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King`s X - Out of the Silent Planet
05/02/2022
( 1651 letture )
La storia dei King’s X inizia molto prima di quanto normalmente si creda. Dobbiamo infatti risalire al 1979, quando Doug Pinnick e Jerry Gaskill, due session men del Missouri che cercavano di sbarcare il lunario, si ritrovano a suonare assieme in un tour, durante il quale conoscono una sera Ty Tabor, alle prese con una sua band, che avrebbe fatto da apertura. I due, provenienti da Springfield, continueranno a collaborare assieme, divenendo amici e, ritrovato Tabor più avanti, decideranno di formare assieme un gruppo. E’ il 1980 e nascono i The Edge, inizialmente come quartetto, specializzato in cover e attivo nel circuito nazionale dei locali. Nel 1983, rimasti un trio, i The Edge cambiano nome in Sneak Preview e decidono di iniziare a comporre materiale originale, pubblicando un vinile autoprodotto quello stesso anno. A caccia di un contratto, i tre si trasferiranno nel 1985 a Houston, nel Texas, iniziando a collaborare con la Star Dog Records: diverranno la backing band dell’artista Morgan Cryar, collaborando con lui alla registrazione e alla scrittura del suo secondo album, Fuel on the Fire del 1986. Purtroppo, l’accordo con la casa discografica alla fine sfuma e i tre si ritrovano di nuovo a piedi. E’ in queste circostanze che entrano in contatto con Sam Taylor, all’epoca vicepresidente della compagnia di produzione degli ZZ Top, che crede nel trio e ne diventa produttore e quarto membro aggiunto, aiutandoli a trovare una propria identità musicale e, grazie ai suoi contatti, anche un contratto con la mai troppo celebrata e ringraziata Megaforce Records dei coniugi Zazula. Arriverà anche un nuovo moniker, il definitivo King’s X, sempre su suggerimento di Taylor, che voleva sfruttare un certo alone di mistero collegandolo alle tematiche religiose che il gruppo affrontava nei propri brani. Messisi subito al lavoro, i tre riusciranno quindi a pubblicare il proprio album di debutto, Out of the Silent Planet, nel 1988, dopo quasi dieci anni di underground puro.

Il titolo del disco è naturalmente ispirato allo scritto di C. S. Lewis, mentre la copertina, anch’essa di ispirazione sci-fi mostra lo skyline di Houston e la sagoma dello Stato del Texas sormontate da un allineamento planetario, che richiama appunto il desiderio espresso di uscire finalmente dall’anonimato. Non ricordato spesso rispetto ai più famosi (e superiori) album successivi, il debutto è invece un gran disco, che contiene già tutti gli elementi che caratterizzano l’identità dei King’s X. Da un lato quindi l’anima soul, blues e funk di Doug Pinnick, dall’altra la potente distorsione di Ty Tabor e la sua particolare vena che sa di alternative e prog metal, con l’agile quanto tecnica batteria di Gaskill a sorreggere il tutto, al quale si aggiunge poi l’altro trademark della band: le armonie vocali gestite da tutti e tre i musicisti, con l’alternanza tra Pinnick e Tabor come solisti. Più grezzo e meno elaborato dei dischi successivi, l’album proprio per questo risulta però più diretto e compatto, illuminando l’originalità della musica del trio e la sua totale alterità rispetto praticamente a qualunque altra band, senza forzare troppo la mano all’ascoltatore. In questo risiede la sua vera forza: essere già piuttosto maturo, mettendo in luce le potenzialità esplosive del gruppo, ma non già così definito da non evidenziare i margini di crescita che da lì a poco porteranno i King’s X a essere una delle più importanti band del decennio successivo.
Quello che colpisce sin dall’opener In the New Age è la ben presente componente sci-fi che si esplica nel freddissimo intro rumorista e in altri passaggi del disco, ricordando al limite i Rush, con il riffone stoppato di Tabor che irrompe e le armonie aperte delle voci fin da subito protagoniste, così come la ritmica funk di Pinnick, che inizia già a scaldare la propria ugola dominando la scena, mentre annuncia profeticamente “I see the blind lead the blind” e dandoci quindi un benvenuto tutt’altro che scevro di insidie e ombre nella nuova era. Un inizio davvero promettente che finisce però per perdere di impatto, dato che la successiva Goldilox caratterizzata da un dolce arpeggio e da un andamento decisamente più rilassato, pur essendo di per sé un gran bel brano, che ancora una volta ricorda i Rush, rallenta forse troppo un album appena iniziato e che quindi aspetta le successive tracce per riprendere brio. Di per sé stiamo comunque parlando di una delle migliori composizioni del disco, con un ottimo assolo squillante di Tabor e delle perfette armonie vocali. The Power of Love parte nuovamente con una atmosfera fredda e cibernetica, ancora guidata da un arpeggio, per poi alzare la dinamica con l’ingresso della distorsione e del ficcante refrain. Evidente come Pinnick sia un cantante di un livello semplicemente superiore, uno di quelli capaci di fare la differenza sempre e quando messo nella condizione di esaltare un brano come nel caso di Wonder, che parte nuovamente suadente e misteriosa, per poi aprirsi a un grandioso refrain armonizzato, che lancia la strofa in una costruzione veramente particolare e originale, il risultato è spettacolare, come gli acuti che da qui in poi diverranno uno dei suoi tratti distintivi. Molto valida anche la prova di Gaskill, batterista sensibile e al servizio del brano, ma dotato comunque di una bella mano pesante, quando serve. Spettacolare anche la successiva Sometimes, con un’armonia che ritroveremo anche in successivi album, retta da Tabor e Gaskill, mentre Pinnick conduce da solista e pone il basso bene in evidenza, poggiando la strofa tra arpeggi e distorsioni. Più ritmata e innervata dalle liriche a sfondo religioso tipiche del gruppo, King è la traccia più corta dell’album, ma mette comunque in luce l’originale break centrale dalle sonorità esotiche. Di altro spessore comunque la seguente What Is This?, con la sua ritmica funk e l’accorato refrain intonato da Pinnick, che apre al trittico finale, inaugurato dalla progish Far, Far Away, dalla particolare ritmica e ancora una volta dall’evocativo refrain a più voci, con le atmosfere mediorientali che fanno nuovamente capolino e un Pinnick irrefrenabile. Senza dubbio uno dei vertici dell’album. Segue il secondo singolo, Shot of Love, che gira al solito attorno al bel riffing di Tabor, all’ottimo lavoro della ritmica e al contrasto dialettico tra le armonie intonate da Pinnick e Gaskill e la controvoce di Tabor, che vanno poi a ricomporsi. Potrebbe essere una canzone di Jimi Hendrix suonata dai Rush. Chiude Visions, andamento anthemico, refrain corale e improvviso quanto benvenuto primo break in folle velocità di tutto il disco, con un Tabor scatenato in fase solistica, per un brano evidentemente destinato a fare devastazione in sede live.

