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SOUTHERN ROCK - # 1 - The South Is Gonna Do It Again
17/02/2013 (4318 letture)
Si può essere al tempo stesso ribelli e conservatori, innovatori e saldamente ancorati alle proprie radici, contestatori e fieri difensori di tradizioni e portabandiera di un intera identità territoriale? Eccome, e non stiamo parlando di un partito politico come qualcuno potrebbe aver pensato, ma di un intero genere musicale, che da oltre quarant’anni alza orgogliosamente la bandiera della Confederazione degli Stati del Sud, rivendicando una propria specificità territoriale e un modo di vivere semplice e legato alle tradizioni. Al tempo stesso, le band e i musicisti che hanno contribuito a creare questa corrente, si ponevano e tuttora si pongono come contestatori e ribelli, con un’attitudine indomita e recalcitrante alla supina accettazione e per questa loro vena rock che li rendeva ben più “pericolosi” e famigerati di altre band, hanno spesso pagato un ostracismo vero e proprio da parte tanto della stampa quanto dei circoli intellettuali. Un genere che ha saputo rinnovare la tradizione, ma ne ha anche conservato amorevolmente la natura profonda e la vera identità, portandola nel futuro senza alterarne i connotati e senza perdere mai il gusto per la musica suonata e sentita come parte stessa della propria persona. Un genere che ha spopolato per tutti gli anni '70 diventando parte viva e pulsante del mito del Rock e che è riuscito a tornare alla grande anche lungo tutti gli anni '90 rinnovando la propria carica nonostante il prezzo carissimo pagato in termini di vite umane distrutte o semplicemente perse per cause incidentali, caricando di tragedia la propria storia senza che questo ne fermasse l’impeto o ne alterasse le ragioni profonde, se non per un breve periodo. Parliamo, come avrete capito, del Southern Rock e della sua epopea, che dura fino ai giorni nostri dall’ormai lontanissima seconda metà degli anni Sessanta.

LA MUSICA, L’IDENTITA’, LE ORIGINI
Il southern rock come genere nasce da un movimento ampio ed internazionale che ha visto interagire pulsioni diverse e profondamente connaturate, le quali hanno dato vita ad un ibrido musicale del tutto peculiare ed immediatamente riconoscibile, dall’identità fortissima, rimasta ferma e fedele alle proprie radici con una tenacia e un’insistenza quasi commoventi. Le basi per la nascita del genere, come giustamente fa rilevare Mauro Zambellini nel suo libro Southern Rock (Giunti, 2001), ”erano le stesse del puro rock’n’roll anni '50, cioè le radici della musica americana contemporanea: country and western e rhythm’n’blues, due generi con cui qualsiasi adolescente bianco residente a sud della Mason-Dixon Line poteva facilmente entrare in contatto fin dalla nascita”. La metà degli anni Sessanta, infatti, dopo la grande rivoluzione del rock’n’roll, del rhythm’n’blues e del cool jazz degli anni '50, viveva un momento di reflusso, nel quale il blues elettrico, il revival folk di Bob Dylan e la rivoluzione psichedelica, stavano per imporsi a tutti i livelli. Primaria importanza assunsero in questo periodo le band inglesi, dai Beatles, ai Rolling Stones, agli Who, per poi passare ai primi veri eroi dell’hard blues, Cream, Free, The Jimi Hendrix Experience, Yardbirds, Fleetwood Mac e così via. Queste band ebbero il merito e la fortuna di rileggere i canoni del blues nato negli States caricandoli di un voltaggio e di un linguaggio rock che ne fecero idealmente una musica “nuova” e rivoluzionaria, un grande fiume che di ritorno nella patria del blues, fece scoprire questa musica anche ai giovani americani che per ragioni puramente segregazioniste non avevano mai avuto a che fare con i cosiddetti “race records” rilasciati dagli artisti di colore. Fu così che una generazione di ribelli in cerca di un proprio linguaggio e di una propria identità filtrò la grande musica di Robert Johnson, Elmore James, Willie Dixon, Muddy Waters, T-Bone Walker, John Lee Hooker, Sonny Boy Williamson etc. e la trasportò in un clima di fervente innovazione, nel quale gruppi come i Quicksilver Messenger Service, i Grateful Dead e le altre grandi band psichedeliche stavano stravolgendo i canoni stessi della canzone, introducendo lunghissime partiture strumentali all’interno delle esibizioni dal vivo, vera e propria celebrazione liturgica e sede principale di questa nuova religione laica. Fu così che da una parte all’altra dell’Oceano, le improvvisazioni e le lunghe jam di matrice jazz si imposero anche all’interno del blues e della psichedelia, che a loro volta confluivano nel rock più duro e selvaggio, il quale da parte sua offriva l’esplosione di watt e la consacrazione della chitarra elettrica come strumento principe della nuova generazione che arrivava a rompere gli schemi del passato, pretendendo un mondo nuovo, fatto di altre speranze e altre utopie. Inutile negare che anche il movimento hippie e i grandi raduni musicali di fine anni Sessanta abbiano avuto una loro profondissima influenza sul nascente genere musicale, che proprio sul palco ed anche nell’organizzazione sociale della Comune, troveranno un ulteriore tassello della propria specificità. Il concetto stesso di jam sancirà la cifra stilistica introdotta dal southern rock nella specifica identità del country western e del blues: lunghe improvvisazioni che potevano durare anche ore e occupare facciate intere degli album, cavalcate strumentali e tonnellate di assoli che prorompevano su strutture e metriche tipiche del blues, con un linguaggio rock mai troppo sopito, seppure quasi mai preponderante.

