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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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King`s X - Faith Hope Love
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24/12/2022
( 1173 letture )
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Anno fatidico l’ormai lontano 1990 e non solo per l’ovvio cambio di decade, ma per quel famoso “vento di cambiamenti” cantato dagli Scorpions proprio in quell’anno, che cambiò per sempre la geopolitica mondiale e che aprirà la convulsa fase del “post Guerra Fredda”, che ancora oggi stiamo vivendo e le cui conseguenze ricadono tra noi. Un anno che anche musicalmente funge idealmente da spartiacque, dividendo due decadi ormai iconiche, ciascuna a suo modo e per le sue caratteristiche. Perfettamente in mezzo a questo momento fondamentale si collocano i King’s X, band che forse ancora oggi in maniera non pienamente riconosciuta, ha saputo rappresentare al meglio quegli anni “di mezzo”, nei quali la transizione si era avviata, ma non era ancora arrivata a compimento. Certamente non ascrivibili al genere crossover, i tre texani hanno però sofferto la loro unicità, che li ha resi grandi, relegandoli però allo scomodo ruolo di cult band. Da sempre ondeggianti tra hard rock, prog metal, alternative, con evidenti influenze blues, soul e funky e il marchio di fabbrica dei cori “beatlesiani” e dell’alternanza delle voci, tra il “solista” Doug Pinnick e il suo naturale contraltare Ty Tabor, i King’s X hanno realizzato una serie di grandi album a inizio carriera, con una sequenza di enorme qualità, per poi avviare una ulteriore transizione, cercando sempre un bersaglio grande che non hanno però mai raggiunto. Tornando al 1990, il trio era nel pieno del periodo più fulgido della propria carriera, con due dischi strepitosi alle spalle, di cui il secondo un vero e proprio capolavoro e una crescente attenzione, che seppure lontana dall’apparire consolidata o effettivamente raggiunta, giustificava ottimismo e voglia di ulteriore conferme. E’ quindi con pieno trasporto che la band realizza il proprio terzo album, quello fatidico, dall’esplicito titolo Faith Hope Love e si appresta a lanciare la propria sfida al mondo con sicura volontà di stupire ancora e, al contempo, ottenere il successo che sentiva di meritare.
In effetti, c’è poco da dire sul disco in sé: il gruppo realizza un lavoro splendido, cangiante, con tredici brani uno diverso dall’altro, strapieni di idee, ispiratissimi e capaci di osare ancora qualcosa di nuovo e particolare, partendo dalle sue caratteristiche fondamentali: riff duri e armonie vocali. E’ in particolare Doug Pinnick a firmare la maggior parte dei brani, ben otto, mentre saranno quattro per Tabor e uno per il batterista Jerry Gaskill, alla sua prima prova anche da cantante solista. L’album tenta di semplificare appena l’impatto delle composizioni, ma in verità sembra più una intenzione che una effettiva volontà, perché se è vero che nella prima parte si concentrano i brani più diretti e immediati, proprio dalla settima traccia, opera di Gaskill, il disco prende un abbrivio decisamente più vicino al prog, con soluzioni particolarissime e decisamente avanti per l’epoca. Non a caso, saranno letteralmente venerati tanto dagli emergenti nuovi eroi dell’alternative, quanto dagli altrettanto emergenti campioni del prog metal. Ridurre a parole l’esplosione di colori e creatività del disco è opera improba e forse anche ingiusta, con i primi sei brani del disco che fanno a gara a dimostrare quanto i King’s X potessero variare nella loro formula, rimanendo sempre immediatamente riconoscibili, con lo stile chitarristico di Tabor che è un vero e proprio marchio di fabbrica, almeno quanto le armonie vocali e con Pinnick che prende il timone nella opener We Are Finding Who We Are, perfetto esempio di hard rock tinto di funk/soul, che si lega allo strepitoso riff del singolo It’s Love, forse la canzone più famosa della