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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Grave Digger - Symbol of Eternity
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02/10/2022
( 3020 letture )
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Ventesimo album in studio per la storica band tedesca capitanata dal frontman e mastermind Chris Boltendhal, la cui personalità, coerenza e ruvidezza vocale ha contraddistinto un pezzo di storia di power metal nei quarant’anni di carriera dei Grave Digger. Una carriera iniziata dagli esordi su Noise Records che diede alla luce alcuni album spontanei e marchiati da una sfrontata e a tratti ingenua gioventù come Heavy Metal Breakdown (dotato di alcuni inni tutt’ora ben presenti nelle scalette live della band) per poi proseguire con alcuni scivoloni e risorgere verso la metà degli anni Novanta su Gun Records con alcune pietre miliari del power metal teutonico come i grandi The Reaper, Heart of Darkness e la trilogia medievale Tunes of War (1996), Knight of the Cross (1998) e Excalibur (1999). La resilienza dei Grave Digger ha portato la band in buona forma fino ad oggi, capace di sfornare lavori in studio con regolarità e metodo (anche se con una qualità progressivamente calante rispetto ai suddetti picchi), alternati ad una intensa attività live che li ha spesso portati anche in Italia con shows certamente energici e trascinanti.
Questo Symbol of Eternity esce a due anni di distanza dal precedente Fields of Blood, che riportò i Grave Digger a toccare tematiche storiche riprendendo nello specifico ambientazioni scozzesi care a Tunes of War e risultando anche musicalmente solido e convincente, in formazione invariata ed affiatata da ormai qualche anno con i fedeli Axel Ritt alla chitarra e la potente sezione ritmica composta dall’istituzione Jens Becker al basso (già con i Running Wild dei tempi d’oro) e Marcus Kniep alla batteria. Neanche a farlo apposta, questo giro Boltendhal decide di ripescare a piene mani tematiche storiche e religiose vicine alle vicende dei cavalieri templari, care al suddetto Knight of the Cross di quasi venticinque anni fa, pur non possedendone la compattezza e le freschezza di songwriting. Fa sorridere scorrere i titoli e notare un tale parallelismo con quell’album, senza peraltro dimenticare come le tematiche religiose furono più volte toccate nella carriera della band e si pensi ad un altro concept come The Last Supper del 2005. Venendo al contenuto specifico dell’album, le tredici tracce comprensive di alcuni brevi break strumentali percorrono cinquanta minuti di incontaminato Grave Digger sound, a cavallo tra roccioso e veloce power metal ed elementi NWOBHM da sempre cari alla band. L’inizio è particolarmente promettente grazie a una doppietta di brani lanciati a palla come Battle Cry e soprattutto Hell is My Purgatory, introdotta dall’ottimo basso di Jens Becker e con riff potenti sui quali le corde vocali al vetriolo di Chris Boltendhal ben si allacciano in modo sempre grintoso e graffiante, prima di esplodere in un refrain che farà da innesto a movimenti di headbanging. Buono anche il livello della titletrack, molto epica e granitica e con un buon lavoro di chitarra di Ritt che aggiunge elementi acustici ai soliti riff taglienti su cui la voce di Chris si adagia alla perfezione. Il disco si dipana con grande ed ammirevole coerenza, su livelli più che discreti non presentando però altri momenti di eccellente qualità tanto che brani come King of the Kings, Nights of Jerusalem e Heart of a Warrior finiscono per avere un gusto di già sentito e poco aggiungono momenti più cadenzati come Grace of God, Sky of Swords e The Last Crusade, nonostante la produzione e l’esecuzione siano al posto giusto. Divertente anche se a tratti banale e certamente non indimenticabile la cover Hellas Hellas di Vasilis Papakonstantinou, dall’andamento tra hard rock classico e heavy e qui interpretata un po’ goffamente in lingua greca.
Un lavoro più che discreto in definitiva, che aggiunge una manciata di buoni brani all’estesa discografia dei nostri, anche se un filo inferiore al predecessore. Il rischio è che tanta prolificità porti a un ulteriore appiattimento e forzature nel pescare dal passato tanto a livello lirico che musicale, non dimentichiamo anche il progetto parallelo Hellryder con cui Boldenthal e Ritt si sono presentati lo scorso anno; davvero tanta carne al fuoco, con il pericolo che non tutto finisca per essere cotto al punto giusto. I fans integerrimi e più fedeli ringrazieranno, per chi scrive una nuova ammirevole prova di coerenza e solidità dei Grave Digger, ma attenzione a non inflazionarsi ulteriormente.