Giunto dopo quasi dieci anni di tentativi, Out of the Silent Planet è un disco già di per se estremamente valido. Manca sicuramente il brano-capolavoro, ma tutte e dieci le canzoni hanno uno spessore notevole e riescono a mettere in mostra tanto l’elevata tecnica del trio, quanto le diverse anime che ne compongono l’unicità. Il fatto che successivamente sia alcuni musicisti dell’area prog metal che altri dell’area alternative abbiano rivendicato l’importanza dei King’s X per lo sviluppo delle rispettive scene, testimonia quanto sia peculiare l’identità del gruppo che, nonostante il proprio incommensurabile e palese valore, ha finito per pagare la propria originalità, non riuscendo mai a imporsi al di fuori di una ristretta cerchia di appassionati, portando in solo due occasioni, al cospetto di oltre trent’anni di carriera discografica, un proprio album nella Top 100 di Billboard. Un risultato amaro, che più volte ha minato la stessa esistenza della band, comunque rimasta sempre fedele alla propria natura e alla formazione iniziale, a conferma dell’alchimia unica che anima i tre musicisti. Non il loro migliore, ma solido album di ottima fattura, il debutto è proprio uno di quei dischi che merita andare a rispolverare, per apprezzarne a distanza di tempo l’immutato valore e ricordarsi quanto grandi siano stati e siano i King’s X, a dispetto di chi non ha mai voluto accorgersi di loro.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
89.12 su 8 voti [ VOTA]
KOTBSHM
Mercoledì 13 Novembre 2024, 14.43.28
7
Vi esorterei a recensire l\'LP omonimo del 1992, che per il sottoscritto rappresenta l\'album della maturita\' definitiva e l\'apice nell\'evoluzione stilistica del trio americano, in altre parole extraordinério. Grazie e complimenti allo staff.
Barfly
Venerdì 19 Aprile 2024, 19.50.01
6
@Rob fleming Perfettamente d\'accordo con te . Un gruppo originalissimo, un trio molto tecnico,un clamoroso incrocio tra Black Sabbath e Beatles con voce soul. E che dire delle canzoni ? Solo le prime tre valgono mezza carriera . E il potenziale commerciale di King ? Meritavano di più sicuramente ma nel mondo hard and heavy sono sempre stati molto considerati
duke
Domenica 6 Febbraio 2022, 20.55.39
5
...spettacolari....sempre ottimi....
Rob Fleming
Domenica 6 Febbraio 2022, 9.54.37
4
Un gruppo che veramente ha creato qualcosa di nuovo ed originale nel modo di comporre musica: voce soul; chitarra pesantissima; cori stratificati. Facendo mente locale, una proposta che prima di allora non era mai stata nemmeno sfiorata. Perché non abbiano avuto successo non lo si saprà mai: forse erano talmente avanti che ancora oggi non siamo stati in grado di raggiungerli
Lizard
Sabato 5 Febbraio 2022, 19.06.04
3
Dicendo "ricordato" si intende oggi, non all'inizio degli anni 90... spero sia chiaro, nel testo
DP
Sabato 5 Febbraio 2022, 18.43.28
2
Questo è un disco da 95....brano capolavoro GOLDILOX nella top ten delle più belle Ballad di sempre.......e non è vero che questo disco non è ricordato a quelli successivi ad inizio/metà anni 90 qualsiasi rivista si leggesse lo riportava come un vero capolavoro insieme anche al successivo Gretchen
Shock
Sabato 5 Febbraio 2022, 17.31.21
1
Goldilox e Power of Love, sono due brani di caratura superiore, direi dei classici, altroché. Ed anche il resto del disco è di altissimo livello, che si trasformerà in qualcosa di magico nei dischi successivi. Certo che vedere quattro dischi soli recensiti per un gruppo di tale valore è alquanto triste.
INFORMAZIONI
1988
Megaforce Records/Atlantic
Hard Rock
Tracklist
1. In the New Age
2. Goldilox
3. Power of Love
4. Wonder
5. Sometimes
6. King
7. What Is This?
8. Far, Far Away
9. Shot of Love
10. Visions
Line Up
Doug Pinnick (Voce, Basso)
Ty Tabor (Chitarra, Voce)
Jerry Gaskill (Batteria, Voce)
 
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