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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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22/05/2016
( 4931 letture )
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Il teorico e regista di cinema François Truffaut ritenva che alcuni film, così come certi registi, bisognava amarli, a prescindere dalle proprie convinzioni artistiche e ideologiche. Inoltre riteneva fosse necessario non solo esaltare i soli capolavori di un dato regista, bensì l’intera filmografia, difendendo, dove necessario, le opere minori o incomprese. Allo stesso modo, credo che il pensiero di Truffaut vada esteso anche alla musica: certe band infatti le devi amare, anche forzatamente, anche se si va contro ai propri gusti o idee artistiche. E i Gorguts sono una di quelle band che rientrano in questa categoria.
Ora, per scrivere questa recensione, ho steso e poi cancellato e modificato più volte la bozza di partenza, limandola e cercando di trovare le parole più adatte per trattare una materia magmatica e criptica come quella proposta dal monicker canadese, band capitanata dal chitarrista e cantante Luc Lemay e autrice di diversi capolavori come Obscura o il penultimo Colored Sand. Ho cercato più volte di scegliere le parole giuste, non perché insicuro delle mie opinioni o del giudizio da esprimere, ma perché credo che una gruppo come questo, che tanto ha dato alla scena del metal estremo, meriti un lavoro di riguardo, cercando però di mantenere quanto più possibile alta l’asticella dell’obiettività.
Fatta questa breve premessa, addentriamoci nell’oscuro mondo infernale dei Gorguts e della loro ultima fatica in studio: PleIades’ Dust, EP costituito dalla singola, monumentale titletrack che da sola raggiunge quasi i trentacinque minuti di durata. Certo, l’estenuante lunghezza del singolo pezzo può inizialmente scoraggiare l’ascolto approfondito, ma è anche vero che i Gorguts non sono i primi e non saranno nemmeno gli ultimi ad aver tentato un esperimento simile, pubblicando un solo pezzo costituente un album intero: pensate ad esempio a band come gli Sleep e all’album Jerusalem o anche i Meshuggah di I, giusto per citare alcuni tra i casi più celebri. Quindi, detto ciò, addentriamoci in questa mezzora di dissonanze, sperimentazioni e apparente irrazionalità sonora.
Pleiades’Dust è forse il lavoro più complesso della band canadese, è l’opera in cui tutte le caratteristiche che hanno segnato lo stile del gruppo vengono portate alle estreme conseguenze, creando un sound caotico, paludoso, a volte persino fastidioso data la sofferenza e il trasporto con cui questa musica è suonata. L’ascolto, sebbene disorientante sulle prime, poi cresce di compattezza e paradossalmente, se ci si immedesima nella musica e si compie una sorta di salto nella fede, presto si giunge a comprendere l’essenza ultima dell’EP in questione, sbrogliando l’annichilente matassa che costituisce la trama del pezzo. Essenzialmente, per comodità potremmo dividere il Pleiades’ Dust in tre macro sezioni, dai confini ben delineati dai cambi di atmosfera. La prima sezione, lunga fino ai primi nove minuti del pezzo è forte delle classiche sonorità di casa Gorguts: troverete quindi le chitarre dissonanti all’inverosimile, tant’è che è quasi impossibile percepire una linea melodica costante; troverete le urla lancinanti di Lemay e la solita sezione ritmica completamente slegata dal contesto, posta volutamente a rendere la musica più alienante. I tempi di esecuzione non sono quasi mai eccessivamente veloci, anzi, in realtà in questa prima parte il mid tempo martella l’ascoltatore opprimendolo in una tempesta di suoni lancinanti, ma chirurgici nella loro fluida esecuzione. Dopo questa lunga fase introduttiva, il brano viene spezzato nel suo incedere da una sezione arpeggiata e maggiormente atmosferica, posta volutamente a smorzare gli annichilenti toni della parte precedente. Tuttavia, questo passaggio è momentaneo: in meno di un minuto si viene assaliti da una violenta sfuriata death. Questa sarà infatti l’andamento della sezione centrale di Pleiades’ Dust: un alternarsi di arpeggi e suoni inquietanti insieme alle caratteristiche bordate dissonanti 100% made in Gorguts. Intorno al diciottesimo minuto poi, vi è forse l’unico momento di pace del disco, dove sono udibili una serie di lunghe note, più simili a rintocchi lugubri, suonate con un piglio mortifero: qui gli echi e giochi tra pieni e vuoti sono perfettamente arrangiati e fungono da momento di transito all’ultima sezione del brano, annunciata da un riff quasi doom ed ultra ribassato, spaventoso per l’espressività funerea trasmessa. Gli ultimi nove minuti di questo EP scorrono via senza farsi sentire, sebbene si mantengano sempre sulle stesse coordinate sonore finora descritte. In un certo senso è la sezione più impegnativa ed esasperante, proprio perchè giunge sul finale, ma è impossibile non cedere alle note suonate da Lemay e compagni. Il brano, negli ultimi due minuti si conclude in modo caotico e poi si arresta emettendo un ultimo destabilizzante e appena accennato arpeggio; infine giunge una dissolvenza, proprio come una manciata di sabbia spazzata via dal vento, lasciando l’ascoltatore alle ultime riflessioni.
