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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Five Finger Death Punch - The Way of the Fist
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11/04/2020
( 1430 letture )
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Era il 2007 e la scena metal vedeva già da qualche anno l’imperversare senza sosta della seconda ondata metalcore, quello portato al successo di vendite dai Killswitch Engage, dai Trivium, dagli All That Remains e in ultima istanza da Avenged Sevenfold e Bullet For My Valentine. Sembrano già lontani quei tempi, eppure sono passati solo tredici anni. Ebbene, nel bel mezzo di questa tempesta metalcore, che già si avviava verso un inevitabile declino, traviata così com’era da sempre maggiori influssi commerciali, fanno la loro comparsa i Five Finger Death Punch, direttamente da Las Vegas, la patria dell’eccesso. Presentati fin da subito come un supergruppo – definizione invero un po’ troppo generosa, dal momento che solo il chitarrista Darrell Roberts gode di un passato di tutto rispetto tra le fila dei W.A.S.P. – i cinque ragazzoni americani fanno il loro ingresso sulle scene con il singolo The Bleeding, mid-tempo dal retrogusto alternative anni ’90 tipicamente statunitense, memore degli insegnamenti groove metal dei maestri Pantera, così come delle formule compositive del metalcore, con tanto di breakdown spaccaossa. Il brano si inserisce perfettamente nel panorama contemporaneo che la band stava vivendo, ma il preludio al primo album di inediti era solo uno dei tanti volti che i 5FDP avevano deciso di mostrare al mondo. I nostri fanno da subito le cose in grande, facendo produrre il loro debut album The Way Of The Fist a pesi massimi del calibro di Stevo “Shotgun” Bruno (già produttore di Mötley Crüe e Prong) e Logan Mader, ex chitarrista di Machine Head e Soulfly. Il risultato è un disco compatto ed omogeneo di puro groove metal, che cede talvolta alle tentazioni del metalcore, ma senza rientrarci mai pienamente. L’influenza dei Machine Head è ben presente, così come quella dei già citati Pantera, ma il fondatore Zoltan Bathory guarda anche verso realtà contemporanee e di gran successo come gli Slipknot (influenza questa che si accrescerà negli anni). I 5FDP riescono così ad essere una band di metal moderno, ma decisamente più violenta di gran parte delle realtà metalcore coeve. A riprova di ciò, prima della pubblicazione dell’album, la band va in tour per ben un anno con Korn, Disturbed e Slipknot, per l’appunto. Gli agganci con i nomi che contano non mancano ai ragazzi di Las Vegas.
Il successo di The Way Of The Fist arrivò quasi subito, tanto che la band ripubblicò il disco l’anno successivo all’uscita aggiungendo ben tre brani in più e nel 2010 decise di crearne una nuova edizione con addirittura due dischi in più, contenenti brani live, cover e videoclip. Noi oggi faremo riferimento alla prima edizione dell’album, sebbene quella che arrivò in Europa e quindi anche in Italia fu la ristampa del 2008, con le tre tracce bonus, pubblicata da Spinefarm Records. Il disco parte subito in quarta con Ashes, che se non fosse per il growl di Ivan Moody e il ritornello fortemente melodico, potrebbe essere un brano thrash metal con tutti i crismi; sentiamo subito come la produzione, oggi ancora di più, sia decisamente grezza e questo stona leggermente con il fatto che i 5FDP vogliano suonare metal moderno: gli album seguenti aggiusteranno decisamente il tiro in questo senso, andando forse a perdere genuinità, ma raggiungendo una qualità sonora invidiabile. La titletrack invece si muove su binari decisamente più ibridi e contemporanei, con un groove nu metal irresistibile, unito al rap di Moody che sul ritornello esplode. Peccato solo per quegli intermezzi melodici che c’entrano davvero poco col resto del brano. C’è spazio anche per la chitarra solista di Zoltan Bathory, fondatore della band, che a dire il vero non si prende mai troppi momenti solisti preferendo invece prediligere l’economia dei brani. È indubbio infatti che il gruppo tenda a comporre pezzi con un’attitudine diretta e “in your face”, funzionale alla dimensione live; basta dare uno sguardo alla durata dei brani in scaletta per capirlo. Questa tendenza compositiva ha sicuramente un lato positivo, ovvero quello di far sì che i brani vengano memorizzati quasi istantaneamente e durante i concerti siano sfruttabili in modo sicuro, ma c’è anche l’altra faccia della medaglia, ovvero la longevità di un album composto di brani tutti uguali, dal punto di vista della struttura, che è destinata ad avere vita breve. I 5FDP infatti nelle loro scalette hanno sempre più snobbato il disco di debutto, mantenendo costante la presenza della sola The Bleeding come chiusura di ogni live, dal momento che è stato il brano che ha dato il via al loro successo. Che questo sia prevedibile, dal momento che la discografia dei nostri è ormai corposa, è un conto, ma ciò non toglie che i dischi successivi abbiano guadagnato anche dal punto di vista della longevità per certi versi.
