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27/04/24
CRASHDÏET
VHS - RETRÒ CLUB, VIA IV NOVEMBRE 13 - SCANDICCI (FI)
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Theatre Of Tragedy - Forever Is The World
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( 3722 letture )
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In TV nessuno inventa più niente, ogni anno ci sono sempre gli stessi programmi: perchè? Perchè non ce n'è bisogno. Inventare vuol dire spendere. Invece si preferisce affidarsi a format collaudati. Risparmi due volte: non rischi e non spendi. Semplice.
I Theatre of Tragedy al contrario hanno sempre voluto complicarsi la vita, e per fortuna aggiungo io: senza la loro intraprendenza e la loro innata voglia di osare non avrebbero di fatto “inventato” un genere nei primi anni Novanta (chi ricorda la definizione the beauty and the beast?), né avrebbero contribuito sul finale di millennio all'esplosione mondiale dell'industrial/goth. Se poi diversi dettagli della loro storia hanno lasciato qualche perplessità, questo è un altro discorso. Al giorno d'oggi però, e questo va detto, una nuova uscita dei Theatre of Tragedy non ha più attorno a sé l'hype degli anni d'oro, soprattutto in virtù della defezione di Liv Kristine e dell'ultimo (parziale) passo falso dal nome Storm. Cosa mi combinano quindi i norvegesi a questo giro per rilanciare alla grande il loro marchio? Ovvio, si affidano al format collaudato.
Ebbene sì, anche gli autori di dischi immortali quali l'omonimo debutto e Velvet Darkness They Fear cadono nella trappola dell'omologazione alla (disperata?) ricerca di rinnovata notorietà: Forever is the World non è un brutto disco, ma è il classico prodotto che ti aspetteresti da una band che oramai ha quasi esaurito le frecce al proprio arco, ossia un disco che va a ripescare le sonorità che li hanno resi celebri (quelle più gothic/doom tanto per intenderci), colorandole della moda del momento e rivestendole di patina moderna. Lo smodato uso dell'elettronica tipico dell'ultimo periodo dei norvegesi, come avrete intuito, è quindi ormai un ricordo (non così lontano a dir la verità).
Basterebbe un solo pezzo di questo Forever is the World per descrivere perfettamente ciò che i Theatre of Tragedy dovrebbero essere in questo 2009 ma che, purtroppo, sono solo in parte, dispersi in una forzata ricerca dell'appeal commerciale e quindi dell'easy listening (ascoltare Deadland per credere): sto parlando della fantastica Hollow, canzone costruita su arpeggi sognanti, struggenti accompagnamenti tastieristici, chitarre sospese nell'illusione di una via d'uscita ed il perfetto mix di voci growl e soprano in pregevole equilibrio ritmico e melodico. Di Hollow però ce n'è una nel disco, il resto si alterna tra momenti noiosetti ed altri dal gradevole ascolto (tra cui Astray, bell'esempio di sperimentazione modernista senza strafare) ma troppo sobri ed inconsistenti per affascinare nel profondo (e nel tempo...). Vi è però una costante in tutte le dieci composizioni di Forever is the World, costante dettata dalla classe e dalla competenza dei norvegesi (gente che come direbbe Rocco Tanica quando va in aeroporto viene fermata per eccesso di bagaglio d'esperienza) che non potevano non emergere: è la dolcezza questa costante. Essa vi è sempre sia nei passaggi più sofferti e languidi (A nine days wonder, Frozen, la title track dal vago retrogusto degli ultimi The Gathering) sia in quelli più energici, conquistata attraverso una certa qual incertezza che non deriva da forma insicura o gesto mirabolante ma da profondo rispetto della musica e dell'accadere (stiamo pur sempre parlando di assoluti professionisti...).
Forever is the World è un disco in cui grava il peso del dover dimostrare qualcosa, l'ansia da melodramma che trasuda quando il teatro mostra il sangue, senza lasciare al pubblico (noi ascoltatori) la felice attività di capire e completare a suo modo ciò che ascolta. In metafora letteraria Forever is the World non è, nonostante le intenzioni, un romanzo storico, ma più una modesta cronaca romanzata in cui i personaggi, pur illustri, non riescono a prendere rilievo. Come poco originale è il songwriting neutro: la scrittura corre veloce, con una leggerezza a tratti inconsistente, che più che un pregio diventa un difetto ancor più grave. Rimane la sensazione di un “catalogo” di vecchi oggetti tirati a lucido per l'occasione: spezzoni di brani, canzonette, stralci di musica ascoltata troppo in fretta, lampi di puro genio.
Nella musica nessuno inventa più niente, ogni anno ci sono sempre gli stessi dischi: perchè? Perchè non ce n'è bisogno. Inventare vuol dire spendere. Invece si preferisce affidarsi a schemi collaudati. Risparmi due volte: non rischi e non spendi. Semplice.
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2
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finalmente, dopo qualche settimana che è in mio possesso, l'ho ascoltato abbastanza per potermi esprimere. in realtà non ho ancora esaurito gli ascolti, fatto conseguente al valore che da sempre attribuisco ai tot e ai concittadini tristania (nonostante su entrambi, a giudicare dalle recensioni qui pubblicate e dai commenti, potrei trovare molti che la pensano all'opposto di me!) e cioè quello di saper scrivere canzoni. dinamiche, variegate, "belle". non importa il genere che scelgono di abbracciare di più - anche se ammetto di non amare granchè Assembly - secondo me ogni loro album se visto nell'ottica dell'album stesso (per dire, non giudicherò il primo con gli stessi canoni di Musique, che è del tutto diverso) è un ottimo album rock in generale. anche complesso magari, visto che almeno io non riesco a cogliere appieno ogni sfumatura ai primi ascolti. per me, promozione piena! |
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1
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Dopo aver sentito il primo sample ("Hollow") ero speranzoso. Ma alla fine mi ha deluso alquanto. Raymond c'è solo su metà album! Nell'altra metà invece c'è ma per passaggi abbastanza ridotti (a parte "Astray", che è anche bellina). La migliore è "Frozen". Una sufficienza tirata al disco però. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Hide and Seek 2. A Nine Days Wonder 3. Revolution 4. Transition 5. Hollow 6. Astray 7. Frozen 8. Illusions 9. Deadland 10. Forever is the world
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Line Up
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Vegard K. Thorsen - guitars Nell Sigland - vocals Raymond Istvàn Rohonyi - vocals Frank Claussen - guitars Lorentz Aspen - synth Hein Frode Hansen - drums
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RECENSIONI |
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