Ma oltre alla particolare ed unica mistura musicale, il southern rock diventerà immediatamente riconoscibile anche grazie alla particolare attenzione ed al legame profondissimo che instaurerà con il territorio nel quale nascerà e si svilupperà: il Sud degli Stati Uniti. Le basi operative da cui il movimento si irradierà saranno infatti la Georgia, l’Alabama, le due Carolina e la Florida, il profondo Sud Est degli States, un humus del tutto peculiare che renderà il nascente genere del tutto diverso rispetto al blues del Mississippi, al R&B di New Orleans e dal country di Nashville, le altre famose città e correnti provenienti dalla madre di tutta la musica americana del Novecento: la famosa Dixieland. Non a caso, le regioni nelle quali lo schiavismo e il segregazionismo restavano parte stessa dell’identità ferocemente preservata nella vita quotidiana e che si ritenevano parte inscindibile della sua struttura sociale e che in quegli anni vedevano le prime marce per i riconoscimenti dei diritti degli afroamericani e la pericolosa e violenta reazione delle intolleranti organizzazioni sorte a difesa della “supremazia bianca”. Eppure, nonostante il profluvio di esaltazione costante dei valori e dell’identità sudista, della way of life rurale e dei suoi piaceri, tutte contrapposte alla modernità e alla folle vita di città, le band del southern fedeli alla loro natura di ribelli contestatori e hippies, non hanno mai nascosto la loro non condivisione di questo tipo di mentalità razzista e violenta, come ben testimoniato da una canzone simbolo come The Ballad of Curtis Loew dei Lynyrd Skynyrd. La consapevolezza dell’importanza che il blues e la musica nera in generale avevano nella loro formazione di persone, unita appunto alla nuova mentalità giovanile, porterà quindi una sana ventata di libertà di pensiero in materia. Si potrebbe dire che la sincerità e l’ingenuità della ribellione espressa da queste band fosse di chiara derivazione hippie e la scelta dei valori e delle tradizioni più radicate nella regione più universalmente ancorata alla tradizioni degli Stati Uniti, un modo per opporsi ad uno stile di vita che questi ragazzi non sentivano come proprio. Dove invece quasi tutti batteranno il ferro, con rare ma significative eccezioni, sarà sulla vecchia bandiera confederata, simbolo ingombrante quanto amato e spesso utilizzato anche in modo ben più che retorico. The South Is Gonna Do It Again è uno slogan tutt’altro che secondario per queste band, seppure contestualizzabile comunque non nella ricerca di un passato mitizzato, ma al contrario rivolto verso il futuro, verso un sistema di vita che fosse meno caotico e meno asservito ai mezzi del potere capitalista.

Il battesimo per il genere arriva con la band prototipo dell’intera corrente, la famosa e magnifica Allman Brothers Band, di cui abbiamo trattato in un articolo celebrativo per il quarantennale dell’uscita del leggendario At Fillmore East, album dal vivo tra i più importanti e celebrati dell’intera storia del rock. La band dei due fratelli riuscì infatti in un sol colpo a unire la tradizione blues e country, le devastanti improvvisazioni jazzistiche venate di psichedelia, lo scintillante duo di solisti formato da Duane Allman e Dickey Betts, al nuovo linguaggio del rock, imponendosi come uno dei gruppi più importanti e seminali non solo del southern, ma dell’intero movimento rock. Le leggendarie fughe chitarristiche, la roboante doppia sezione ritmica, l’altissima perizia tecnica dell’intero ensemble, trovavano il loro sbocco nella voce scura e sofferta e nel piano/organo hammond di Gregg Allman, per quella che sarà una formazione entrata nella leggenda e ancora oggi idolatrata da milioni di fans in tutto il mondo. Il primo ruggito, il debutto autointitolato, arriva già nel 1969, seguito subito dall’album che stabilisce una volta per tutte i canoni del genere, Idlewild South del 1970. La consacrazione e l’atto di nascita ufficiale sono però tutti per At Fillmore East nel 1971, disco la cui influenza fu tale da dare il via all’intero movimento e che basterà a consegnare la band all’immortalità. Il gruppo sarà famoso inoltre per lo stile di vita che portò tutti i membri del gruppo a stabilirsi a Macon, in Georgia, sede anche della fondamentale Capricorn Records, la label ufficiale del southern, all’interno di una grande casa chiamata appunto Big House, che sarà il centro del loro sogno di Comune per alcuni anni. Purtroppo, il pegno per una così veloce ascesa all’Olimpo fu subito durissimo: a meno di un mese dal proprio venticinquesimo compleanno, il leader del gruppo, Duane Allman, uno dei più grandi talenti chitarristici del Novecento, morirà in un incidente di moto, seguito un anno più tardi dal bassista Berry Oakley, morto anch’egli per le complicazioni non rilevate seguite ad una collisione con la sua amata due ruote. Da lì in poi la storia del gruppo, pur con il grande successo commerciale e artistico di due album capolavoro come Eat a Peach (1972) e Brothers and Sisters (1973), non sarà più la stessa. Ma quei pochi anni bastarono per scatenare un incendio che ancora oggi stenta ad essere domato e getteranno le basi per tutti i gruppi appartenenti alla corrente da lì in avanti.