Il resto dell’album quindi segue le coordinate che abbiamo già descritto sopra, mantenendo alto il ritmo sulla carta, ma scadendo poi ben presto nella noia in molti episodi, poiché colpevoli di seguire un copione ormai ben conosciuto. Si salvano dalla monotonia alcuni episodi come White Knuckles, con le sue influenze ancora una volta nu metal e un bell’assolo finale di Bathory che varia un po’ le carte in tavola, ma anche la ritmatissima Death Before Dishonor, che è il brano più classicamente metal in scaletta. Qui nelle parti melodiche in pulito Moody non brilla affatto e questo accade in generale in molti altri momenti dell’album, ma ci pensa il resto della band a sostenere il resto del brano con un bel tiro, diretto e sfacciato. Chiude quindi Meet The Monster, che potrebbe forse essere il brano migliore dell’intero disco se non suonasse così terribilmente povera e vuota a causa della produzione adottata. Un pezzo come questo, con i mezzi attuali dei 5FDP potrebbe essere davvero una bomba. Ironia della sorta, una delle tracce bonus dell’edizione del 2008 dell’album è Never Enough, che lascia già intravedere cosa sarebbero diventati di lì a poco i Five Finger Death Punch, con un sound quadrato e più pieno e un Moody meno sguaiato e più preciso. Ironia dicevo, perché questo brano è l’unico altro brano che i nostri suonano live ancora oggi, ma compare solo sulla seconda edizione di The Way Of The Fist; fosse stato compreso anche nella scaletta originaria ne avrebbe probabilmente condizionato le sorti in modo migliore.
Ad ogni modo questo album di debutto portò i cinque di Las Vegas sulla cresta dell’onda in modo quasi istantaneo, prova del fatto che il disco ebbe successo unanime tra i critici e gli appassionati. Oggi noi lo possiamo analizzare alla luce dei fatti e ridimensionarlo, specialmente se lo confrontiamo con i lavori che la band sfornerà nel corso degli anni fino ad oggi, ma The Way Of The Fist fu il pass-partout per il successo per i 5FDP ed è giusto sottolinearlo e ricordarlo per questo. Probabilmente come disco è invecchiato maluccio, ma è anche grazie a questi brani se i Five Finger Death Punch sono diventati una potenza mondiale riconosciuta da tutto il mondo del rock e del metal più mainstream.
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7
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Il gruppo sinceramente è lontanissimo dai miei ascolti abituali ma abbastanza stranamente mi piacciono abbastanza, dal vivo specialmente |
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6
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Condivisibilissimo anche il commento di @Underground, anche se personalmente credo che la produzione dei 5FDP con gli anni sia migliorata a dismisura e con essa la caratura del gruppo; questo mi pare innegabile. Poi sui dischi sono d'accordo, nessuno spicca particolarmente, per me, ma sicuramente questa band dal vivo sa il fatto suo. |
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5
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Gruppo che non ha mai cambiato di una virgola il proprio sound (come tanti altri gruppi) e che di sicuro non hanno fatto e mai faranno un capolavoro ma sempre dischi da ascoltare con all'interno quelle due o tre canzoni leggermente al di sopra delle altre. Dal vivo poi sono sempre simpatici e divertenti. Voto? Un sette, come quasi tutti i loro dischi. |
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4
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Direi che come definizione possa essere condivisibile ahah  |
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3
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Li definirei i Sabaton dell'altetnative Nu metal..  |
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2
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Probabilmente tu hai una copertina diversa perché la versione europea ne ha un'altra rispetto a quella nella rece, così come ne ha un'altra la ristampa e un'altra ancora la versione deluxe a tre dischi, un casino! Io infatti ho voluto proprio mantenere le cose easy e parlare della primissima versione. Ad ogni modo anche io sto recuperando ora, per dover di recensione, i dischi dei 5FDP e sebbene - soprattutto nell'ultimissimo album - obiettivamente i loro brani, le loro produzioni e il loro stile sia inattaccabile e col tempo è diventato sempre più iconico e personale, non riescono a lasciarmi nulla. Probabilmente ad un loro live ci si fomenta non poco, ma su disco non tanto, a meno che tu non sia in macchina con un branco di amici esaltati ahah! E sì, questo primo disco forse è il loro album più "genuino", ma la produzione lo ha fatto invecchiare malissimo a mio parere. |
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1
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Non lo riconoscevo perché il mio ha una copertina diversa, però ce l'ho. Non è durata molto la mia avventura coi FFDP, anzi direi proprio che è iniziata e terminata con questo disco. Il loro stile non mi piace, nulla da fare. Troppo tamarri troppo scontati in tutto, e stilisticamente fuori da ciò che mi emozioni . Comunque il dischetto si fa ascoltare. Ma mi sono fermato qua,nonostabte abbia anche ascoltato qualcosa dai successivi album. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Ashes 2. The Way of the Fist 3. Salvation 4. The Bleeding 5. A Place to Die 6. The Devil's Own 7. White Knuckles 8. Can't Heal You 9. Death Before Dishonor 10. Meet the Monster
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Line Up
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Ivan Moody (Voce) Zoltan Bathory (Chitarra) Darrell Roberts (Chitarra) Matt Snell (Basso) Jeremy Spencer (Batteria)
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RECENSIONI |
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