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Asia - Astra
19/03/2022
( 1613 letture )
Prima o poi succede a tutti: in tutte le discografie di gruppi o di artisti singoli, capaci di durare nel tempo, capita di rinvenire uno o più dischi controversi, discussi, non completamente accettati; il classico “disco che non sarebbe mai dovuto uscire”, quantomeno agli occhi dei fans più accaniti e integralisti. Per gli Asia, questo disco è sicuramente Astra, terzo album del gruppo, datato 1985.
Come spesso succede, questi album controversi escono al termine di periodi di crisi, o comunque non facili; anche in questo caso, non si fa eccezione alla regola. È quindi utile fare un passo indietro e ritornare ai capitoli immediatamente precedenti, per trovare già nelle vicende storiche molte delle ragioni che hanno poi condotto ad Astra e ai suoi contenuti.

Gli Asia nascono nel 1981, come “supergruppo” di musicisti provenienti dai grandi nomi del prog rock inglese (ELP, Yes, King Crimson, ecc.); ma fin dall’esordio omonimo si caratterizzano per una musica che è molto più legata al rock da classifica che non al prog di origine. Intendiamoci, hard rock di classe cristallina e fattura pregevolissima, ma è indubbio che coloro i quali si aspettavano una band in grado di rinverdire i fasti del prog rock dei ’70 siano rimasti parzialmente delusi. Anche in seno alla band stessa i primi malumori iniziavano a serpeggiare, ma il plebiscitario successo di pubblico li ha ben presto tacitati. La stessa cosa però non è avvenuta con il secondo disco, Alpha, del 1983: sebbene musicalmente di caratura persino superiore all’esordio, troncava di netto ogni residuo legame con la scena prog e non riuscì a replicare il successo del primo disco dal punto di vista commerciale. A questo punto, la band letteralmente si lacera: Steve Howe (soprattutto) e Carl Palmer (in parte) si sentono dei puri “session man” soggiogati dalla coppia Wetton-Downes che scrive e produce tutto, e le discussioni sempre più frequenti hanno un risultato clamoroso: John Wetton decide di lasciare il gruppo.
È tuttavia sufficiente una breve tournée in Asia, pur effettuata con un grandissimo musicista come Greg Lake alla voce e al basso, per mostrare a tutti una verità tanto semplice quanto inconfutabile: gli autentici Asia esistono solo con John Wetton. La logica conseguenza è il rientro del “figliol prodigo” e, date le incomprensioni ormai insanabili, l’uscita di Steve Howe, sostituito quasi subito con l’allora quasi sconosciuto chitarrista svizzero Mandy Meyer, futuro membro dei Gotthard negli anni ’90 e 2000.