La seconda band che per importanza e valore musicale si impose nell’immaginario collettivo americano e mondiale, ottenendo un successo commerciale forse anche superiore ai capostipiti del genere, furono innegabilmente i Lynyrd Skynyrd di Ronnie Van Zant. Anche a loro abbiamo dedicato un articolo celebrativo ed anche per loro non è esagerato parlare di vera e propria leggenda del rock. Il gruppo, che troverà la propria celebre denominazione storpiando il nome del preside della scuola che con la sua rigidità formale aveva costituito un vero e proprio simbolo della società repressiva ed incapace di contenere la rivolta giovanile che stava maturando (Leonard Skinner, vi dice niente, amanti dei Simpson?), si formerà già attorno alla metà degli anni Sessanta, ma solo all’inizio del decennio successivo troverà una formazione stabile e la denominazione definitiva. Rispetto alla Allman Brothers Band, il gruppo di Jacksonville fonda la propria specificità sulla peculiare formazione a tre chitarre e sulla rovente vena lirica del leader Ronnie Van Zant, vero e proprio cantore del Sud, capace con le sue invettive e con la sua strenua e forte difesa dell’identità tipica del southern man, di creare una vera e propria poetica che tutte le altre band riprenderanno e nel cui solco si muoveranno anche in seguito. Anche per gli Skynyrds le partiture strumentali e le lunghe sezioni soliste saranno un marchio di fabbrica, ma il legame con la forma canzone è maggiore e l’influenza delle band rock’n’roll e hard blues più forte e marcata. Il debutto, col botto, arriva con (Pronounced 'lĕh-'nérd 'skin-'nérd) del 1973, nel quale la formula della band è già matura e sviluppata e capace di toccare nel profondo le corde della Nazione, grazie a canzoni entrate di filato nell’immaginario collettivo, prima tra tutte la celeberrima Free Bird, vero e proprio inno generazionale la cui fuga chitarristica conclusiva, simulante un volo irresistibile e vorticoso, diventa uno standard per tutte le band southern seguenti che, con più o meno successo, ne replicheranno lo sviluppo e l’incandescente sezione conclusiva. Per gli Skynyrds, la vera esplosione commerciale arriva con il seguente Second Helping del 1974, nel quale la famosissima Sweet Home Alabama diventa una delle canzoni più famose al mondo, uno degli eterni evergreen del rock mondiale. Da lì in poi, i problemi di droga e alcool diventeranno sempre più forti e la band comincia a sbandare, perdendo prima Ed King e con lui il celebre triplo attacco chitarristico e poi il batterista Bob Burns, mentre sia Gary Rossington che Allen Collins si procuravano ferite in incidenti automobilistici e problemi vari a causa della propria tossicodipendenza. Negli album seguenti, Nuthin’ Fancy e Gimme Back My Bullets, un po’ di smalto viene meno e sarà solo l’arrivo del nuovo chitarrista Steve Gaines a ridare spinta al gruppo che con Street Survivors (1977) sembrava destinato a rilanciarsi definitivamente, proprio mentre in UK esplodeva la marea punk. Ma un tragico incidente aereo, dopo pochi giorni dall’uscita del disco mentre la band era in tour, porrà la parola fine alla prima incarnazione del gruppo, quella più vera e amata. Ronnie Van Zant, Steve Gaines e la sorella Cassie perderanno la vita quel giorno, mentre tutti i membri del gruppo rimarranno più o meno gravemente feriti. Il 20 ottobre del 1977 costituisce quindi uno dei punti di volta della storia del rock ed è anche uno dei momenti che scandiscono la storia del movimento southern.

Ma un movimento non si fonda su due band ed è giusto che anche gli altri eroi di questa epopea abbiano il loro riconoscimento. Veniamo quindi agli altri pionieri che, con la loro musica, contribuirono alla nascita e allo sviluppo della leggenda.

UN GENERE, MOLTI GENERI
Il successo della Allman Brothers Band e quello dei Lynyrd Skynyrd, generò una vera e propria onda di ritorno, un big bang artistico di notevoli dimensioni e l’apparentemente placido e sornione mondo sudista fu letteralmente invaso da decine di band che partendo dalla lezione dei primi, arrivarono ad occupare stabilmente un posto nel cuore degli appassionati. Certo non tutte le band nate nel periodo e successivamente possedevano una identità così forte e marcata da staccarsi del tutto da quanto già prodotto dai due colossi su menzionati, ma sarebbe tragicamente errato sottovalutare il vasto spettro che le band nate da lì in poi riuscirono a toccare. E’ innegabile infatti che partendo da un DNA comune e con la testa ben piantata sulle spalle, i gruppi del southern rock abbiano accolto dentro la commistione di base i più svariati influssi e le più diverse identità, arrivando a coniugare il verbo originale con suggestioni diverse e diversificate. Il tutto nasce infatti dall’enfasi più o meno forte che in partenza viene data a uno degli elementi costitutivi il genere: non dimentichiamoci che parliamo di blues, country, rock, psichedelia e jazz, un bacino immenso ed inesauribile di influenze dal quale attingere in misura minore o maggiore a seconda dello scopo e della propria precisa natura. E’ così ad esempio che la terza famiglia per importanza del southern rock, la Marshall Tucker Band, unisce ad un immaginario prontamente identificato con l’epopea del West classico, una musica tanto orientata al rock quanto all’improvvisazione jazzata, con un tipico corollario di solide melodie e chitarra blues, che non disdegna aperture a strumenti quali il sax e il flauto. Il debutto del 1973 è l’apripista alla band dei fratelli Caldwell (Toy, chitarra e voce e Tommy al basso), grazie al successo del mega-classico Can’t You See, seguito poi da Fire on the Mountain tratta dal capolavoro Searching for a Rainbow del 1975. La loro strada sarà segnata da una costanza incredibile nelle uscite discografiche, che si susseguiranno l’una all’altra, non sempre con una qualità costante a dire il vero, fino alla morte di Tommy nel 1980 a causa di un incidente automobilistico. Da lì in avanti, seppur forte di una prolificità apparentemente senza sosta, la band perderà gran parte della propria identità southern adattandosi ad un country rock inoffensivo e lontano parente dell’infuocato mix di inizio carriera, finché anche la morte di Toy Caldwell, vera anima del gruppo, porrà la parola fine su questa gloriosa e dimenticata grande band, nel 1993.

