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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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25/04/2016
( 2738 letture )
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Le dichiarazioni di Otep Shamaya in occasione dell'uscita del concept album Hydra avevano fatto abbastanza scalpore. L'artista, infatti, aveva annunciato che quella sarebbe stata la sua ultima release, rendendo abbastanza chiaro che da lì in avanti avrebbe accantonato la musica, per dedicarsi definitivamente ad altri progetti, visto e considerato l'impegno da sempre profuso in scrittura, pittura e cinema. Fortunatamente vi è stato un cambio di rotta, avvenuto nel settembre 2015, ovvero quando gli Otep hanno firmato per l'etichetta Napalm Records, ritornando a concentrarsi sulla musica e quindi sulla realizzazione di un nuovo disco, con la collaborazione del produttore Howard Benson, noto per aver lavorato con gruppi del calibro di Motörhead, Papa Roach e P.O.D.. Inutile dire che Otep Shamaya è la protagonista assoluta del full length ed è un vero piacere sentirla spaziare, senza apparente difficoltà, dal rap al growl, dallo screaming al canto pulito. La sua versatilità, unita a delle ottime doti interpretative e persino recitative, rende il prodotto apprezzabile, seppur povero di idee innovative. All'interno di ogni traccia la cantante mette in risalto un'esuberanza e una personalità straordinarie, riuscendo a trasmettere agli ascoltatori una carica emotiva pazzesca: una dote naturale che solo in pochi possiedono. La scelta più intelligente dell'LP è riscontrabile nel tentativo, peraltro riuscito, di rendere la suddetta artista una vera e propria superstar; un'eroina al centro dell'attenzione, lasciando gli altri musicisti a farle da pregevoli assistenti, operanti in disparte, lontano dai riflettori.
Il sound degli Otep del 2016 è rintracciabile in un nu metal disturbato, influenzato da elementi estremi del panorama underground, ma anche dal movimento hip hop e dalla musica elettronica. Generation Doom ha l'obiettivo di esprimere concetti chiari ed immediati attraverso questo stile musicale. Le tematiche dei testi sono perlopiù da ricercare nella presa di coscienza del ruolo che spetta alle donne nella società, al fine di raggiungere la piena libertà e la parità di diritti, anche attraverso l'istigazione alla ribellione verso il genere maschile, reo di violenza e oppressione nei confronti del gentil sesso; ma anche nel disgusto nei confronti della guerra (Lords of War) e in un forte ateismo (God Is a Gun). L'iniziale Zero è un ottimo biglietto da visita: un brano duro, veloce, cattivo e rabbioso, che ricorda nella furia esecutiva i Dillinger Escape Plan. L'atteggiamento della cantante verso chi la giudica potrebbe essere sintetizzato nella frase che pronuncia più volte durante il brano: I don't give a fuck, fino a sbraitarla in maniera disumana sul finale. Feeding Frenzy prosegue sugli stessi binari iracondi dell'open track, pur essendo meno potente e risultando un po' anonima. La seguente Lords of War è un pezzo con forti influenze hip hop, che ricorda i Limp Bizkit: nel rap si nasconde la disperazione di fronte al sangue versato in nome dei signori della guerra; nel growl si manifesta il dolore verso i più deboli, sopraffatti dai potenti, costretti ai soprusi e divenuti vittime innocenti di un mondo ingiusto. Royals è una delle parentesi più particolari del disco, dato che ripropone il brano pop dei Lorde in chiave nu metal: i riff sono duri e cadenzati, mentre sul ritornello la cantante vomita tutta la sua rabbia sul microfono, distruggendo la versione originale e determinando la riuscita della cover. Si cambia aria con In Cold Blood, canzone indirizzata alle masse, per la quale è stato realizzato anche un video, non a caso rappresenta uno dei brani più melodici del lotto, dove subentrano suoni derivanti dall'elettronica; più in linea con le tracce iniziali Down, la quale presenta il concetto di ribellione nei confronti del sistema, sorretta da un rap metal potente e sfrontato. In God Is a Gun il canto di Otep