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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Lamb Of God - New American Gospel
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( 5504 letture )
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Il 26 settembre del 2000 accadde qualcosa di inaspettato. Quel giorno tanti ragazzetti misero nel loro lettore un album di una band “mah, mai sentiti nominare questi qua” “ah! Forse avevano un altro nome prima, Burn the… ecco! Burn the Priest”. Di solito quando si mette un disco nel lettore ci si aspetta che escano fuori note, che esca fuori il prodotto di una band, metal in questo caso. Quel giorno non accadde nulla di tutto ciò, dalle casse, dalle cuffie non uscirono note o strumenti bensì schiaffi, rabbia e cattiveria. Quell’album era New American Gospel e loro erano i Lamb Of God. Dal punto di vista prettamente anagrafico non si può parlare di esordio in quanto la band è per quattro quinti la stessa che rilasciò sotto il nome di Burn the Priest il proprio debutto discografico omonimo. Era il 1999, i Nostri erano fortemente influenzati dal death metal e dal metalcore finché accadde qualcosa che li convinse a remare in un’altra direzione, quella giusta. La direzione che li avrebbe fatti diventare i Lamb Of God, gruppo di punta della scena NWOAHM. Non si sa bene cosa sia scattato all’interno del combo, fatto sta che il chitarrista Abe Spear decide di abbandonare la band, lasciando il posto a Willie Adler, fratello del batterista. A questo punto il quintetto si appresta ad entrare negli studi di registrazione, con la formazione che rimarrà stabile fino ai giorni nostri; ma parliamo dell’album.
Poco più di quarantuno minuti divisi equamente su dieci brani che massacrano l’ascoltatore con una violenza sonora dirompente. Lungo tutto il corso dell’album non esiste un momento di stanca, mai un ammorbidimento. Si parte alla grande: Black Label è praticamente un classico della band, proposta in quasi tutte le setlist dei concerti. Riffing fulminei fortemente groove e cantato indemoniato di un Randy Blythe che nonostante non sia ancora maturo come accadrà negli album successivi si fa notare eccome alternando growl soffocanti a scream altissimi. Ma il meglio lo dà Chris Adler dietro le pelli con una prestazione sontuosa: dall’inizio fino alla fine del pezzo (e di tutto il disco) pesta come un dannato alternando mazzate violente sul rullante a passaggi dal tasso tecnico elevato fondando il suo drumming su una doppia cassa usata in maniera magistrale. Il mood del brano è praticamente lo stesso di tutto l’album, riff fulminei spesso stoppati, improvvisi cambi di tempo, rallentamenti dal vago sapore sludge. Si ha l’impressione mentre si ascolta l’album di avere di fronte una band con cui non si può scendere a patti, che ha un obbiettivo coerente e nessun altro fronzolo per la testa (ciò è anche dimostrato da come si sia poi evoluta). Questo obbiettivo è solo uno: portare l’ascoltatore all’headbang più sfrenato, la distruzione totale del collo. Se non avete ben capito vi basta ascoltare il cambio di riff che avviene dopo 25 secondi durante la terza traccia In the Absence of Sacred: una pura istigazione all’headbang che, fortunatamente, non è reato. Tra i brani degni di nota troviamo sicuramente Terror and Hubris in the House of Frank Pollard in cui fa capolino la voce dell’ospite Steve Austin che si alterna con Randy Blythe formando un atipico duetto. Il brano parte molto lento e fangoso per velocizzarsi un po’ durante il cantato salvo poi riprendere il proprio incedere pachidermico verso la fine. Altra particolarità si può notare nella traccia conclusiva del platter, O.D.H.G.A.B.F.E. (acronimo che sta per Officer Dick Head Gets a Black Fucking Eye) che si fonda tutta su un riff lievemente aperto alla melodia, quasi bluesy.
Insomma, New American Gospel è un album ineccepibile dal punto di vista compositivo che ci mostra una band agli albori del proprio successo (che si rivelerà totalmente con l’album successivo As the Palaces Burn). Ciò è dimostrato dal fatto che molte sue tracce sono ancora spesso suonate e richieste durante i concerti. Nonostante questo si può notare come il sound sia ancora molto grezzo e da affinare, risultato che verrà ampiamente migliorato negli album successivi tramite un missaggio di qualità superiore. Anche il cantato risulta alquanto rozzo e primordiale, abbastanza lontano dalle prove eccelse che innalzeranno in futuro Randy Blythe ad una delle migliori voci del panorama estremo. Nel mio percorso come ascoltatore di musica metal mi sono sempre mosso a piccoli passi, gradualmente, trovando sempre interesse verso sound diversi dai gruppi che ero solito ascoltare. Solo una volta provai veramente paura nell’ascoltare qualcosa. Forse perché ho sempre avuto paura della violenza. Se così fosse ho trovato la spiegazione: i Lamb Of God sono violenza in musica.
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7
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sound grezzo, produzione scarna e Blythe ancora un po' acerbo ma il risultato è come al solito una mina assurda! tra le mie preferite Terror and Hubris in the House of Frank Pollard, Confessional, O.D.H.G.A.B.F.E. ...vabbé se continuo le dico tutte! come "inizio" direi che non c'è male e i LOG miglioreranno già dal disco successivo per poi diventare una vera e propria garanzia. grandissimi! |
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6
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Grazie mille Michele! Faccio del mio meglio  |
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5
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Bella la recensione e soprattutto il finale, bravo nino  |
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4
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Quando uscì non mi piacque, poi mi riimbattei nella band con Sacrament che mi conquistò, e a quil punto me li presi tutti - incluso anche che NAG, che semplicemente avevo preso sottogamba. |
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3
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Grandissima band che merita il successo ottenuto! Il mio preferito resta Ashes of the Wake ma anche con questo "mezzo debutto" sono riusciti subito a farsi riconoscere! |
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2
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Grandi non Frandi  |
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1
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Bellissimo album! La conclusione della recensione dice tutto! Frandi Lamb Of God! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Black Label 2. A Warning 3. In the Absence of Sacred 4. Letter to the Unborn 5. The Black Dahlia 6. Terror and Hubris in the House of Frank Pollard 7. The Subtle Arts of Murder and Persuasion 8. Pariah 9. Confessional 10. O.D.H.G.A.B.F.E.
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Line Up
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Randy Blythe (Voce) Duane Morton (Chitarra) Willie Adler (Chitarra) John Campbell (Basso) Chris Adler (Batteria)
Musicisti Ospiti: Steve Austin (Voce nella traccia 6)
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