Ma se per la Marshall Tucker Band il western swing fu un rigoglioso bacino di ispirazione, ancora più forte il legame con il genere lo manterrà la Charlie Daniels Band, gruppo capitanato dall’eccentrico Charlie Daniels vera e propria star del movimento, Godfather del southern rock, tanto sul palco quanto per le innumerevoli collaborazioni; famoso anche per la fortissima vena retorica che lo porterà più volte in televisione e alle cronache nazionali, finché il crescente conservatorismo lo trasformerà da rivoluzionario hippie in una sorta di predicatore nostalgico e pedante, quasi fastidioso nei suoi richiami ad uno stile di vita idealizzato e francamente insopportabile. Un emulo dell’altrettanto intransigente Ted Nugent, insomma. Eppure, col suo indiavolato violino e con il suo scoppiettante country southern rock, la band del buon Daniels ha scritto pagine importanti del genere e gli album degli anni 70 costituiscono un ottimo contraltare proprio agli amici della Marshall Tucker Band, con la quale Daniels condivise più volte il palco e roventi jam sessions. Uneasy Rider, singolo progressista e di protesta è uno dei suoi brani più famosi assieme all’hit internazionale The Devil Went Down to Georgia, mentre i raduni annuali del Volunteer Jam costituiscono una delle più importanti manifestazioni organizzate della southern rock a testimonianza dell’eccentricità e dell’importanza di questo personaggio, tuttora in attività.

Le diramazioni del genere non si fermano qui: come non citare ad esempio l’istrionismo rhythm’n’blues dei Wet Willie, la stupenda voce di Eddie Hinton, l’Otis Redding bianco, autore di un lacerante connubio di soul, blues e southern, il rock surreale dei grandissimi Little Feat di George Lowell, l’elegante southern virato di pop dell’Atlanta Rhythm Section e dei Cowboy, le derive fusion dei Sea Level e persino i Dixie Dregs di Steve Morse e Rod Morgenstein che debuttano proprio per la Capricorn Records nel 1977; ancora, i ragazzi sporchi e cattivi: Grinderswitch e Hydra, eroi misconosciuti, e la nutrita sezione del southern rock tendente all’hard rock. Di queste band in particolare alcune sono riuscite a traghettare il genere persino agli amanti dell’heavy metal, snaturando in parte la loro vena primordiale, ma contribuendo alla diffusione di questa musica anche alla nuova generazione di “fratellini minori” che, a partire dagli anni 80, prenderà il posto dei cresciuti ex-hippies addomesticati dalla vita, dalle droghe e dai soldoni dello Zio Sam. In realtà, anche molte band non esattamente attinenti al genere finiranno nel calderone del rock sudista, anche solo per appartenenza geografica: è questo il caso ad esempio dei Black Oak Arkansas, grandissima band hard rock che accompagnerà più volte i Black Sabbath nei loro tour statunitensi o i celeberrimi e meravigliosi ZZ Top, icone mondiali dell’hard blues e la lista potrebbe allargarsi a dismisura, in particolare se si considerano le derivazioni del southern che a partire dagli anni 90 diventeranno sempre più interessanti, fino ad arrivare allo sludge metal.

SOUTHERN HARD AND METAL ROCK
E’ giusto riservare uno spazio a quei gruppi che potrebbero avere un maggior interesse per i lettori abituali di Metallized. Sono in particolare Molly Hatchet, Outlaws, Blackfoot, i 38 Special e i Doc Holliday a raccogliere il testimone in questa particolare sezione del southern rock. I primi del giro sono sicuramente la band di Danny Joe Brown e Dave Hlubek, anch’essa fondata a Jacksonville e anch’essa ancorata alla line up con tre chitarre: i Molly Hatchet si formano nel 1975, quando la grande ondata del southern è ormai già ampiamente diffusa, i primi soldi cominciano a girare copiosamente, l’Allman Brothers Band primordiale è già un ricordo e i Lynyrd Skynyrd sono i campioni da battere. Famosi per le copertine in stile “barbarico” che da sempre ne caratterizzano l’immagine e contribuiscono a identificare la band e distinguerla da tutte le altre della corrente, i ragazzi della Florida assumono proprio la band di Ronnie Van Zant come ovvio paragone ideale, con la voce di Danny Joe Brown a dettare i tempi e le tre chitarre di Hlubek, Roland e Holland a spadroneggiare ovunque. Il debutto del 1978 prodotto dal mago Tom Werman è già puro hard rock profondamente venato di southern, con gli idoli Skynyrds omaggiati in sede live da una rovente versione di Free Bird e i padri spirituali della Allman Brothers Band tributati anche in studio con la loro splendida Dreams che diventa Dreams I’ll Never See e assume i connotati della hard rock song a tutti gli effetti. Ancora grande musica con il successivo e celeberrimo Flirtin’ With Disaster, nel quale Boogie No More si candida ad ennesima rivisitazione di Free Bird. Poi ancora buoni album con qualche pericoloso calo di tensione in seguito all’abbandono di Brown nel 1980 sostituito da Jimmy Farrar e il buon ritorno del figliol prodigo con No Guts.. No Glory del 1983. Ma a questo punto, i legami con il southern sono davvero minimi e le incursioni di tastiera-AOR in mezzo alle clamorose sezioni soliste rovinano in maniera tremenda il pur valido Double Trouble Live del 1986, finché nel 1990 arriva lo scioglimento. Bobby Ingram e John Galvin ultimi membri “originali” rimasti in formazione, riportano il gruppo alla luce nel 1998 con Silent Reign of Heroes: una nuova incarnazione che continua a produrre ottimi dischi e che vede anche il ritorno di Dave Hlubek ormai però comprimario del leader Ingram.