Pleiades’ Dust arriva come un fulmine a ciel sereno nel panorama metal e, come poche altre band dell’ambito estremo, colpisce con estrema violenza, annichilendo e destabilizzando qualsiasi cosa capiti a tiro. Ciò nonostante, sebbene ci voglia un grande sforzo intellettuale e una buona dose di tempo e pazienza, questo EP riuscirà ad entrarvi nel DNA, grazie alla capacità innata di Luc Lemay di scrivere musica innaturale, malsana, che penetra fin dentro le ossa esaurendo tutte le energie e, allo stesso tempo, dialogando con voce suadente insieme al lato più inconscio ed oscuro di tutti noi. Cercando di classificarlo (cosa di per sé impossibile, quando si parla di Gorguts), direi che Pleiades’ Dust è il lavoro più esagerato ed ambizioso della band canadese, un disco in cui il sound tipico della band raggiunge la sua massima esasperazione e dilatazione, ma che cerca di inserire nuovi elementi posti a rendere l’ascolto ancora più accattivante, senza però abbondare con la carne messa sul fuoco. Di quella ce n’è in abbondanza e si sente. Per il momento a detta di chi scrive, questo è il disco dell’anno.
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18
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band che ho scoperto da poco e gia li adoro! mi piace la tecnica di Luc Lemay. voto 90! |
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17
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Lavoro stratosferico, un riassunto del Gorguts-pensiero a metà tra Obscura e Colored Sands, se possibile ancora più complesso e sfaccettato di quest'ultimo tra dissonanze e momenti quasi ambient. Un cenno merita anche la ricercatezza tematica del concept, che si riferisce all'Epoca d'oro islamica. Alzo il precedente voto a 90, band immensa. |
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16
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Ieri sera ho visto dal tubo un live dei Gorguts, dove ripropongono per intero Pleiades.... A parte l'incredibilità della proposta, mi ha colpito molto vedere il pubblico non pogare e stare tipo sotto ipnosi..... Una cosa simile l'ho vissuta personalmente al concerto dei Coroner: poco pogo e tanto incanto e venerazione. Comunque! Sempre sul tubo ci sono un sacco di interviste a Lemay che spiega la sua musica, e fa capire cosa è successo nei 5 anni che separano The Erosion e Obscura Lui dice di fare musica da camera, solo che anzichè usare gli archi, compone per strumenti elettrici (capito ora la strumentale del precedente album?). Per capire la sua arte bisogna mettere da parte lo schema strofa-ritornello-solo etc etc e comprendere la forma-sonata, la struttura dei quartetti, le fughe e tutto ciò che ci ha trasmesso la musica del '700! Non sta rompendo nessuno schema: sta ''semplicemente'' applicando tecniche di composizione della musica classica a strumenti elettrici. ''Music is Music!'' Così parlò Luc Lemay! |
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15
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Appena riascoltato, non posso che confermare il voto del recensore. Preferisco di un soffio Colored Sands, ma è questione di gusti; come scritto nel commento precedente al mio: “questi non sono di questo mondo”. Impressionanti. Ma... su una nota web-enciclopedia danno la band in “stand-by”. Che succede? Non facciamo scherzi Luc... |
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14
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Questi non sono di questo mondo.... |
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un ulteriore conferma che questa è una delle più grandi realtà death metal mai esistite, sempre geniali, sempre avanti ad esplorare territori sconosciuti del genere |
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12
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Un'opera che afferma e conferma le possibilità evolutive del death metal, potenzialmente sconfinate sopratutto se trattate da mani e menti dotate di intelligenza creativa ed emotiva. Confermo il voto del recensore |
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11
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Secondo me è superiore a colored sand che resta un altro album fenomenale. Qui siamo a livelli incredibili. |
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10
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Non è proprio un disco estivo, ma se è bello la metà di colored sands dovrò prenderlo per forza.. |
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9
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I maestri assoluti del death metal hanno confezionato un ep stellare. Imbattibili. |
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8
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*monumentale, non monolitico. sorry  |
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7
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la recensione poteva fermarsi a "monolitico". Il resto è superfluo. |
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6
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Insieme agli Ulcerate (che hanno chiaramente influenzato) uno dei gruppi death migliori in circolazione. Un sound ipnotico e disturbante e Luc Lemay grande artista e mente compositiva di rara brillantezza. Voto 86 |
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5
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A differenza di Obscura, le cui dissonanze sono estremamente dure da digerire, questo EP mi ha preso fin dal primissimo ascolto. Tutte le "negatività" descritte dal recensore (dissonanze, caos, lunghezza) non mi sono pervenute come tali. Secondo il mio parere da non espertissimo, questo è un capolavoro davvero cazzuto. |
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4
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D'accordo col recensore, disco dell'anno per il momento...vedremo cosa sapranno fare gli Ulcerate. Secondo me sarà compreso appieno negli anni, comunque la scelta di un unico brano diviso nelle varie atmosfere la trovo indovinata. Produzione perfetta, non troppo pesante con un bilanciamento perfetto dei suoni, grande varietà anche a livello dinamico e in questo genere non è cosa da tutti i giorni. Ovviamente non c'è quasi più niente che li possa classificare come Death metal, qui c'è musica totale. |
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3
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Un grandissimo EP che cresce ascolto dopo ascolto. Infallibili. |
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2
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Bravi, originali, interessanti, ma per me mancano qualcosa dal lato melodico e nell'immediatezza e orecchiabilità. Capisco la ricercatezza e la sofisticatezza, ma per i miei gusti sono troppo pesanti da digerire. Addirittura qui mi sembra che la voglia di rompere gli schemi, finisca col prendere troppo il sopravvento, e il caos sonoro e le dissonanze, apparenti o no, non mi garbano granchè. |
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1
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Discone con un Colin Marston stellare. Poi, dal vivo, è una vera e propria bomba. Irraggiungibili. |
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INFORMAZIONI |
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Line Up
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Luc Lemay (Voce, Chitarra) Kevin Hufnagel (Chitarra) Colin Marston (Basso) John Longstreth (Batteria)
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