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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Pretty Maids - Pandemonium
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( 7701 letture )
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Bentornate Belle Signorine, quanto tempo… ci siete davvero mancate! A parte le battute sul nome, ma in fondo quello se lo sono scelti loro, è sempre un gran piacere salutare una nuova uscita dei buoni, cari e capelluti Pretty Maids, un combo probabilmente troppo sottovalutato dalla critica continentale. Il prossimo, saranno 30 anni di attività, e alzi la mano chi aveva previsto una storia così lunga per questi super nordici. Nessuna mano, ci avrei scommesso, ma nemmeno io avrei puntato un penny presso qualche allibratore su questa lunga militanza, non perché non abbiano le qualità ma perché tre decadi sono una carriera infinita che la maggior parte delle band, alcune universalmente note e che hanno cambiato per sempre la musica, non vedrà mai. I Pretty sgorgano ad Horsens, Danimarca, per mano di Ronnie Atkins (voce) e Ken Hammer (chitarra) nel 1981 e, grazie al sostegno di Metal Forces, ottengono presto un contratto con la Epic Records nel loro paese natio, aprono per i Black Sabbath ed editano il mitico Red, Hot and Heavy, che gli procura la scrittura per svariati festival al fianco di Hanoi Rocks, un tour britannico di supporto ai Saxon nel 1985 e performance assieme a grandi nomi di quel periodo quali Nazareth, Venom, Heavy Pettin’, Wishbone Ash, Savage Grace, Running Wild, Metallica e Warlock. Qualche tempo dopo, nel luglio ‘86, a New York, si mettono al lavoro con il produttore Eddie Kramer (Kiss, Anthrax, Fastway), mix operato da Kevin Elson a San Francisco mentre a Copenhagen, Flemming Rasmussen, noto per le sue collaborazioni con Metallica, completa il resto dei brani. Nasce così Future World, a parere del sottoscritto il loro album più bello contraddistinto da tinte forti e atmosfere soft mai banali, con l'ex singer dei Rainbow e M.S.G. Graham Bonnet, ai backing vocals.
La fama arriva, le collaborazioni prestigiose anche, Jump The Gun, terza prova pubblicata nel aprile del ‘90, vede la mano produttiva del bassista dei Deep Purple, Roger Glover e l’apparizione come ospite del batterista degli stessi Deep, Ian Paice. Tour con gli storici albionici inventori di uno dei riff, se non del riff per eccellenza riconducibile al hard rock (c’è bisogno di citare Smoke on the Wate forse?), tour in Giappone, vendite in crescita. Insomma, nel loro fiorente destino discografico, i Pretty Maids, oltre ad aver cambiato più componenti delle missioni dello Shuttle, hanno dato alle stampe ben dodici fatiche da studio (incluso questo nuovo capitolo) ben sei ep, due live e due raccolte di grandi successi. La simbiosi perfetta tra cantante e chitarrista, unici elementi mai scesi dal vettore ’Maids, li vedono, con i dovuti paragoni, come le accoppiate storiche che hanno fatto la leggenda e la fortuna di tanti act rock e metal. E allora eccoci a Pandemonium che rompe un digiuno di nuove canzoni che durava dal 2006 per l’appena discreto Wake up to the Real World. Ronnie Atkins (vero nome Paul Christensen) e Ken Hammer (Kenneth Hansen) nel tempo si sono contornati di una serie di elementi stabili e tutti insieme hanno prodotto questo nuovo lavoro che brilla per maturità, suoni, e una penna compositiva che spara fuori ottimi spunti. Tutte le tracce sono vergate dal duo storico/classico tranne la title-track e Final Day of Innocence, firmata dal binomio di ferro insieme al pestatasti Morten Sandager. Ma procediamo con ordine. Una copertina in stile 2012, fine del mondo, un cavallo scarnificato e mezzo meccanico, che a me personalmente ricorda quello di Troia, sullo sfondo distruzione e polveri mefitiche battezzate da un volo di corvi neri, tutto molto crepuscolar-negativistico. Ticchettio d’orologio, intro parlato, partiture orchestrali, poi scocca una tastiera serrata e il ritmo si fa duro con chitarre grandi come la bocca di un vulcano e una voce che, come sempre, alterna pulizia e scream. Batteria indiavolata e Pandemonium vola, un inizio assai confortante, a tratti bellissima, con quegli stacchi violenti che riportano il nastro del film ad appassionanti somiglianze con Future World anche se il combo, qui, appare più spietato in fatto di sonorità pompate e rocciose. Una heavy song a tutti gli effetti. Se I.N.V.U. mostra il lato più melodico con un chorus molto dotato di peculiarità di matrice Aor che la rende soave e con chitarre con attributi, il diadema di Little Drops Of Heaven, dove il rock dei Pretty Maids si contamina con il pop e si sbilancia verso il fantasma degli Him, colpisce perfettamente nell’anima; non sfigurerebbe come hit nella heavy rotation di MTV. Pezzo dal grande appeal commerciale ma non solo, con un guitar-solo effervescente. Un unico mondo una sola verità, pare possibile? Secondo i Pretty Maids sì, e questo concetto viene espresso con una cucitura tra sei corde, sezione ritmica, spruzzi di key e una voce efficace e incazzata in tutto lo sviluppo e con un intervento di Ken davvero azzeccato, altra tessera ad incastro perfetto nel mosaico che si viene a delineare. Andamento hard, melodie orecchiabili, strofa più bella del ritornello, pollice alto comunque per Final Day Of Innocence, mentre in Cielo Drive si scatena la compattezza del retroterra dei danesi. Quasi quattro minuti di cavalcate selvagge con una leggera filtratura della voce, heavy allo stato puro come da sempre i Pretty Maids ci hanno proposto sin dagli esordi: ricordo che il loro primo album venne esaltato trasversalmente dai metallari dell’epoca. Pugno di ferro e velluto, metallo cangiante e paradisi empirei.