Se avete ascoltato un disco dei “nuovi” Lynyrd Skynyrd, allora probabilmente vi siete imbattuti nel vocione e nella chitarra di Rickey Medlocke, altro gran personaggio del movimento southern. Attivo già alla fine degli anni 60, bassista e batterista prima che chitarrista e cantante, inciderà dei provini proprio come batterista nei primi Skynyrds per poi lasciare e formare i Blackfoot, in onore delle proprie origini native, condivise col batterista Jackson Spires. La musica della band è un deragliante incrocio tra hard rock, proto-heavy metal e southern rock, con Medlocke vero e proprio trascinatore sul palco e fuori. Una manciata di ottimi dischi, sempre più tendenti all’heavy, tour di supporto a Ted Nugent, Kiss, Mahogany Rush e almeno quattro album da avere, a partire da Strikes del 1979, contenente la famosa Highway Song, ovverosia la Free Bird made in Blackfoot, per poi passare a Tomcattin’ (1980) e Marauder (1981) ormai compiutamente hard and heavy, con Good Morning che diventerà singolo famosissimo anche nelle rockoteche. Highway Song Live (1982) chiude il cerchio delle uscite da tenere d’occhio e il gruppo comincerà a perdere colpi finché sarà lo stesso Medlocke a chiudere i battenti, per farsi poi rivedere proprio nella nuova formazione dei vecchi compagni Lynyrd Skynyrd dei quali diventa membro attivo e carismatico.

Altro pezzo pregiato del southern più “vigoroso”, gli Outlaws di Hughie Thomasson debuttano nel 1975 con una mistura scoppiettante che strizza l’occhio neanche troppo velatamente alle armonie vocali degli Eagles. Una commistione ottimamente riuscita che porta il gruppo a un triplo attacco chitarristico dal buon impatto e dalla ritmica sostenuta, mitigati però dalle tipiche melodie vocali quasi rimembranti lo stile west coast. La formula funziona egregiamente nei primi album e Green Grass and High Tides è forse l’emulo più degno ed entusiasmante della più volte citata Free Bird. Purtroppo, l’uscita dal gruppo di alcuni dei musicisti più dotati e particolari, come il chitarrista Henry Paul, porterà progressivamente ad uno stazionamento compositivo, successivo all’ottimo ed aggressivo album dal vivo Bring It Back Alive, che diverrà aperta crisi negli anni 80, nei quali il gruppo sarà spesso costretto ad alzare sempre di più il volume, perdendo però il filo della propria ispirazione. Thomasson entrerà poi anch’egli nei Lynyrd Skynyrd nei quali resterà fino al 2005 anno in cui tenterà nuovamente di riformare i suoi Outlaws. Lo sfortunato chitarrista morirà nel 2007 per un infarto. Alcune sue canzoni, composte per gli Skynyrds, andranno nel loro ottimo God & Guns del 2009.

Secondo dei tre fratelli Van Zant (l’altro, oltre al compianto Ronnie è l’attuale singer dei Lynyrd Skynyrd, Johnny), Donnie è senz’altro quello che ha saputo maggiormente adattare lo stile originario del southern rock alle diverse esigenze del mercato, suonando più pop quando questo lo consentiva la sua vena compositiva e più hard rock quando il genere mieteva più successo. Che le aspirazioni commerciali dei suoi 38 Special siano ben più smaccatamente evidenti che in altre band del genere è cosa nota, ma è buona norma non fermarsi alla copertina, perché molti dei dischi prodotti in carriera meritano un posto di riguardo. Sono in particolare i primi album a mostrare da subito la vena più vicina al rock FM venato di southern della band, con il debutto 38 Special del 1977 a mostrare la faccia comunque più sincera di un gruppo che ha conosciuto e rispettato la lezione dei fratelli maggiori Lynyrd Skynyrd e l’ha levigata fino a raggiungere una dimensione affine all’AOR da classifica. Le vendite premieranno per tutti gli anni 80 la band, in particolare negli States, nei quali l’hard rock melodico del gruppo miete costantemente vittime. Donnie, che collaborerà più volte anche con i nuovi Lynyrd Skynyrd del fratellino Johnny, manterrà la barra di comando del gruppo fino ai giorni nostri, testimoniando se non altro la propria sincera passione per la vita on the road.

Più particolare la storia dei Doc Holliday, formatisi nel 1971 ma giunti al debutto discografico solo dieci anni dopo, con l’omonimo Doc Holliday, la cui parabola è un po’ riassuntiva dell’intero movimento del genere. La band si forma infatti come emanazione diretta del sound sudista originario, venato di hard rock, ma ancora pregno dell’humus vergine iniziale, per poi evolvere sempre più verso soluzioni tipiche dell’hard’n’heavy, che ne fanno dei degni emuli di Blackfoot e 38 Special. Dal terzo album in poi, il sodalizio con il noto produttore Mack (Queen) ne sancisce l’approdo al rock da arena. Il gruppo che proseguirà l’attiva fino al 1986, ritornerà in azione a partire dal 1993 producendo diversi album per piccole etichette europee ed è tuttora attivo come touring band in particolare in Germania.

