uso dell’elettronica ma, ancor di più, delle sonorità più pop. Nonostante sia uno dei pezzi con le premesse più interessanti -la presenza di LaBrie-, l’arrangiamento non è nulla di metafisico. Il brano è riassumibile allora con “si poteva fare di più”, poiché alla fine, oltre al bel ritornello finale, non vi è qualcosa di miracoloso che sappia davvero donare una raison d'être alla presenza di due cantanti così importanti del panorama metal (che piacciano o meno). Il difetto qui citato è però massimizzato in You from You, il cui ritornello sarà addirittura fautore di rimembranze di blasonate canzoni pop degli ultimi anni, non un vero e proprio crimine -né tantomeno un’accusa- ma un dato di fatto che denota certe scelte compositive troppo semplicistiche e memorizzabili, non inficianti sulla qualità generale melodica ma piuttosto su quella armonica, non sempre ricca come ci si aspetterebbe.
Altro discorso per In the Absence of Sun, con il suo piano, i cori ed alcuni giri di casa Ayreon. L’esplosione è più che interessante, il pathos calibrato perfettamente generando dolore sotto forma di poesia aggressiva ma al contempo salubre. L’assenza di luce, di un percorso da seguire con chiarezza è il tema principale del pezzo, impreziosito da un assolo improvviso eccellente -supportato da un altrettanto eccellente giro ritmico sul fondo- e dalla batteria solenne.
La title track si apre con un riff di chitarra che potrebbe ricordare l’opener di The Atlantic, ciò non toglie che nel suo complesso saprà imporsi come il brano con l’introduzione migliore di tutti, un’esplosione con le pelli imbizzarrite e le tastiere dalle note sinistre. Seppur lo sviluppo sia piuttosto lineare anche qui, non elevandosi qualitativamente al di fuori dell’attacco appena citato, è anch’esso un brano davvero ben scritto. Le ultime due tracce sono più che discrete. Leaden Saints viene aperta da un grande riff condito da pinch harmonics devastanti -uno dei riff meglio scritti di questo disco- e quindi da un guitarwork distruttivo con atmosfera melo-death. Una perfetta unione tra tecnica e atmosfera costituisce questa distruzione sonora epocale, una furia nera con una leggera spinta in meno a quella presente in un lavoro death di scuola Nile per intenderci; assolo tagliente, fill intelligenti e ritornello ispirato concludono il lotto.
But I’m on my own And I climb alone We are dead, senses fade Never blamed it on the layout to be leaden saints We have strayed to chaos Never knew there was a dark way in to be heaven sent
La conclusione, invece, è affidata a un pezzo tradizionale come Run, non memorabile ma con un bel comparto ritmico e l’ottima variazione barocca. Peccato per una complessiva perdita dell’influenza del basso cinque corde di Niemann lungo i diversi brani, un’altra sbavatura che allontana il disco dall’olimpo. Un brano che in fondo dà speranza dopo tanto nichilismo sonoro e testuale, un degno punto al tutto in altri termini.
Insomma, Escape of the Phoenix non è un disco perfetto. L’eccesivo utilizzo di elettronica (comunque tratto comune alla discografia della band), una produzione non perfettamente calibrata e scelte spesso troppo pop o mielose vengono bilanciate con pezzi di una violenza impressionante, riff memorabili, un guitarwork eccellente e la capacità degli Evergrey di non invecchiare mai senza apparire però degli adulti vestiti da ragazzini. La maturità del quintetto è qui tutta presente e su questo non vi è dubbio, in un platter ottimamente realizzato nonostante le mancanze evidenziate; la nuova uscita della formazione svedese è invero un ennesimo passo falso evitato con classe, attraverso la riproposizione dei temi che funzionarono in passato ma vestiti con abiti contemporanei di buon gusto. L’ascolto sarà piacevole, a tratti veramente mozzafiato, immediato ma anche con notevoli chiavi di rilettura, diventando di diritto una delle uscite più interessanti che vedremo nel corso dell’annata.
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10
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Miglior album del 2021. Punto. |
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9
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Discone. Tra I Più Belli Del 2021. |
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8
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Giusto micologo per me è un grande disco potente e melodico
Album da 90 |
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7
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Per me ha già detto tutto Micologo al commento 6. Non avrei saputo esprimere meglio cosa rappresentano per me questo disco e gli Evergrey in generale. |
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6
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Fatemi un grande favore personale: non incominciate a scrivere "deludente", "avevo troppe aspettative", "non ci siamo" dopo aver ascoltato due pezzi o tutto l'album mezza volta...date tempo al disco, che è spettacolare, e al terzo ascolto già cambieranno molte cose.
Capisco che sia figo dire la propria velocemente al giorno d'oggi, ma la musica necessita del giusto TEMPO, se no si prendono cantonate assurde e si danno informazioni fuorvianti. |
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5
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Ascoltato svariate volte e mi piace sempre di più....peccato x la collaborazione con laBrie con due voci cosi si poteva fare di più....ma lo vogliamo dire il lavoro di basso di Niemann....mostruoso come sempre..... |
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4
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La musica degli Evergrey è come la cacio e pepe: sarà pure semplice, ma per farla bene bisogna essere davvero bravi...e poi non stanca mai. Ardite similitudini a parte, anche questo disco è potente, oscuro e melodico, Tom ha una voce della madonna, gli assoli sono sempre di gran classe, la sezione ritmica macina...che si può volere di più da loro? |
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3
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album precedente super ascoltato da me ! Tuttavia per ora deluso da un primo ascolto piatto e senza squilli di tromba |
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2
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I singoli ascoltati fino ad oggi, lasciano ben sperare, in fondo il quintetto di Goteborg è una garanzia, non sbagliano un colpo. In effetti il pezzo con James La Brie, senza un assolo degno di questa band, lascia l'amaro in bocca. Rimango in attesa di gustarmi l'intero lavoro che, sono sicuro sarà all'altezza. |
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1
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Ho aspettato il pezzo con james.....con la bava alla bocca....ascoltato oggi........no no mi spiace ma piattissimo...non mi è piaciuto ......peccato avevo troppe aspettative |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Forever Outsider 2. Where August Mourn 3. Stories 4. A Dandelion Cipher 5. The Beholder 6. In the Absence of Sun 7. Eternal Nocturnal 8. Escape of the Phoenix 9. You from You 10. Leaden Saints 11. Run
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Line Up
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Tom S. Englund (Voce, Chitarra) Henrik Danhage (Chitarra) Rikard Zander (Tastiere) Johan Niemann (Basso) Jonas Ekdahl (Batteria)
Musicisti Ospiti:
James LaBrie (Voce nella traccia 5)
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RECENSIONI |
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