Numero sette, It Comes At Night procede tra lande nordiche e il suo sapore appare molto teutonico per lo spessore della song, chitarra con talk box in alcuni interventi, Ronnie Atkins ci mette molto del suo: break acustico a rallentare la velocità, poi scatta un solo di chitarra cantabile e memorizzabile subito. Nessun punto debole sino ad ora, ci attende il finale. Old Enough To Know è una ballata elettrica scaturita dal magico incontro tra corde e tasti del synth con un cantante che non fatica a colorare atmosfere e a renderle immaginifiche, nota di vanto il solo di Ken Hammer che lavora su una distorsione in stile Slash ai tempi dei compianti Guns. Gli Alice in Chains sono qui per Beautiful Madness che diventa un diamante incastonato tra la fierezza del metal e le piacevolezze armoniche del “rock paradise”, una commistione che potrebbe garbare davvero a tutti noi, cori piacenti ma secchi, bridge picchiato da un batterista che sa il fatto suo, inutile commentare il solo di chitarra, breve, ma ottimo come sempre. Aria fresca e cieli azzimati si compiono per la chiusura individuata in Breathless, piccolo gioiello e compendio di come va assemblato e creato l’Aor moderno. Nessun compartimento stagno, tanta contaminazione, un inciso che fa sorridere le orecchie, tematiche che fanno riflettere. E la musica, la musica non stanca. Termina in un lampo questo nuovo cd, e la voglia di riascoltarlo subito la fa da padrona. Nessun miracolo, ma tanta voglia di continuare a produrre note fresche e di qualità con sperimentazioni per accostare quasi l’inaccostabile, ecco il merito di questi longevi danesi. Ancora una volta schegge potenti e dall’impatto chiaro, condito da un rifframa tagliato su misura che secerne macigni edulcorati da musicalità abbagliante, con il cantato di Atkins, sempre sostenuto da ottima espressività; inappuntabile il lato tecnico della line-up guidata con maestria unica dall’ottimo Ken Hammer, capace di pescare tutte le ostriche con perla acclusa . Interessante anche il lato delle tematiche trattate nella maggior parte dei pezzi, una visione spesso cinica e realistica, poco propensa all’ottimismo da bar, che ha come centro focale il nostro pianeta, ogni giorno di più minato e vittima della sconsideratezza dell’uomo che lo tratta in maniera indecorosa. Liriche doverose che tutti dovremmo far nostre, unite anche a temi più leggeri, scanzonati. Non è un concept, insomma, e va bene così. In sostanza Pandemonium riannoda il broccato lamellato di gran qualità espresso tra la metà-fine anni ottanta e un periodo dei novanta, proiettandosi con veemenza in questo anno 2010 che ci sta regalando ottime sorprese nel genere. Welcome back Pretty Maids, che goduria riascoltarvi su questi standard qualitativi.
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7
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Un disco di non facile "classificazione", nel senso che è forte la componente AOR tanto quanto quella heavy.
La tastiera ammorbidisce e intensifica, a seconda del passaggio.
A mio avviso il binomio funziona ed è perfettamente coerente in tutte le tracce: ho amato molto One world one truth, grande pezzo, sintesi perfetta del pezzo che ascolterei anche più volte al giorno.
Per me da 85.
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6
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I album e ' bello, it comes at night come poche, manca red hot & heavy che è un classico e Ronnie, si vede che porta bene quel nome al metal, e' uno dei migliori cantanti di metal appunto, più duttile rispetto ai gruppi tedeschi nella stragrande maggioranza |
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4
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Grazie Sfinge per i complimenti....io ho solo riportato il gran lavoro fatto in studio dai Pretty!!! Rock uber alles!!! |
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3
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Grandeeeeeee!!!!! O meglio: Grandiiiiiii!!!!!! Ho tanto atteso l'uscita di questo cd e della recensione, e sono strafelicemente soddisfatta del fatto che nessuna delle due abbia disilluso le mie aspettative... l'insieme, magistralmente fuso, di suoni duri e melodici rendono quest'album instancabile... e gira e rigira nel mio stereo... Pretty Maids 4ever!!!! Ora non mi tocca che aspettare il tour... La recensione... bella, carnosa ed impeccabile, complimenti Frankiss!!! E grazie  |
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2
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Appena ascoltato velocemente ma l'impressione è ottima! Qualità eccelsa! Little drops of Heaven è spettacolare e il brano di apertura che dà il titolo al disco sarà una grande hit in sede live! Grandissimi! |
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1
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Ma grandissimi... Non vedo l'ora di ascoltare questo cd... Concordo con Franco... Una delle band più sottovalutate... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Pandemonium 2. I.N.V.U. 3. Little Drops Of Heaven 4. One World One Truth 5. Final Day Of Innocence 6. Cielo Drive 7. It Comes At Night 8. Old Enough To Know 9. Beautiful Madness 10. Breathless
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Line Up
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Ronnie Atkins - Vocals Ken Hammer - Guitars Kenn Jackson - Bass Allan Tschicaja - Drums Morten Sandager - Keyboards
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RECENSIONI |
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