CAPRICORN RECORDS: L’ETICHETTA DEL SOUTHERN ROCK
Come spesso avviene quando si tratta di inquadrare un “genere” musicale, un buon punto di partenza può essere quello di prendere in esame le etichette che si sono legate ad esso in maniera più o meno forte e, attraverso di esse, giungere a comprendere meglio lo spettro e il numero di band transitate attraverso l’ondata della musica. L’etichetta per eccellenza del southern rock è senza dubbio la Capricorn Records. Fondata da Jerry Wexler, Phil Walden, Alan Walden e Frank Ferter nel 1969 a Macon (Georgia), l’etichetta è la responsabile diretta tanto del sound originario del southern rock, quanto della distribuzione e commercializzazione della gran parte delle band principali del genere, con la significativa eccezione dei Lynyrd Skynyrd. Fu lo stesso Ronnie Van Zant, infatti, a pretendere che la sua band non incidesse per la stessa etichetta degli Allman Brothers Band, un po’ per creare da subito il dualismo che caratterizza l’intero genere, un po’ per non essere secondi dietro a nessuno. Jerry Wexler era un celebre produttore della Atlantic Records e condivideva con Phil Walden, che all’epoca era invece il titolare assieme al fratello Alan della più grande agenzia di promozione del Sud degli States, una grande passione per la musica originaria di quella regione. La decisione di fondare un’etichetta indipendente nasce quindi dalla volontà di queste persone di promuovere e cercare di sviluppare una musica che riuscisse ad unire il rhythm and blues al nuovo rock che andava diffondendosi. Non si è trattato quindi di un caso, che molte delle band originarie finissero sotto l’egida del Capricorno (segno zodiacale sia di Wexler che di Walden), ma una precisa volontà di questi due pionieri, i quali a loro volta misero in mano alle band il loro patrimonio di conoscenze e know how realizzando quell’esplosione che generò il movimento. Moltissimi i gruppi che a loro devono il debutto discografico o l’intero percorso di carriera: citiamo qui, oltre agli Allman Brothers, la Marshall Tucker Band, i Sea Level, Wet Willie, i Grinderswitch, Elvin Bishop, Cowboy, Hydra, Dixie Dregs, Hank Williams Jr., Stillwater, Black Oak Arkansas e una pletora di artisti country e R&B, oltre ai magnifici precursori Captain Beyond dell’exPurple, Rod Evans. Ma i nomi sarebbero ancora tantissimi, a testimonianza di un primato assoluto nel genere. Purtroppo, nella seconda metà degli anni 70 l’etichetta a causa della propria specializzazione, soffrì moltissimo il calo di vendite del genere e la concorrenza spietata delle major che corsero subito ai ripari quando capirono che c’era del grano da cogliere a Dixieland e spolverarono tutta la seconda ondata dei gruppi southern. La debacle fu inevitabile e il 21 Ottobre 1979 la label chiuse per fallimento. Curiosamente la storia della label non si interrompe invece qui, perché il ritorno delle sonorità southern di inizio anni 90 vedrà la rifondazione della Capricorn Records ad Atlanta, sotto l’egida del colosso Sony; la perdita dell’indipendenza non significò comunque perdita di prestigio e per altri dieci anni, cioè fino al 2000 molte altre band tra cui i Widespread Panic, Vic Chesnutt e, soprattutto, i Gov’t Mule porteranno nuovamente il marchio del Capricorno alla ribalta mondiale. Il secondo fallimento arriverà a chiudere definitivamente (?) la storia di questa gloriosa etichetta che tanto ha dato alla musica ed ha scolpito il suo nome per sempre nell’albo dorato del rock.

