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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Borknagar - The Olden Domain
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( 11081 letture )
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Parlando di gruppi che hanno fatto scuola non possiamo evitare di chiamare in giudizio i Borknagar, band poliedrica che nel corso degli anni ha toccato ambiziosamente diverse correnti musicali, arrivando in alcuni casi alla stesura di veri e propri masterpiece del genere.
Originaria di Bergen, città situata sulla costa sud-occidentale della Norvegia, considerata la “Porta ai Fiordi”, la band è uscita allo scoperto nel corso del 1995. Il nome in teoria deriverebbe da un antico mito scozzese ma, secondo altre fonti più autorevoli, la denominazione Borknagar non sarebbe che l’anagramma di Ragnarok più l’aggiunta della B iniziale, termine con il quale si configura l’apocalisse nordico, lo scontro finale tra le forze dell’ordine e le forze del caos.
Nel 1996 la band si impone sulla scena con il crudele Borknagar, debutto dal titolo omonimo che, seguendo le orme dei padri fondatori Ulver ed Enslaved, tira dritto su coordinate radicali tipiche della tradizione black norvegese. Un album spiazzante per atmosfera e dedizione, una gemma rimpianta del viking vecchio stile.
Ma è con il secondo album, datato 1997, che la band smussa il terreno su cui si era fortificata e rivolta in parte le zolle per gettare i semi di un’evoluzione stilistica. The Olden Domain è infatti una sperimentazione, il viking la cavia. Da questo album in poi i Borknagar non saranno più gli stessi cambiando pelle di album in album.
Il disco in questione affianca alle sonorità bieche del primo disco articolazioni molto vicine al progressive, creando così un sound più versatile e melodico rispetto al debutto. In più Garm, storico singer di Ulver e Arcuturs, in alcuni frangenti alterna magistralmente il cantato in screaming black a quello pulito, generando momenti d’elevatissima portata espressiva.
Un viaggio mistico all’interno di un mondo freddo ed inospitale e tremendamente pagano. Per quanto riguarda le liriche accertiamo che si incentrano prevalentemente sulla mitologia scandinava che, negli album successivi, verrà via via abbandonata a scapito di temi più variegati ed universali.
The Olden Domain si afferma così come un album rigido, tragicamente nordico. Sembra quasi di essere trascinati dalle suggestioni ed essere proiettati in luoghi inospitali al cospetto di profonde tenebre. Questo è il caso di The Winterway, un'ode glaciale dall’atmosfera incantata. Un brano unico dalle sfaccettature oniriche che vi farà assaggiare, anche per un solo momento, sensazioni legate al cuore del più desolato nord, tra boschi coperti di neve e terre intirizzite, ammaliati dall’inarrivabile magia della melodia ricreata dalle tastiere e dagli organi Hammond.
La successiva Om Hundrede Aar Er Alting Glemt, dedicata dal tastierista della band al padre passato a miglior vita, è un brano completamente strumentale. Le tastiere sempre in primo piano ricreano una melodia affascinate e malinconica che sopperisce alla mancanza del cantato. E’ uno di quei casi in cui gli strumenti sembrano parlare. Con A Tale of Pagan Tongue si torna su lidi più tangibili andando a scoprire un brano aggressivo e pagano fino al midollo. Le melodie sempre ottime e penetranti sono supportate da un riffing a momenti quasi minaccioso. Altro tassello importante è costituito dalla quinta traccia To Mount and Rove dall’incedere massiccio e diretto. L'estratto è suggellato da un velo nostalgico che nel culmine del pathos sprigiona armonie incantate ed intensamente polari.
Ma le percezioni che percorrono questo platter sono diverse e appetitose: in alcuni ambiti spietate mentre in altri trasognate. L’impatto ruvido e graffiante di Grimland Domain ne è un esempio. La conclusiva The Dawn of the End invece usufruisce di una grande mobilità passando da una partenza prepotente ad un finale dal DNA epico e struggente che, interpretando le liriche, lascia trasparire una fine del mondo caotica e turbolenta scandita dalle forze supreme della natura.
The Olden Domain è un disco dai connotati micidiali e seducenti. Un incrocio pericoloso in cui la precedenza spetta ai Borknagar.
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7
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Album come questo sono gemme, la più bella perla nel più prezioso scrigno. Capolavoro assoluto |
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6
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hearth, wind, water, fire invincible |
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5
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Uno dei massimi capolavori del black metal (e derivati). Per tutti gli amanti del genere è un delitto non possederlo. |
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4
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Cazzo che gran disco!! Un monolote del viking! La plastica degli Amon amarth si squaglia di fronte a questo capolavoro! |
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3
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Un pezzo di Storia...anche se sono più legato al debut... |
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2
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Come ho già scritto da qualche parte, questo è l'unico disco dei Borknagar che davvero mi fa impazzire. Io voto 90 ma forse merita anche di più.. col resto della discografia invece non sono mai riuscito ad approcciarmi nel modo giusto... |
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1
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Personalmente avrei dato qualcosina di più, in quanto usciti con un debuto notevole e hanno saputo proporre un album molto più maturo che è questo da te recensito. Ottima rece. 92 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Eye of Oden 2. The Winterway 3. Om hundrede aar er alting glemt 4. A Tale of Pagan Tongue 5. To Mount and Rove 6. Grimland Domain 7. Ascension of Our Fathers 8. The Dawn of the End
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Line Up
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Garm: voce Øystein G. Brun: chitarra Kai K. Lie: basso Grim: batteria Ivar Bjørnson: synth
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