si fa quasi disperato, la voce è tremante, le atmosfere alternative divengono cupe e piene di terrore. La rassegnazione alla brutalità presente sul pianeta e la convinzione nell'inesistenza di un'entità suprema rendono il brano drammatico. Equal Rights, Equal Lefts è probabilmente il miglior episodio del disco: la base hip hop molto West Coast delle strofe diviene frenetica e pesante sul ritornello, ricordando i Rage Against The Machine sia nello stile, sia nelle tematiche legate alla rivolta. No Color e Lie sono due pezzi melodici con un sound alternative metal particolarmente orecchiabile. Presentano una struttura semplice e poco originale, ciò nonostante piacevole, realizzata tramite la pacatezza della chitarra ad accompagnare la singer e grazie al ritmo mantenuto costantemente lento da basso e batteria, in ogni caso rappresentano soltanto una breve parentesi illusoria prima della devastante Generation Doom. La titletrack è la più estrema dell'LP: velocità costante in principio, sonorità aggressive che sfociano nel death metal; a metà brano si assiste ad un lamento disperato della Shamaya, per poi passare ad un bridge dai ritmi lenti, volutamente doom, sorretto da riff catacombali e da un canto lento e macchinoso che arriva dall'oltretomba. Il finale è disarmante, distruttivo e pieno di odio con la voce robotica e disumana di Otep (o di una sua mutazione?!) che grida I'm fucking hate you fino all'esaurimento delle forze, concludendo con un ghigno satanico, che evidenzia il suo stato di shock. Incredibile come il gruppo riesca a passare dalla titletrack a On the Shore, ossia ad un contesto elettro/rock, che porta ad un rilassamento della cantante, la quale si spegne assieme all'arpeggio finale. Negli ultimi minuti la singer dimostra le sue ottime doti teatrali recitando un monologo straziante, accompagnata da un sottofondo inquietante, rivolto a colui/colei che la rende malinconica e sofferente.
Il ritorno degli Otep è sicuramente positivo, innanzitutto perché significa la ricomparsa sulle scene di Otep Shamaya ed il panorama metal ha bisogno di donne così dotate vocalmente ed intellettualmente. Come direbbero in un famoso talent (o se preferite gli Iron Maiden), la compositrice statunitense possiede il fattore X. Analizzando complessivamente Generation Doom si può dire che ha il pregio di mantenere un buon livello di gradimento durante tutto l'ascolto, senza raggiungere particolari picchi creativi, ma evitando salti nel vuoto o flop significativi. Un disco rivoltoso per natura (e non poteva essere altrimenti vista l'indole ribelle dell'artefice dell'opera), molto diretto, orientato ad un pubblico prettamente femminile e che quindi non riuscirà ad accontentare proprio tutti, ma la Shamaya questo poteva aspettarselo, così è stata previdente, rispondendo in anticipo alle critiche con un laconico e pragmatico I don't give a fuck!
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3
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Dopo tanti anni si rialzano un po', però un disco come Sevas Tra rimane di ben altro spessore. |
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2
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mi ero già espresso nella notizia dell'ascolto in streaming dell'intero disco... un buon ritorno... confermo anch'io il voto della recensione. |
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Era da tempo che non ascoltavo un loro album così volentieri. Bel disco, alcuni brani un po' troppo "pop" per i miei gusti ma pazienza. Sono riusciti a sfornare un bel lavoro senza copiare il loro stesso passato. Sto col voto della recensione. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Zero 2. Feeding Frenzy 3. Lords of War 4. Royals 5. In Cold Blood 6. Down 7. God Is a Gun 8. Equal Rights, Equal Lefts 9. No Color 10. Lie 11. Generation Doom 12. On the Shore
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Line Up
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Otep Shamaya (Voce) Ari Mihalopoulos (Chitarra) Corey Wolford (Basso) Justin Kier (Batteria)
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