IL DECLINO DEL SOUTHERN ROCK
Come velatamente anticipato, la grande stagione d’oro del southern rock ha un inizio e una fine abbastanza precisi: se è vero che i primi vagiti del genere sono rintracciabili nella seconda metà degli anni '60 e che il primo album compiutamente southern è The Allman Brothers Band del 1969, altrettanto vero è che dopo la tragedia del Convair che spazzò via la formazione originale dei Lynyrd Skynyrd nel 1977 e in particolare dopo il 1979, il genere può dirsi se non morto, sicuramente non proprio in forma smagliante. Ancora una volta sono proprio le due band più rappresentative a determinare l’alpha e l’omega per il southern. La prima ondata di band si può considerare genuina e veramente ancorata allo spirito originario almeno fino al 1975, anni nei quali l’ingenuità e la profondità delle pulsioni sono prevalenti su tutto e lo spirito ribelle e hippie del movimento ancora fortissimi, nonostante i numeri delle vendite e i sempre più forti interessi in palio. Purtroppo, da quella data in poi, saranno altri gli eventi a scandire il passare del tempo. Innanzitutto, è giusto ricordare come le tragedie occorse tanto in casa Allman quanto in quella degli Skynyrds siano illuminanti non solo da un punto di vista della enorme perdita in senso musicale stretto, ma anche come segnale della preoccupante situazione legata alla diffusione di alcool e droga nel movimento. Non nascondiamo lo sporco sotto il tappeto fingendo che questo aspetto non conti. Come tutto il mondo della musica del periodo e non solo, la tossicodipendenza di moltissimi musicisti del southern è nota e conclamata e, nel medio periodo, questa maledizione porterà guai e problemi come la grandine. In secondo luogo, come detto, l’arrivo in massa delle major e dei soldi del grande business favorirà in prima battuta la spoliazione delle band, sempre più sradicate dal territorio e dall’originario stile di vita e sempre più composte da ottimi business man con la chitarra, intenti a pascersi dei resti dei due gruppi principali della corrente. Saranno infatti centinaia le band nate dopo la tragedia degli Skynyrds che cercheranno di appropriarsi del loro pubblico ed anche le band della seconda ondata, dal 1975 in poi, non nasconderanno mai le proprie tentazioni commerciali, come sottolineato in precedenza, vendendosi in più di una occasione al mercato dell’hard rock da classifica o inserendo contaminazioni sempre meno sincere all’interno del ceppo originario. In terzo luogo e inevitabilmente, il calo di attenzione del pubblico una volta venuti meno i best sellers, favorirà lo spostamento dal southern ai generi “puri” di molte band: chi sceglierà la via del country, chi quella del pop, chi quella del blues, chi quella dell’hard rock, tutte le band sudiste negli anni '80 ripiegheranno in maniera chiara verso matrici meno compromesse con un’attitudine grezza e sporca e maledettamente sincera che è la cifra originaria di questo genere. Ma se è vero che gli anni '80 sono stati una specie di camera di stasi, l’avvento del grunge e con esso il ritorno della musica anni '70, porterà un nuovo vento anche a Dixieland e per il southern il ritorno sarà prepotente e musicalmente validissimo negli anni '90, nei quali la bandiera della Confederazione tornerà a garrire sotto i grandi cieli dell’Alabama.