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Questo è un discone al pari del precedente...chi dice il contrario vada ad ascoltare i Maneskin che è roba piu idonea ai suoi gusti
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Per come la vedo, anche le Zucche hanno iniziato a ripetersi, ma i dischi sono di valore, ispirati, così come un'altra band che amo, ossia i Magnum, pure loro ormai ripetitivi, ma sempre ispirati. Quindi che si beccano voti sempre superiori al 7 ci sta. I Gravde Digger, oltre fare album ogni 2 anni, fanno copia incolla senza ispirazione. Stessa cosa i Saxon, gli Hammerfall o gli Overkill, che vanno avanti col pilota automatico, stessi riff stesse melodie, e francamente hanno scassato alla grande, e lo dico da ammiratore storico. Fare un disco ogni 2 anni non ha senso, specialmente quando non hai più nulla da dire. |
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@dariomet: ma così ci sta. Ho parlato di lento declino ma non è corretto, forse alcuni più recenti li ho trovati meno ispirati ma in effetti fields of blood non è affatto male.
@Shock: io amante delle Zucche sin dagli esordi ho esultato all’idea di sentire di nuovo Liske con loro, ma in effetti anche a me l’omonimo continua a non convincere, ascolto sempre le stesse tre canzoni e la mia preferita dalla reunion resta… Pumkins United 🤣 |
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@Painkiller: peccato che resti una mosca bianca nel mezzo dei fan, il 95% minimo vuole sempre ascoltare i vecchi classici. Sugli Helloween invece posso dire di essere uno dei pochi che ha considerato il loro ultimo disco mediocre e nient'altro. |
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Io sinceramente non critico i grave Digger per il fatto di fare album simili ogni due anni, tant'è che ho molto apprezzato il precedente fields of Blood. Questo l ho trovato invece poco ispirato a parte bei pezzi come hell Is my purgatory o Battle cry |
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Dissento sul discorso live. Ne ho le palle piene di sentire sempre gli stessi pezzi dei gruppi storici dal vivo. Sarei felice di ascoltare pezzi che non fanno spesso, e vale per qualsiasi band. Sui Grave Digger è vero che forse c’è un po’ di accanimento, ma giro la questione al contrario, citando gli Helloween come esempio. Gli ultimi dischi dell’era Deris hanno preso voti dal 70 in su, come questo disco, ed io, pur amando le zucche, fatico ad ascoltarne uno per intero, tanto sanno di già sentito e sono poco fantasiosi. C’è più di un album recente dei digger che, secondo me vale almeno uno di quelli delle zucche e spesso è superiore, Ma guai a
toccare le zucche, mentre i Diggers vengono criticati un po’ di più, forse troppo. |
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Discussione molto interessante, questa. In effetti se questo è il loro ventesimo album e sono in campo dal 1984, si vede che fanno un nuovo album meno di ogni due anni. E qui, avere l'ispirazione per un songwriting sempre all'altezza, non è proprio facile. Ci sono però le due facce della medaglia: da una parte è meglio, come già citato nei post precedenti, aspettare il momento giusto e il tempo che serve e fare cose solo all'altezza, dall'altra ci sono dei contratti con le case discografiche e bisogna "vendere". Significativo anche quello che cita Monsieur Shock da Dee Snider che i fan, ai concerti vogliono soprattutto i classici (si vedano i vari live di Iron Maiden, ecc.) . Au revoir. |
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Cioè la critica a questa band sarebbe che fanno album ogni 2 anni e fanno sempre lo stesso genere? Questo sarebbe volendo da premiare! Altri come i Metallica fanno album ogni 8 anni e fanno pure schifo. Io continuo a dire che questa band è troppo bersagliata senza averne motivo. Se ti piace il genere e i Grave Digger loro non deludono. |
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A me verso la fine degli anni 90 piacevano pure.. non capisco tutta questa esigenza di fare dischi ogni due anni.. prendetevi il tempo necessario e fate un album pieno di canzoni valide invece che sprecare plastica per un paio di canzoni.. questo vale per il 90% delle band odierne. |
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@DaveHC: non si tratta di cambiare genere, ma quando riproponi costantemente sempre le stesse soluzioni, gli stessi riff, addirittura fai copia incolla dei tuoi brani del passato, significa solamente che sei senza idee, ed alla fine dai dischi che solo i tuoi fanboy comprano, forse, ti limiti al tuo giardinetto. Sei non sei più in grado di comporre brani memorabili semplicemente puoi evitare di fare nuovi album. Qualche anno fa Dee Snider, a proposito di una domanda sul fatto che i Twisted Sister non facevano un nuovo album, rispose come non sarebbero stati in grado di fare un disco all'altezza del passato e che tanto i fan vogliono sentire solo i classici. Ecco, se tutti, o quasi, i gruppi storici ragionassero così sarebbe meglio. |
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Beh fanno le stesse cose da decenni perché sanno a quale pubblico si riferiscono . A volte gli riesce meglio altre no e secondo me uno dei problemi è anche la scadenza dei loro lavori (un difetto non solo loro)perché forse pubblicare meno album e selezionare i brani migliori aiuterebbe ad avere una discografia con maggiore qualità. |
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DaveHC, per me le band che fanno la stessa roba per decenni non sono coerenti, sono scarse di idee. Preferisco quelle capaci di sorprendere. Perciò, si, avrei gradito un po' di sperimentazione in più. |
