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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 7928 letture )
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La decisione di tentare la via della reunion che i Mercyful Fate presero con l’uscita dell’album In the Shadows, suscitò un’attesa molto forte all’interno della ristretta cerchia di fans della band, che si erano comunque nel tempo più che consolati della sua prematura scomparsa, grazie alla meravigliosa carriera solista del singer King Diamond. Lo stesso cantante decise però nel 1990, dopo il parziale insuccesso sia di Conspiracy che del successivo The Eye, del quale accusò apertamente l’etichetta Roadrunner, di mettere la propria band a riposo, riallacciando i rapporti con i vecchi compagni. Per i fans si trattò di anni di vera e propria festa, dato che con cadenza costante si ritrovavano per le mani un disco di splendida fattura, che pur senza raggiungere mai i livelli di sublime ispirazione dei primi irripetibili album, restava comunque assolutamente godibile e in qualche caso perfino entusiasmante. Va riconosciuto al cantante, più che a chiunque altro, uno sforzo generosissimo e quasi incredibile, che andrà a colmare in più di una occasione una vena compositiva non più così prolifica da parte di Hank Shermann, vero artefice dei primi capitoli dei Mercyful Fate. Sarà infatti Diamond a caricarsi in più di un’occasione il gruppo sulle spalle, portando il peso specifico delle proprie composizioni a livelli mai raggiunti in precedenza all’interno degli album del Fato Misericordioso. Questo maggior peso in sede compositiva è anche la causa primaria e inevitabile di un avvicinamento tra le sonorità delle due band e, quindi, di una progressiva “normalizzazione” dello stile unico e inimitabile che caratterizzava i primi due album dei Mercyful Fate, mai più replicato fino in fondo. Dopo che il complesso e tutt’ora ampiamente sottovalutato In the Shadows aveva sancito il ritorno della band in un periodo certamente poco favorevole alle sonorità heavy classiche, il gruppo intraprese quindi un cammino di maggior semplificazione delle trame strumentali, puntando sul tipico repertorio horror ormai trademark del singer danese, il quale rinunciò quasi totalmente alle tematiche “sataniche” dei primi due album e su una specificità leggermente meno marcata che in passato. Lo stile di Hank Shermann e Michael Denner resta inimitabile ed emerge prepotentemente in particolare nelle sezioni soliste, comunque decisamente meno articolate che in passato, a favore di una struttura dei brani più orientata alla forma-canzone, indubbio retaggio dello stile compositivo di Diamond.
Uscito nell’ottobre del 1994, Time è senza dubbio uno dei dischi più belli rilasciati dalla band dopo la reunion ed è sicuramente quello che mostra un equilibrio compositivo più marcato e riuscito. L’album si caratterizza infatti per una eleganza compositiva notevolissima e forse anche inaspettata, presentando undici brani assolutamente ricercati e curatissimi sotto ogni aspetto, dalla fattura davvero eccellente e tutti dotati di una propria identità specifica marcatissima. In effetti, si tratta di un disco che non presta il fianco alla minima critica sia un punto di vista compositivo che, a maggior ragione, da un punto di vista di arrangiamento: siamo al cospetto di undici brani cesellati da mani non solo esperte, ma di primissimo valore artistico. In effetti, l’unico appunto che gli si può rivolgere è quello di essere cosa diversa rispetto ai primi due irripetibili album; ma superato questo paragone inevitabile e destinato a rimanere lettera morta, non resta che calarsi nel tessuto sonoro di eccelsa qualità che caratterizza l’intero operato della band. Tanta è la perfezione formale e sostanziale, che l’ascolto sembra trasportarci di peso all’interno di un’antica e curata biblioteca colma di libri misteriosi e maledetti persa all’interno di un maniero sospeso tra tempo e spazio, una sensazione come di velluto e broccati, che celano un misterioso e sconvolgente passato, custodito da tempo immemore. Il ritornare del riferimento temporale non appare quindi casuale anche nella scelta del titolo dell’album vista la capacità creatrice della band di andare oltre certe barriere e creare un proprio universo espressivo dotato di un fascino incredibile.
