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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Redemption - I Am the Storm
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08/05/2023
( 3144 letture )
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Fondati nel 2001 dal chitarrista e songwriter statunitense Nick Van Dyk inizialmente come un progetto ambizioso di progressive metal contornato da prestigiosi ospiti e collaboratori, la band è evoluta nel tempo come una degli esponenti di spicco del panorama power prog metal alternando uscite in studio di spessore tecnico e dal songwriting ricercato e complesso a rare uscite live. Giungere al traguardo dell’ottavo album in un ventennio di carriera non è un traguardo scontato né banale visto il contesto, non soltanto perché Van Dyk è in primo luogo un top manager californiano del mondo media, entertainment e technologies avendo ricoperto ruoli apicali in multinazionali, ma soprattutto per i problemi di salute molto seri che hanno colpito dapprima lo stesso mastermind (a cui fu diagnosticato un male incurabile nel 2008 poi quasi miracolosamente gestito negli anni) e poi l’altro chitarrista Bernie Versailles (già con Engine e Agent Steel), che purtroppo ha dovuto interrompere la propria carriera alcuni anni fa. I Redemption, nonostante le innumerevoli difficoltà e ostacoli quasi insormontabili, sono stati capaci di mantenere la propria attività in studio con una cadenza piuttosto regolare e con una line-up che ora pare stabilizzata e composta dal bravo frontman degli Evergrey Tom S. Englund (terzo vocalist della band dopo gli inizi con Rick Mythiasin e una manciata di ottimi album con nientemeno che il grande Ray Alder), dal nuovo innesto Vikram Shankar alle tastiere, dalla solida sezione ritmica composta da Sean Andrews al basso e il fedelissimo Chris Quirarte alle pelli, oltre naturalmente a Nick Van Dyk songwriter e autore della maggior parte di parti di chitarra, con un supporto nel sempre stimato Simone Mularoni in veste di mastering e guest in alcuni assoli.
I Am the Storm è dunque l’ottavo lavoro in studio dei Redemption, frutto di un mix di caparbietà, costanza e indiscusso talento. Come la maggior parte dei predecessori, il minutaggio supera i settanta minuti, tempo in cui l’ascoltatore viene avvolto da una cascata di atmosfere e percorsi in cui la complessità delle architetture strumentali e melodiche richiedono concentrazione e dedizione. Una formula che ha permesso ai Redemption di guadagnare e mantenere una schiera di seguaci dediti al progressive metal più integro e puro, che ha visto la band eccellere in The Fullness of Time (probabilmente il punto più alto nella carriera della band, primo album con Alder del 2005), The Origins of Ruin (2007) e Snowfall on Judgement Day (2009). Il lavoro alterna brani dal minutaggio sostanzialmente contenuto come l’opener titletrack, che ricorda molto gli Evergrey più melodici, la successiva Seven Minutes From Sunset (in cui i maestri Dream Theater incontrano i Symphony X), e la più melodica e impregnata di Fates Warning feeling The Emotional Depiction of Light. Pezzi davvero convincenti in cui si nota subito come le linee vocali siano state scritte appositamente per Tom S. Englund, qui interprete e padrone della scena e decisamente più a suo agio rispetto al precedente lavoro in studio (in cui forte era il sospetto che le partiture fossero piuttosto state intese per Alder che non fu invece in grado di proseguire con costanza con i Redemption vista la serie di impegni con Fates Warning ed altri progetti in cantiere, A-Z e solisti su tutti) e in cui il valore di Vikram Shankar si fa apprezzare alle tastiere come perfetto complemento alle scorribande chitarristiche di Van Dyk e Mularoni. Molto buono il groove negli otto minuti di Remember the Dawn (ottimo mix tra Fates Warning e Threshold), in cui le partiture si fanno più articolate e a tratti tirate, con ancora una volta spazio alle tastiere di Shankar e con nota di menzione per la pulita e tecnica prova della sezione ritmica, in essenza un pezzo progressive metal con i crismi del genere. Ancora i Threshold più tirati fanno capolino nei riff secchi di Resilience, mentre il minutaggio supera addirittura i quattordici minuti in Action at a Distance, in cui si respira il mood di Dream Theater e Fates Warning di fine anni Novanta, influenze chiare nel Van Dyk songwriter ma anche esecutore, con vari passaggi