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Una domanda, che prescinde da questo disco in se, se avessero cambiato nel tempo stile e ora facessero un genere diverso di musica, come sarebbero giudicati? Meglio o peggio di fare invece dischi quanto meno molto simili l'uno all'altro? |
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Troppo severi tutti con questa band, per me continuano a portare avanti il loro sound in maniera dignitosa come molti altri. Ah, il precedente era molto buono, ma pochi se ne sono accorti. |
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Il problema è che ci sono in giro molti album interessanti (ultimamente sono parecchio preso da Dreadnought e Ancient Wisdom) e non c'è tempo per ascoltare album dove già si sa che contenuto hanno. Certo, fanno questo di mestiere e hanno degli accordi con le case discografiche che vogliono da loro questi prodotti (non certo il virare verso l'atmospheric black metal o il jazz...). Donc... Au revoir. |
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Fields of Blood mi piace, penso sia un buon album, così come lo era anche il più ruvido Return of the Reaper. Questo non mi ha detto proprio niente |
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9
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Adoro l’omonimo de 2001, un album più pesante dei suoi predecessori, con testi davvero buoni (è un concept basato sui racconti di Edgar Allan Poe) ed alcuni pezzi che non toglierei mai da un loro best of, come Raven, The House e Ling Pest (lo stacco centrale é davvero spettacolare). The last supper buono ma gli preferisco forse the clans will rise again, che considero davvero l’ultimo disco degno. In mezzo i buoni liberty or death e ballad of a hangman. Molto bello anche il live “the clans are still marching” girato a Wacken, con la band in kilt accompagnata da suonatori di cornamusa e Hansi Kürsch ospite sul palco per Rebellion. Da lì in poi un lento e inesorabile declino di idee. |
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8
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Disco discreto - la recensione centra i pro e i contro. Ben impacchettato, suonato e prodotto.
Coerenza da applausi. Songwriting ripetitivo. Il voto ci sta. |
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7
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Concorso con Radamanthis, l'ultimo grande album della band è stato The Last Supper, a dire la verità molto criticato anche quello appena uscito. Invece era ottimo e diverso dai precedenti. Ora i GD sono i sopportabili, lo dico da amante storico, fanno un disco all'anno, tutti uguali, ma che senso ha? |
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6
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Ma dai, basta! Ogni due anni un nuovo disco che non fa che ripetere le stesse canzoni e gli stessi concept da due decenni senza nessuna qualità. Ma andate in pensione, ma veramente!!!! |
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5
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Mah, sinceramente non capisco il senso di aver riproposto il concept già sviscerato perfettamente con Knights of the cross. Così come non capii a suo tempo Fields of blood dopo aver fatto in passato Tunes of war. Mi era piaciuto tantissimo il periodo dei concept iniziati con Tunes e terminati con The last supper, ultimo vero grandissimo album della band. 1996 – Tunes of War, 1998 – Knights of the Cross, 1999 – Excalibur, 2003 – Rheingold, 2005 – The Last Supper (con la parentesi 2001 – The Grave Digger) da ricordare e tramandare...questi ormai sono dischi copia incolla con le idee che sono altrove e l'altrove è proprio nella loro discografia, il che è ancora peggio! Voto 65 piu che altro per la loro storia... |
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4
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mi piange il cuore ma non mmi è piaciuto...concordo assolutamente con l'ultima patre della recensione |
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3
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Carino, copia incolla come da copione. Ma ormai è una band che non ha più niente da dire, immobile stilisticamente. Troppi album. Voto 67 |
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2
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Col disco precedente si erano già un po’ ripresi dopo un paio di album (per me) veramente trascurabili. Questa nuova uscita si mantiene più o meno sullo stesso livello di Fields of Blood, ovviamente lontana dai loro album più famosi, ma comunque piacevole per chi ama il gruppo e il genere. Niente di nuovo sotto il sole, ma un livello mediamente discreto, qualche passo a vuoto (Grace of God), ma anche qualche bel pezzo (tipo The Last Crusade). Voto recensione più che condivisibile. |
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1
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Discreto dischetto. Portano a casa un 68 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Siege of Akkon 2. Battle Cry 3. Hell Is My Purgatory 4. King of the Kings 5. Symbol of Eternity 6. Saladin 7. Nights of Jerusalem 8. Heart of A Warrior 9. Grace of God 10. Sky of Swords 11. Holy Warfare 12. The Last Crusade 13. Hellas Hellas
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Line Up
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Chris Boltendahl (Voce) Axel Ritt (Chitarra) Jens Becker (Basso) Marcus Kniep (Batteria)
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