Ulteriore trait d’union tra i Mercyful Fate e la band solista di King Diamond è costituito dal batterista che, solo per questo album, si siede dietro alle pelli: parliamo di Snowy Shaw eclettico e pazzoide polistrumentista che avremmo poi conosciuto nei Therion e nei Dream Evil e che aveva già suonato con il cantante danese proprio su The Eye. Altro nuovo arrivato è il gigantesco bassista Sharlee D’Angelo, che sostituisce lo storico Timi Hansen e all’epoca ancora giovane di belle speranze alla ricerca di una propria collocazione nello scacchiere metallico. I due debuttarono già nel tour di supporto a In The Shadows, come testimoniato dall’EP The Bell Witch, uscito a inizio 1994. Lo stile tecnico e mai ingombrante di Shaw si inserisce perfettamente nel contesto di canzoni estremamente elaborate e curatissime, ma mai ridondanti e mai spinte verso un qualsiasi eccesso, mentre lo spessore e il tipico suono di D’Angelo, decisamente in primo piano nel mixaggio, si sposano perfettamente con l’atmosfera plumbea ma estremamente elegante dei brani contenuti in Time. Ogni brano riluce di una propria identità specifica e narra una storia diversa e affascinante e diventa estremamente difficile identificare delle tracce di qualità superiore all’interno di un disco di livello notevolissimo, per cui l’opener Nightmare Be Thy Name e la seguente Angel of Light sembrano in tutto e per tutto brani solisti di King Diamond non fosse per i riconoscibilissimi assoli di Sherman e Denner, mentre Witches Dance è un piccolo grande capolavoro, tanto quanto la successiva The Mad Arab, omaggio a Lovecraft e al suo arabo pazzo Abdul Alhazred autore del libro maledetto Al Azif, ai più noto come Necronomicon. Semplicemente stupende le successive My Demon e in particolare l’elegante e avvincente Time, classica composizione di Diamond al clavicembalo, graziata da uno sviluppo strumentale splendido, che richiama in parte le atmosfere barocche di The Eye, squassate dai soli vorticosi e ululanti di Shermann. Proseguire con la descrizione dei singoli brani aggiunge poco, considerando che anche The Preacher, all’apparenza il brano meno riuscito del lotto, contiene in realtà una parte centrale assolutamente convulsa e orgasmica degna dei primi Mercyful Fate (non a caso si tratta di uno dei quattro brani nei quali compare lo zampino di Shermann) e che Lady In Black e Mirror sono due pezzi da 90, ma come non citare le strepitose The Afterlife e Castillo Del Mortes, che da sole farebbero la fortuna di band più pompate e assolutamente incapaci di scrivere una canzone degna di questo nome? Lo sforzo della band nel creare un album che contenesse undici brani di livello assoluto è evidente e riuscito, così come quello di rendere la proposta leggermente più fruibile senza per questo risultare banale o “svenduta”: un processo che conoscerà una propensione ben maggiore nei successivi Into the Unknown e Nine, con la sola eccezione del particolarissimo Dead Again, disco tra i più complessi creati dalla band.
Time è quindi un album dalla costruzione ricercata e dalla fattura eccelsa, che mostra i Mercyful Fate al loro meglio presentando una identità ancora marcata, memore di quella degli esordi e ancora fondata sulla ricerca di un linguaggio che potesse definirsi oscuro e fortemente tecnico, caratterizzato dall’interazione di interpreti sublimi e dalla personalità fortissima, tanto da un punto di vista compositivo quanto da quello espressivo, ma orientata oggi verso una maggior fruibilità. Di Diamond e Shermann si parla spesso, mentre più nell’ombra resta un chitarrista semplicemente splendido come Michael Denner, dotato di uno stile particolarissimo e riconoscibile, estremamente tecnico e raffinato, forse anche più del compagno d’ascia, che merita una propria particolare attenzione all’interno di una band incredibile e ineguagliata. Un album di questo valore semplicemente poteva appartenere solo a un gruppo di livello superiore, quale i Mercyful Fate sono sempre stati. Non molti avrebbero scommesso che la band sarebbe stata in grado di uscire con un disco di questa fattura allora e molti si affrettarono infatti a marchiarlo con una sostanziale noncuranza come inferiore alle precedenti releases, senza prendersi neanche la briga di provare a coglierne la grandezza. Un destino questo che caratterizzerà tutti i dischi della reunion e che porterà poi allo scioglimento definitivo della band, nel momento in cui la generosità di King Diamond dovrà scontrarsi con la realtà dello scarso interesse che circolava attorno ai Mercyful Fate, sempre e comunque inferiore a quello tributato alla sua band solista, che infatti riprenderà l’attività nel 1995 dopo cinque anni di stop col controverso The Spider’s Lullabye, inaugurando il quinquennio di doppio lavoro per il cantante. Un vero peccato che con miopia si sia preferito innalzare i campioni dell’allora nascente movimento power abbandonando al loro destino gruppi e album come questo; ma non è detto che non si possa porvi rimedio oggi. Se state infatti cercando un disco da riscoprire, che suoni classico ma al tempo stesso originale e ancora estremamente fecondo, il consiglio di avvicinarsi a questo Time è d’obbligo vista la qualità totale che vi troverete. Mercyful Fate, semplicemente unici ed ineguagliati.