di chitarra in cui abbondano le cui pennate dal gusto a cavallo tra i maestri Petrucci e Matheos, il tutto ben impacchettato anche se un po’ prolisso specialmente nella seconda parte con alcuni passaggi strumentali che avrebbero potuto essere sfrondati o alleggeriti, rendendo il tutto più scorrevole e fruibile. Discorso simile per i dodici minuti di All this Time (and not Enough), in pieno stile Redemption e dalla complessità non indifferente, ben attutita da momenti maggiormente ariosi e melodicamente accessibili, specialmente negli assoli e in alcuni passaggi pianistici e tastieristici quasi in stile Savatage. Non mancano – anche qui abitudine a cui i Redemption ci hanno abituati negli anni – due covers di classici rock e prog del passato. Questa volta sono i Genesis ad essere rispolverati con Turn It on Again, brano da Duke del 1980 e tratto del periodo più rock e quasi commerciale della band con Phil Collins alla voce, qui decisamente irrobustito a livello strumentale e ben interpretato da Englund, il quale poi si supera nell’interpretazione di Red Rain, classico rock degli anni ottanta tratto dall’ottimo So di Peter Gabriel, con un’interpretazione vocale da applausi e capace di ricordare da vicino la calda ed espressiva timbrica del singer albionico, ben supportato da una band che non sfigura sia pure non raggiungendo la perfezione della versione originale che vedeva in formazione i mostri sacri Tony Levin al basso, Jerry Marotta e Steward Copeland alle percussioni e batteria.
Nel complesso un lavoro che spicca come una uscita di notevole spessore, forse la migliore fino ad oggi in questo 2023 in ambito prettamente prog metal, che conferma i Redemption come realtà solida, talentuosa, affidabile e capace di giocare un ruolo di prim’ordine nel progressive più tirato e complesso. Non ai livelli dei tre sopracitati punti più alti nella carriera della band ma certamente vicini per qualità e sound. Applausi e grande rispetto per Nick Van Dyk, capace di andare avanti negli anni e mantenere il successo in tutti i campi, manageriali e musicali, della propria vita, certamente non immune da asperità. Esempio di costanza, metodo e tenacia.
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8
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Grande Van Dyk, non sapevo fosse un top manager e questo glu fa ancora piu’ onore, trovare il tempo per due professioni di successo, chapeau! |
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6
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Assolutamente un grande album.
Englund alla voce mi piace assai anche se mi piaceva molto pure il sempre ottimo Alder.
Trovo che quest\'album (come il precedente) siano comunque più accessibili dei lavori precedenti questo è un bene |
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5
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Commento #4: Vai grande campione. |
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4
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Grande prestazione di Englund, The Emotional Depiction of Light è una canzone favolosa in entrambe le versioni presenti |
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3
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Bella storia che Van Dyk e’ un boss dell’entarteinment. Quanto al disco, bello e solo un po’ prolisso |
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2
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Disco di spessore, l’ho trovato complessivamente più accessibile rispetto ad altri lavori della band. Ottima prova vocale e strumentale. Voto giusto. |
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1
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Con Englund ho preferito di gran lunga il precedente, ma anche questo si ascolta volentieri. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. I Am the Storm 2. Seven Minutes from Sunset 3. Remember the Dawn 4. The Emotional Depiction of Light 5. Resilience 6. Action at a Distance 7. Turn It on Again 8. All This Time (and not Enough) 9. The Emotional Depiction of Light (Remix) 10. Red Rain
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Line Up
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Tom S. Englund (Voce) Nick Van Dyk (Chitarra) Vikram Shankar (Tastiera) Sean Andrews (Basso) Chris Quirarte (Batteria)
Musicisti ospiti Simone Mularoni (Chitarra)
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