Fabio Rasta
Lunedì 15 Gennaio 2018, 18.24.55
20
Ancora una volta METALLIZED si rivela una miniera di preziosi. Se non era x il commento di jaw non avrei mai scovato questi due ottimi articoli sul Southern che ho divorato con estremo interesse, essendo autentico adoratore del genere, soprattutto degli SKYNYRDS e dei MOLLY HATCHET (quelli con DANNY JOE BROWN), che erano senz'altro i + "rurali", ma anche di tutti gli altri citati. L'annosa polemica sul razzismo, qui giustamente affrontata in misura molto marginale, e risolta citando la splendida ed intramontabile ballata di Curtis Loew, mi ricorda molto la altrettanto inutile polemica sul presunto nazi-fascismo di HANNEMANN e soci. Qui, la foto n° 65 (la back cover del debut album dei LYNYRD), svolge la medesima funzione del simbolo dei DEAD KENNEDYS sulla chitarra del compianto JEFF, lasciando le chiacchiere in eccesso ai superficiali e agli incompetenti. Un solo appunto: nei BLACKFOOT va menzionato l'altrettanto nativo americano GREG T. WALKER, musicista non meno carismatico ed importante nelle alchimie del tribale quartetto (nonché membro fondatore). Ma x il resto preciso e scorrevole come sempre. Grande Lizard!
jaw
Domenica 14 Gennaio 2018, 16.12.49
19
Il S.R. e' pieno di dischi e bands minori che valgono capolavori, Missuri e Oklahoma in testa
il vichingo
Mercoledì 20 Febbraio 2013, 16.28.01
18
Ottimo l'articolo. E' arrivato il momento di approfondire il Southern rock!
Bloody Karma
Mercoledì 20 Febbraio 2013, 15.12.04
17
bello bello...appena ho tempo me lo gusto con calma
Fabio II
Martedì 19 Febbraio 2013, 17.01.53
16
Bello l'articolo, essenziale direi. Ovviamente essere esaustivi in un genere che e' ampio, almeno, tanto quanto l'heavy metal, comporterebbe la stesura di un libro di centinaia di pagine. Pionieri a parte, che amo praticamente tutti, lo stile che più mi piace nel genere sono le bands che hanno incrociato gli Allman con il suono soul dell'era staxx/volt, di cui abbiamo capolavori anche nei '90, mi vengono in mente gli Sceaming Cheetah Wheelies del debutto e i Mother Station di 'Brand new bag'. Le similitudini con il movimento metal a parer mio, si notano maggiormente se arriviamo ai giorni nostri, sul fatto soprattutto di inglobare elementi esterni; basti pensare a tutte quelle bands che si muovono tra la tradizione e l'indie rock ( vedi i Drive By Truckers ); se non addirittura i Lamchop che finiscono in territori addirittura Lounge, partendo da basi folk & country del sud. Ps: Grande etichetta la Capricorn; talmente abile da immortalare i Dixie D.
Alessandro Bevivino
Lunedì 18 Febbraio 2013, 17.37.20
15
YEAH.
Uno Yankee
Lunedì 18 Febbraio 2013, 16.56.54
14
Andy 71: ma bravo suddista, continua a rimanere nei tuoi campi di cotone....
Andy '71
Lunedì 18 Febbraio 2013, 16.24.18
13
Il Rock Sudista,per me da sempre nel cuore,una vita per lui.Grandissime band,grandissime emozioni!
BILLOROCK fci
Lunedì 18 Febbraio 2013, 14.26.09
12
Mhh è un genere o stile che non mi fa completamente impazzire, però aprezzo tantissimo gli Skynyrd e outlaws...
Uno Yankee
Lunedì 18 Febbraio 2013, 13.32.34
11
arrrgh sporchi suddisti, vi leccate ancora le ferite eh??
Lizard
Domenica 17 Febbraio 2013, 22.40.29
10
Grazie per i bellissimi commenti, per me è un piacere parlare di questo genere e di queste band e l'approfondimento non è mai sufficiente abbastanza purtroppo da quello che ho visto in italiano si trova davvero poco materiale in merito ed è un peccato. Capisco che forse anche il pubblico del southern sia minoritario, ma qualche bel libro non dispiacerebbe. vitadathrasher: è tutt'altro che strano che quel telefilm fosse girato in quegli anni... Ah... Daisy Duke
Jimi The Ghost
Domenica 17 Febbraio 2013, 21.01.17
9
Parlare di "SOUTHERN ROCK" significherebbe dibattere ance su di un movimento, e non solo musicale, ma di vita nel suo più ampio significato. Per suonare la musica del sud bisogna "non solo affrontare una progressione su di una scala musicale...bisogna sentirla e viverla.." Quindi studiarla solo su di uno spartito musicale può non essere sufficiente. Come a volte un libro, un manoscritto o un compendio su di un genere musicale può non essere propriamente efficace. Probabilmente potrebbe essere utile osservare come le chitarre si sono adattate al musicista, relazionarle quindi alle composizioni del musicista, poi al suo mondo e infine alla musica. Se si ascolta e si osserva Duane Allman, di ispirazione tecnica a Blind Willie McTell, si può notare una posizione rigida e stretta sul corpo della chitarra, con una forma energica nel movimento delle dita sui tasti. Quindi Allman doveva suonare per logica una chitarra robusta, molto rigida sul manico, ma a forma ampia, larga, e che doveva produrre per logica costruttiva un suono robusto ed energico con attacco rapido. Solo una Gibson "Les Paul del '58 sunburst" poteva generare sulla sue mani quella fusione tra vari generi come blues, jazz e rock..lo stesso discorso vale per Gary Rossington insieme a Allen Collins, a Warren Haynes con la sua infezione tecnica su scale jazz, mi viene in mente Rich Robinson con la stupenda Gibson Goldtop aveva dato slancio ad un nuovo sentimento musicale del sud. E ancora J.J. Cale, Patterson Hood, Derek Trucks, Toy Caldwell eccetera, eccetera ognuno con una chitarra, uno stile, una storia da raccontare su una progressione su di una scala musicale. Il significato cambia se suonate un pezzo dei Lynyrd Skynyrd in G major o D Mixolydian o su di una progressione D-C-G. Il rock del sud acquisisce un preciso significato quando esso è incastonato in un luogo ben preciso con le sue storie da raccontare... Oggi, e un po' da sempre, il sud rock vive così, come diceva il buon vecchio Charlie Daniels. A mio avviso, dei completi testi da sfolgiare, magari mentre si ascolta Elvin Bitshop, sono quelli di Randy Poe...ma qui c'è molto da leggere..Saverio hai scritto veramente un ottimo, ottimo articolo. Di passaggio, il buon vecchio Jimi The Ghost.
jek
Domenica 17 Febbraio 2013, 20.38.28
8
Complimenti per l'articolo che mi ha fatto conoscere meglio la storia di questo genere. Le mie uniche conoscenze del southern per me noto come rock sudista erano i Molly Hatchet di cui ho ancora avevo un paio di LP e qualche cosa in cassetta duplicata. Whiskey Man mi ha fatto molto godere.
zerba
Domenica 17 Febbraio 2013, 17.07.57
7
green grass and high tides!!!!!
Giovanni Loria
Domenica 17 Febbraio 2013, 12.51.37
6
un buon articolo, ben scritto e strutturato con chiarezza. mi fa sempre piacere leggere qualcosa su un ambito musicale che amo moltissimo (anche se, come l'autore giustamente sottolinea, si tratta di un 'genere' decisamente variegato e dalle molteplici influenze). per chi non ne fosse molto addentro penso sia importante sottolineare che i nomi di cui si parla sono solamente la punta dell'iceberg,,, gli USA negli anni 70/80 pullulavano di 'local heroes' che rifacevano credibilmente il verso a Lynyrd Skynyrd o agli Allmans... parliamo letteralmente di centinaia di gruppi e dischi, quasi sempre distribuiti localmente, la maggior parte dei quali mai ristampati, e sempre con chitarre infuocate come il 'Rebel Grey' comanda... anche il libro della Giunti è in tal senso piuttosto basico e non privo di imprecisioni, restando comunque uno dei pochissimi documenti per informarsi sulla superficie del suono sudista. ancora complimenti per il lavoro. saluti
brainfucker
Domenica 17 Febbraio 2013, 12.43.55
5
bell'articolo!!consiglio a tutti anche i blackberry smoke..puro southern con doppia cassa(!) ogni tanto..che a noi metallari piace tanto
Lizard
Domenica 17 Febbraio 2013, 12.05.31
4
@Delirious Nomad:grazie per la segnalazione e complimenti per il colpo d'occhio non so davvero da quale recesso della mia mente fosse venuto fuori Madison-Dixie....
Vitadathrasher
Domenica 17 Febbraio 2013, 11.34.43
3
Tutto ciò mi ricorda Hazzard.....
Delirious Nomad
Domenica 17 Febbraio 2013, 9.52.44
2
Grande articolo, é un campo che non conosco molto, stavo pensando di prendere i primi due dei LS. Però la linea si chiama Mason-Dixon!
-Cobray
Domenica 17 Febbraio 2013, 0.45.27
1
Ahhh, non vedo l'ora di leggerlo!
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