band. Un giro iconico, che rimanda come una fionda a quegli anni, sui quali si snoda una melodia irresistibile, tra armonie e un refrain indimenticabile. Se l’approdo a un lido apparentemente “commerciale” poteva sembrare quasi spudorato, ecco che la seconda parte libera il lungo e splendido assolo di un sempre enorme Tabor. E se dei tre Jerry Gaskill resta sempre quello più in ombra, fatevi il favore di ascoltarlo con attenzione lungo i solchi di Faith Hope Love e ci troverete tanti di quei pattern poi stra-abusati da altri presunti maestri di lì a poco. I Never Get Tired of You è la classica ballad a firma Pinnick e centra ancora il bersaglio, ma è il successivo trittico che scalda definitivamente il cuore aggiungendo ulteriori sfaccettature, tra la perfetta sintesi di Fine Art of Friendship, un brano spettacolare, le bellissime melodie di Mr. Wilson, a conferma della qualità superiore della penna di Tabor e la scatenata Moanjam, un canovaccio appena abbozzato col tiro di un treno in corsa che serve a dimostrare come i tre sapessero anche correre a briglia sciolta alla bisogna. Ed eccoci al punto di volta, Six Broken Soldiers, con Jerry Gaskill che tira fuori un brano in perfetto clima prog rock, con una melodia particolare e difficile, che fa quasi fatica a intonare, ma è capace di aprirsi meravigliosamente sul refrain, per poi lasciarsi andare a un finale aperto e teso, come l’enigmatico testo. Come detto, la sequenza che si apre da qui gioca su un terreno appena più complesso e ricercato -se possibile- di quanto fatto nella prima parte, con canzoni più incentrate su ritmi ritornanti e quasi ossessivi, pieni di obbligati, nei quali Gaskill tira fuori il proprio meglio non a caso. I Can’t Help è l’ennesimo colpo a segno delle melodie appiccicose di Ty Tabor, ma la sorpresa vera è la successiva Talk to You, di fatto un brano prog metal a tutto tondo, con il solo refrain ancora aperto alle armonie vocali tipiche della band, mentre la ritmica diventa protagonista indurendo e non poco il sound del gruppo. Una evoluzione particolarissima del brano, che riesce a non nascondere perfino le influenze blues tipiche di Pinnick, in mezzo a tutto il resto. Pezzo da maestri. E se Everywhere I Go non lascia particolari tracce di sé, pur senza demeritare nel complesso dell’album, We Were Born to Be Loved è un perfetto esempio di funk rock a tinte metal, con una serie di passaggi che la renderanno uno dei brani più citati in assoluto dall’orchestra di Paul Schaffer, house band del David Letterman Show, che la proporrà continuamente. Ci avviciniamo alla fine del disco ed ecco che arriva il “Monstrum” della titletrack: oltre nove minuti di brano che costituiscono un viaggio nel viaggio. Inutile descriverla, bisogna ascoltare. Sunto della carriera del gruppo e del disco, Faith Hope Love è un vero e proprio manifesto, a livello lirico in primis, con una continua esortazione a non arrendersi ai tempi bui, che si trasforma quasi in una preghiera, col refrain recitato tra le rasoiate di chitarra e gli arpeggi, tra crescendo e diminuendo e la bellissima strofa accompagnata dai cori. Un capolavoro di tensione e luce, a prescindere dalle idee spirituali di ognuno. Da segnalare, qua come in Mr. Wilson, la presenza ai cori di tutti e cinque i Galactic Cowboys, altra band di valore assoluto e altrettanto ingiustamente dimenticata, che proprio in quegli anni stava tentando di portare le melodie beatlesiane nell’ambito del thrash/prog. Non è affatto un caso che tra i due gruppi corresse buon sangue (oltre al fatto che facessero entrambi base a Houston ed avessero lo stesso manager) ed è un vero peccato che entrambi siano così poco celebrati, ancora oggi. Chiude Legal Kill, ballata acustica dall’inconfondibile penna di Ty Tabor che risulta difficile credere Jerry Cantrell non abbia mai ascoltato e che stempera appena il carico di pathos del brano precedente e ci congeda con un tocco di dolcezza –e l’ennesimo testo da decifrare- da un disco indimenticabile.
