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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Abbiamo ripetutamente affrontato in passato l'analisi di dischi relativi a band che si possono considerare seminali per la costruzione di quello che, sul finire degli anni 70, sarebbe diventato l'heavy metal che tutti conosciamo, esploso poi come fenomeno mondiale con l'avvento della NWOBHM. Abbiamo pertanto parlato di mostri sacri quali Black Sabbath, Led Zeppelin, Judas Priest ed altri, ma anche band oggi meno conosciute, ma ugualmente importanti per la definizione dello stile, quali Iron Butterfly e Steppenwolf giusto per citarne un paio. Tuttavia c'è un altro nome che per importanza e poca notorietà ai nostri giorni, si colloca più o meno a metà strada tra i due "comparti" appena citati: si tratta dei Budgie. Nati nel 1967 a Cardiff in forma di power-trio con il bassista ad occuparsi anche della voce, come faranno pochi mesi dopo anche i Rush, i Budgie, a dispetto della scelta di un nome che a tutto fa pensare, tranne che alla musica dura, adottarono da subito uno stile pesante per l'epoca, già notevole nella loro opera prima del 1971: l'omonimo Budgie. Stile che troverà consolidamento maggiore nei dischi successivi, dei quali parleremo in seguito.
Nonostante il songwriting sia profondamente pervaso da una vena blues evidente in quasi tutti i brani, e le chitarre acide siano ancora molto 60's-oriented, in Budgie sono presenti parecchi spunti hard rock, progressive, jazz, altri proto-heavy, e persino delle chiare tracce doom. Queste ultime chiaramente riscontrabili nell'opener Guts, un pezzo che arrangiato in maniera appena un po' più oscura e munito di un testo ad hoc, avrebbe potuto tenere il passo con la coeva produzione targata Sabs. Non a caso il produttore di Budgie è Rodger Bain, lo stesso che curava i Black Sabbath. E’ appunto un grande pezzo come Guts ad aprire le ostilità, ed è subito Burke Shelley a dettare legge con le sue linee di basso ipnotiche e suadenti e la sua voce acuta, coadiuvato dalla chitarra di un ottimo e blueseggiante Tony Bourge e da Ray Phillips alla batteria. Questi, ad onor del vero, bada soprattutto a tenere il tempo e ad accentare qualche passaggio. Insomma: a fare il suo. Dopo i pochi e suadenti secondi acustici di Everything in My Heart è il turno di The Author, un brano lento ed ipnotico che ascoltato sotto acido suppongo darebbe corpo a meravigliose visioni. Tutto molto anni 60, ma nel senso migliore della definizione, almeno fino a cavallo dei 2,10", quando una secca accelerazione introduce ancora i prodromi di una musica che era ancora classificabile come hard rock, ma guardava già più in là. Eccellente poi la parte solistica che dà nettamente l'idea di una jam-session. Cominciamo ad entrare nel dettaglio del perché i Budgie sono da considerare come molto influenti sul rock moderno? Vi basti inizialmente sapere che una cover della lunghissima e Zeppeliniana Nude Disintegrating Parachutist Woman (i titoli surreali sono un altro benchmark della band) è stata proposta dai Thrush Hermit. Anche in questo brano è apprezzabile l'accelerazione posta stavolta poco prima del quarto minuto e sono veramente buoni il solo di chitarra di Bourge e la voce a là Gillan di Shelley a sorreggerlo di tanto in tanto. Forse l'episodio migliore dell'album. Favoloso il lavoro metal/blues di chitarra posto in apertura di Rape Of The Locks, pezzo che poi si sviluppa su un ammaliante trama blues-rock di grande effetto, ma è appunto la chitarra a farla da padrona ed ascoltarla potrebbe riservare molte sorprese ai più giovani. Buono il riff di All Night Petrol, brano che non rappresenta la punta di diamante di questo lavoro, ma che si mantiene su uno standard più che accettabile, così come accettabile è la ballata You And I, la quale, se non altro, ha il merito di non forzare la mano contenendo la sua presenza in 1,41 minuti. La chiusura è affidata alla celebre Homicidal Suicidal, altra pietra miliare del rock. Coverizzata dai Soundgarden, la canzone -ancora di stile Zeppeliniano- poggia ancora sul basso e sulla voce di Shelley e su un sottilissimo retrogusto jazzy che ne aumenta l'appeal.
Nella versione americana, il disco conteneva anche Crash Course in Brain Surgery, uno dei pezzi proposti dai Metallica in Garage Inc., e questo dovrebbe dire molte cose. I due dischi successivi chiariranno ancor di più quale sia stata la loro influenza sulla NWOBHM, una corrente che arriveranno a vivere fino al 1982 con Deliver Us To Evil, ma di queste cose -come detto- parleremo più in là. Intanto, se volete, le ristampe su cd dei loro album dovrebbero essere reperibili senza eccessive difficoltà. Teneteli presenti, se volete avere una panoramica completa dello sviluppo del rock dagli anni 70.
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6
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tempo al tempo...  |
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5
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E' vero che i Budgie hanno contribuito ad anticipare alcuni sviluppi fururi del genere hard con la loro interpretazione; li ho scoperti ad inizio anni '90 (prima non sapevo che Breadfan e Crash Course in Brain Surgery, entrambe coverizzate dai Metallica, fossero loro brani), ma ascoltandoli -e facendo caso agli anni di uscita- avevo intuito la loro portata storica. I primi 5 albums, a mio parere, meritano tutti di essere acquistati, anche se la punta di diamante (condivido) è rappresentata da "never turn your back on a friend". Buona anche la produzione degli anni '80, ma questo vale anche per l'album dei Tredegar, dove suonarono Tony Bourge e Ray Phillips. Ora mancano solo le recensioni di "in for the kill" e "bandolier"...  |
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4
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L'album cui fai riferimento verrà recensito più in là |
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3
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buon inizio per la band ma l'opera migliore deve ancora arrivare, il 1973 non è lontano, bella recensione |
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2
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Tienitelo stretto , altre rece su di loro in arrivo. |
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1
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Ho ancora il vinile dell'opera prima dei Budgie!!!!! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Guts 2. Everything in My Heart 3. The Author 4. Nude Disintegrating Parachutist Woman 5. Rape of the Locks 6. All Night Petrol 7. You and I 8. Homicidal Suicidal
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Line Up
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Burke Shelley (Basso, Voce, Mellotron) Tony Bourge (Chitarra, Cori) Ray Phillips (Batteria, Percussioni)
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RECENSIONI |
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