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14
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Dopo il precedente dell\'anno prima, questo è il secondo capolavoro dei Fate degli anni 90, e insieme al precedente è quasi degno di stare al passo dei dischi anni 80 (dico \"quasi\" eh, perchè quelli rimangono sempre nell\'Olimpo assoluto). Altro pezzo da novanta incredibile del Re e soci, che in questo album buttano fuori una serie di pezzi davvero da lacrime agli occhi per quante emozioni sprigionano, da \"Angel Of Light\" e \"Witches Dance\", da \"My Demon\" alla gotica e oscura title-track, dalla commovente \"Lady In Black\" alla suadente \"The Afterlife\", giusto per nominare i picchi dell\'album, perchè pure tutto il resto è da brividi. perle incredibili di heavy metal classico macabro ed epico nel loro inconfondibile stile. |
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13
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Il clavicembalo baroccheggiante dell'immensa title-track e' solo la punta di diamante di un album pregno di eccellenti e superbe songs... un album che non sfigura affatto con i capolavori del decennio precedente e brani come "Nightmare be thy name", "My Demon", "Lady in black", "The afterlife". "Angel of light" oltre la STUPENDA "Time" non fanno altro che riconfermare i Mercyful Fate in stato di grazia !! |
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12
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L’ho già detto da un’ altra parte ma lo ripeto, i primi 2 album sono inarrivabili, oltre all’effetto novità, la band era un’ altra cosa,così come l’approccio compositiva/Strumentale, spiace dirlo ma un batterista fenomenale e sottovalutato come Kim Ruzz era parte integrante del sound,questo “time”è un buon album certo, ma ma molto lontano dalle intuizioni geniali di inizio carierà. |
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11
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un buon lavoro anche se forse il meno ispirato dei MF. Mettere Dead Again e 9, due ottimi album soprattutto il primo |
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10
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Sebbene la prima fase dei Mercyful Fate abbia un peso ed un'importanza storico/artistica maggiore, la loro resurrezione negli anni '90 (passata fin troppo inosservata) diede vita ad una serie di album validissimi, nessuno escluso a mio avviso. Anche qui in Time i pezzi notevoli si sprecano. Penso all'opener, a Witches' Dance o The Mad Arab, o ancora alle conclusive The Afterlife e Castillo Del Mortes... Voto 83 |
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9
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Da assoluto estimatore dei Mercyful Fate e di King Diamond, che seguo dai tempi dei dischi storici, la prima cosa che mi è apparsa in tutta la sua evidenza durante la lettura di questa recensione, è la profonda ammirazione che Saverio nutre nei confronti dei succitati gruppi, sui quali dimostra inoltre di avere ottime conoscenze. Non posso che quotare riga per riga quanto da lui già espresso, soprattutto per ciò che concerne il messaggio di fondo, sintetizzabile in questo semplice concetto: "non sapete cosa vi perdete a non approfondire!" Aggiungo una personale considerazione: il paragone con i primi lavori dei Mercyful Fate, per quanto spontaneamente tenda a prendere forma nelle nostre menti, può essere fatto solo in parte; i motivi sono diversi (i più importanti li ha già ricordati Saverio), ma a prescindere da queste considerazioni, ritengo che il valore dei dischi partoriti in seguito alla reunion (soprattutto i primi tre, a mio modesto parere) possa essere riconosciuto indipendentemente dai capolavori degli eigties. Si tratta di cose diverse, ma la qualità è imho presente in ambedue le incarnazioni dei Mercyful Fate. |
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8
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Non sarà Melissa o DBTH ma comunque è un bel disco e alcuni brani sono davvero ispirati...Come al solito quando si tratta di King Diamond sia versione solista che Mercyful Fate!!! Lunga vita a Re... |
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7
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bello bello , ma dietro a melissa, dont break the oath e into the unknown . ci metto pure abigail e fatal portrait voto 83 |
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6
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Disco gradndioso per una band grandiosa. Quoto la recensione in toto, magari dando pure 2/3 voti in più! |
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5
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Dare per scontati gruppi come questo, mettendogli sempre avanti altre realtà, magari sull'onda del momento, magari considerandoli come dire "esauriti" o non più capaci di stupire è un errore che può capitare, ma al quale va posto rimedio di corsa. E' come avere due-tre dischi dei Depp Purple e dire "ok, con loro sono a posto, passo ad altro". Quando poi scopri quante cose ti sei perso, non puoi fare a meno di darti dello stupido grazie a tutti! |
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4
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complimenti per la recensione che dimostra tutta la competenza in materia. La title track "Time" semplicemente da brividi |
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3
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Album di grande qualità. ho sempre preferito king diamond da solista ma qui siamo di fronte a una qualità davvero alta! bella recensione Lizard. complimenti! |
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2
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ottimo disco, grandissimi i mercyful fate!! |
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1
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Solita bella recensione , album di qualità !! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Nightmare Be Thy Name 2. Angel of Light 3. Witches Dance 4. The Mad Arab 5. My Demon 6. Time 7. The Preacher 8. Lady In Black 9. Mirror 10. The Afterlife 11. Castillo Del Mortes
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Line Up
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King Diamond (Voce, Tastiera) Hank Shermann (Chitarra) Michael Denner (Chitarra) Sharlee D’Angelo (Basso) Snowy Shaw (Batteria)
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