Dal punto di vista musicale, il lascito di tutte queste vicende è chiaro: la coppia Wetton-Downes è saldamente riconfermata al timone compositivo del gruppo, e le nuove canzoni seguono in maniera diretta e consequenziale le coordinate sonore già trattate in Alpha. Si parla quindi di un hard rock diretto, elegante, melodico e potente, dove le tastiere hanno un ruolo altrettanto rilevante di quello delle chitarre, la sezione ritmica è pulsante e vigorosa, e la meravigliosa voce di John Wetton ha modo di tessere le sue trame melodiche in maniera assolutamente libera e riuscita. Ovviamente però, dopo tali vicissitudini, la coesione del gruppo non può essere al suo apice; questo è il motivo per cui questo disco non fu mai vissuto, né dai fans né dalla band stessa, come uno dei più riusciti. Ma è davvero un lavoro scadente? Per nulla.
L’album parte con quello che fu il singolo di riferimento, Go, aperto in maniera solenne dalle tastiere di Downes e poi caratterizzato da un incalzante riff di chitarra e tastiere, su cui si innesta la sezione ritmica prima di lasciare il campo ad una linea vocale potente ed incisiva. Brano assolutamente centrato, che fa ben sperare per il proseguimento. La seguente
Voice Of America è uno dei più bei pezzi mai realizzati dai nostri: la linea vocale è tanto semplice quanto perfetta e solo un vocalist d’eccezione come Wetton avrebbe potuto esaltarla in tal modo. L’arrangiamento, dominato dal piano, la accompagna a dovere prima del coro assolutamente splendido. Un inizio assolutamente serrato e incalzante è invece il trademark di Hard On Me, dove i riff decisi di Meyer mostrano un lato rock degli Asia che nei precedenti dischi era rimasto maggiormente in sordina; arrangiamenti e suoni tipicamente anni ’80, ma una classe quasi ineguagliabile. Si prende un po’ di fiato con Wishing, un mid-tempo un po’ sulla falsariga di Heat of the Moment, ma che non ottiene la stessa resa finale. Se questi sono i brani “scarsi”, avercene comunque. Altro “pezzo da 90” è invece Rock and Roll Dream, che parte in maniera lenta e quasi sussurrata, per poi crescere nel chorus letteralmente dominato da Wetton e preparare un crescendo costante di intensità fino all’esplosione del chorus, trascinato dai riff tastieristici di Downes. Countdown to Zero parte in maniera cadenzata e cupa, poi mano a mano cresce di intensità e di velocità, lasciando ampio spazio per un pregevole assolo di Meyer, il quale si dimostra –qui e in generale nel resto del disco– non solamente un rimpiazzo di Howe ma un musicista assolutamente all’altezza.
Se fino ad ora gli arrangiamenti sono stati, seppure barocchi e magniloquenti, assolutamente funzionali alle atmosfere e alle esigenze dei pezzi, in Love Now Till Eternity le parti tastieristiche di Downes sono assolutamente strabordanti e finiscono per appesantire un po’ troppo un brano che, per struttura e bellezza della linea vocale, avrebbe potuto rendere ancora meglio con scelte compositive un po’ più sobrie. Per fortuna, si ritorna al rock con Too Late, un pezzo che ha molto in comune, per struttura ed arrangiamento, con la fortunatissima Runaway di Bon Jovi, ad essa quasi contemporanea. Da applausi, come da copione, la prova vocale di Wetton, ma qui anche la sezione ritmica ha modo di farsi valere al meglio. Il piano di Downes e una malinconia di fondo tornano protagonisti in Suspicion, brano caratterizzato da ripartenze e frenate, ma molto ben costruito e strutturato. Spettacolare l’assolo di sintetizzatore.
Chiusura ancora di alto livello, con After the War, un brano purtroppo tristemente attuale. I suoi toni solenni e apocalittici sono la perfetta colonna sonora delle tragedie immani che solo una guerra può portare.

Purtroppo, tanto impegno e tali risultati musicali non bastarono a convincere il pubblico dell’epoca: le vendite furono un disastro, al punto che la Geffen decise di cancellare il tour promozionale e la band non resse all’urto, finendo per sciogliersi nel 1986 prima di rinascere in maniera definitiva, ma con altra veste (l’era Downes-Payne), solo nel 1992.
Chi scrive è di parte, nel senso che non considera brutto o scadente nessun lavoro dei nostri, nemmeno quelli maggiormente ignorati da pubblico e critica; ma, oggettivamente, è difficile oggi capire come sia stato possibile che un lavoro come Astra sia andato incontro ad una sorte tanto negativa. Certo, non c’era Howe, ma abbiamo visto e sentito come il suo sostituto non lo abbia fatto rimpiangere più di tanto. Certamente, ogni minimo legame o rimando al prog è stato eliminato: ma questo era già avvenuto con il disco precedente, e, se vogliamo, già in gran parte con il primo album; eppure, sono stati entrambi album di successo (soprattutto il primo), quantomeno di pubblico. Sicuramente, avere in casa un musicista come Carl Palmer e sfruttarne solo in parte le doti tecniche e la fantasia può essere un limite: ma sembra che agli stessi interessati non sia mai importato più di tanto, visto che il batterista è rimasto negli Asia in quasi tutte le loro incarnazioni, comprese le ultime, e il suo ruolo non è mai mutato.