Il passaggio di decade non sarà l’inizio di una era di pace, come molti avevano sperato, una volta superato il conflitto tra le due superpotenze mondiali. Sarà per questo che il messaggio dei King’s X, per quanto ancorato alle forti credenze religiose dei tre, risulta ancora oggi quanto mai attuale e necessario. Al tempo stesso, dopo ormai quasi trentatré anni dalla sua uscita, il terzo album del gruppo resta fresco e ispirato come allora, non risentendo affatto del passare degli anni, pur essendo radicato in quell’epoca di passaggio nell’anima e nello sviluppo musicale. Ma la verità è che i King’s X sono sempre stati un gruppo unico e fuori dal tempo, tanto da essere poco capiti allora e ancor meno oggi. Il singolo It’s Love otterrà un più che discreto riscontro e trascinerà il disco per la prima volta entro la Top 100 di Billboard, risultato che i King’s X raggiungeranno solo un’altra volta in carriera, con Dogman, quattro anni più tardi. Sarà quindi un approdo tutt’altro che definitivo, tanto che dopo gli anni con la Megaforce, l’approdo alla major Atlantic ben poco rilievo avrà per il gruppo. Ma non corriamo troppo. Qua siamo ancora nel 1990, in un momento nel quale i King’s X sognavano ancora il grande successo ma, soprattutto, furono capaci di rispondere a un capolavoro con un disco altrettanto valido, a distanza di un solo anno, confermando di essere una delle più grandi band di sempre, per chi ha orecchie per intendere. Da avere e amare per sempre.
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5
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Quoto in toto quanto scritto da Rob Fleming: anche per me l\'album più ispirato dei King\'s X (e quello che me li fece conoscere nel 1991). Li ho visti dal vivo due volte: posso affermare che, anche live, sono una spanna sopra tante, tante band. |
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4
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Forse il loro disco più bello, sicuramente con un titolo tra i più belli e ricchi di significato della storia della musica. In questo album io ci ho trovato di tutto, tra il metal al pop (quello che di lì a poco deflagrerà soprattutto in Inghilterra), dal folk al prog. Come sempre: troppo avanti per essere capiti dai contemporanei. Il loro mancato successo è uno dei grandi misteri della musica rock. La recensione è talmente ben fatta che non mi sento di citare alcun brano condividendo ogni parola scritta nella descrizione dell\'album (a questo punto, caro @Lizard, attendiamo il resto della discografia ivi compresa la nuova recensione di Ogre Tones che grida vendetta). 85 |
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3
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....il capolavoro della band..... |
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2
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Tremendamente efficaci e tremendamente sfortunati rispetto a ciò che meritavano, un dono averli ancora, produttivi, tra noi. |
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1
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Gran bel disco davvero. E bei tempi... Purtroppo ho solo questo della band. Prima o poi recupererò anche i primi due. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. We Are Founding Who We Are 2. It’s Love 3. I’ll Never Get Tired of You 4. Fine Art of Friendship 5. Mr. Wilson 6. Moanjam 7. Six Broken Soldiers 8. I Can’t Help It 9. Talk to You 10. Everywhere I Go 11. We Where Born to Be Loved 12. Faith Hope Love 13. Legal Kill
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Line Up
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Doug Pinnick (Voce, Basso, Cori) Ty Tabor (Voce, Chitarra elettrica e acustica, Sitar) Jerry Gaskill (Batteria, Percussioni, Voce principale su traccia 6, Cori)
Musicisti Ospiti Galactic Cowboys (Cori su tracce 5,12) Max Dyer (Violoncello su tracce 7,12,13) Erik Ralske (Corno francese su traccia 7) Little Willie Sammy Taylor (Organo da chiesa su traccia 7) Kemper Crabb (Flauto Soprano su traccia 13)
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RECENSIONI |
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