Probabilmente non c’è una vera ragione: Astra è semplicemente il classico “disco giusto nel momento sbagliato”, quando una nuova nidiata di band contemporanee ai nostri o più giovani di loro, stava emergendo e ha preso il loro posto in vetta alle classifiche, senza tuttavia averne le doti o la classe compositiva ed esecutiva. Riascoltato oggi, a quasi 40 anni di distanza, il disco suona forse datato nei suoni (più che altro, in alcune scelte sonore, perché la produzione in sé è di livello stellare) ma assolutamente fresco e coinvolgente, molto più di altri suoi contemporanei o suoi successori.
Poi, a suggellare il tutto e a dare l’autentica marcia in più, c’è quella voce: una voce unica e inimitabile, fra le più grandi in ambito rock degli ultimi 50 anni, in grado di magnificare ogni singola nota; chiunque ascolti queste canzoni, non può che concordare con ciò che la maggior parte dei fans degli Asia pensa e ha sempre pensato: malgrado le validissime prove di John Payne e il recente ingresso di Ron Thal, i veri Asia sono quelli capitanati dall’unico e solo John Wetton.



VOTO RECENSORE
82
VOTO LETTORI
82 su 2 voti [ VOTA]
ShotInTheDark
Mercoledì 3 Aprile 2024, 14.27.47
7
come suoni, il miglior disco degli Asia, come composizione più standardizzata. Resta il fatto che odio Steve Howe, quindi...
AL
Mercoledì 1 Giugno 2022, 16.00.18
6
Dalla rece si capisce la stima per il mio amato John Wetton. Tanto talentuoso quanto, forse mai troppo riconosciuto come il singer ( e anche musicista!)eccezionale che era. Astra appare lievemente in calo compositivo rispetto al secondo ed al mastodontico primo disco. Ma non sarebbe stato per tanti così difficile dopo quelle eccelse prove? io credo si si. L'era John Payne mi ha letteralmente entusiasmato, ma Wetton resterà per sempre nel mio cuore. Long live ASIA
alifac
Venerdì 25 Marzo 2022, 18.05.32
5
Bellissima recensione per un bellissimo e sottovalutato disco!
Voivod
Mercoledì 23 Marzo 2022, 10.43.55
4
A me è sempre piaciuto e poi ha una delle copertine più belle di sempre!
Diego75
Martedì 22 Marzo 2022, 13.20.37
3
Per me un buon disco...eppure quando usci' ai tempi non ricevette buoni voti.
Aceshigh
Lunedì 21 Marzo 2022, 10.36.08
2
Sarà che mi avvicinai a quest’album dopo averne sentito parlare non benissimo, sarà che col precedente Alpha non ho mai avuto un gran feeling…. ma a me questa terza prova degli Asia non è mai dispiaciuta. Effettivamente manca il tocco di Howe, talmente unico da caratterizzare ogni album su cui suona, ma Meyer comunque il suo mestiere lo fa. Nel complesso i pezzi (tranne un paio) mi hanno sempre convinto abbastanza, anche più di Alpha (e qui so di essere in minoranza). Voto 79
Andrew Lloyd
Domenica 20 Marzo 2022, 13.24.32
1
Un gran bel disco, senza dubbio di cui sono sempre stato sostenitore. E anche l'era Payne dei capolavori anni Novanta merita di essere rispolverata
INFORMAZIONI
1985
Geffen Records
Hard Rock
Tracklist
1. Go
2. Voice of America
3. Hard on Me
4. Wishing
5. Rock and Roll Dream
6. Countdown to Zero
7. Love Now till Eternity
8. Too Late
9. Suspicion
10. After the War
Line Up
John Wetton (Voce, Basso)
Mandy Meyer (Chitarra)
Geoff Downes (Tastiera)
Carl Palmer (Batteria)
 
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