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Bob Dylan - Rough and Rowdy Ways
06/11/2021
( 1394 letture )
Trentanove. 39. Non sappiamo se faccia più effetto a lettere o a numeri, ma certamente tremano i polsi a leggere una cifra del genere riferita agli album pubblicati (ed ovviamente si intendono “solo” quelli in studio). Trentanove album in studio sono un'enormità, una cifra quasi impossibile per chiunque, tranne che per un grandissimo. Ebbene, oggi parliamo proprio di un grandissimo, un artista straordinario che ha attraversato sei decenni di storia della musica e che, senza la maledetta pandemia che da quasi due anni flagella il mondo, avrebbe continuato ad infrangere record su record inanellando altri concerti del suo tour, arrivato ad oltre 3.000 date (altro numero che fa una certa impressione) e non a caso ribattezzato Never Ending Tour.
Parliamo, naturalmente, di Bob Dylan, musicista che ha scritto alcune delle pagine più importanti della storia della seconda arte e che, nel mentre, ha anche trovato il tempo di vincere un Premio Nobel per la letteratura, per la precisione nel 2016.

L'album che oggi andremo a sviscerare, come detto, è il trentanovesimo della sua infinita carriera e, per essere precisi, il primo contenente inediti da nove anni a questa parte, vale a dire dai tempi di Tempest. Naturalmente, come sa chiunque segue il bardo di Duluth, l'estensione della sua voce non è più quella di una volta da parecchio (e, a voler essere onesti, non era eccelsa neppure ai tempi migliori); ciò nonostante, quando si preme il tasto play ed inizia I Contain Multitudes, quella voce tutto sommato semplice ed un po' monocorde riesce comunque a farci emozionare mentre, citando il poeta statunitense Walt Whitman, canta un vero e proprio flusso di pensieri, personaggi e contraddizioni, in un affascinante microcosmo di quattro minuti e trentasette secondi. Bob Dylan è tornato per davvero insomma. False Prophet, un blues vecchio stile ispirato a Billy “The Kid” Emerson, costituisce una sorta di autobiografia, un autoritratto che il nostro traccia con voce particolarmente roca e con una buona dose di sincerità. My Own Version of You è un brano spiazzante nel suo testo macabro, ispirato a Frankenstein di Mary Shelley ma al contempo ricco di citazioni cinematografiche, storiche e shakespeariane: molto probabilmente si tratta di una elaborata metafora del processo di composizione delle canzoni, con i “pezzi di cadavere” a rappresentare i frammenti di idea necessari a dar vita ad un brano. I've Made up my Mind to Give Myself to You è una bella e dolce ballad, dal sottofondo musicale simile a quello di una ninnananna, dove il nostro si esprime con particolare tenerezza, intonando un testo d'amore forse riferito ai fan che da decenni lo seguono e supportano. Black Rider è un'altra ballad, ma stavolta più tipicamente folk, genere in cui l'ottantenne del Minnesota è ovviamente ancora un assoluto maestro: il testo, particolarmente criptico, contiene un'allusione alle Satire di Giovenale e parla della lotta contro un nemico misterioso: un cavaliere dell'Apocalisse? Il tempo che scorre? Satana in persona? Non è dato saperlo, ma il testo è di rara potenza e suggestività. Mother of Muses, forse ispirata dalla vittoria del Premio Nobel, è un'invocazione a Mnemosine, divinità greca che per l'appunto nel mito si unì a Zeus dando vita alle Muse, dee delle arti e proclamatrici di eroi (un premio a chi coglie la citazione). Crossing the Rubicon ci riporta al blues “sporco” di False Prophet e, stavolta, presenta un testo più facilmente interpretabile, ricco com'è di citazioni al celebre episodio del passaggio del Rubicone da parte di Giulio Cesare, che significò l'inizio della guerra civile con Pompeo ed il Senato di Roma e che indica in senso lato ogni decisione particolarmente importante. Key West (Philisopher Pirate) è un'ulteriore ballad decisamente intensa, fra le cose migliori del disco, dove Key West, isola realmente esistente al largo della costa della Florida, costituisce verosimilmente la metafora di una terra promessa. Chiude il tutto la canzone più lunga mai registrata da Bob Dylan, Murder Must Foul, il cui titolo cita Amleto di Shakespeare: in quasi diciassette minuti il nostro parte dall'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, avvenuto a Dallas il 22 novembre 1963, per tracciare una sorta di affresco, musicale e storico, degli ultimi decenni di storia americana, in un tripudio di citazioni talmente numerose da non poter essere semplicemente elencate in queste righe. Chissà che questo lungo canto, per certi versi disilluso e per altri speranzoso, non contenga anche allusioni al drammatico periodo storico che stiamo vivendo.

Lo abbiamo già detto all'inizio: la voce di questo inossidabile signore della musica non è da tempo limpida, ma del resto ci piacerebbe avere una macchina del tempo per vedere cosa accadrà alle nostre corde vocali quando avremo ottant'anni suonati. Ciò detto, anche un'ugola reduce da sei decenni di concerti in giro per il pianeta, unita ad una penna ancora incredibilmente raffinata, riesce a toccare corde che cantanti ben più abili faticano a toccare in anni di carriera; inevitabilmente certi passaggi musicali sanno di già sentito, ma per ciò che concerne la parte lirica, il nostro è davvero ai massimi espressivi degli ultimi anni. Non sappiamo se Rough and Rowdy Ways sarà l'ultimo album di Bob Dylan ma, se così dovesse essere, saremo felici di aver ascoltato un più che degno canto del cigno da parte di un artista irripetibile.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
90 su 4 voti [ VOTA]
vascomistaisulcazzo
Sabato 27 Novembre 2021, 12.11.18
3
Dello zio Bob penso spesso: dovessi andare sulla classica isola deserta, portandomi dietro la sua discografia sarei in pace a vita con la musica. Sull'album in particolare nulla da criticare ma non mi accodo al tappeto rosso che la critica gli ha steso ai tempi dell'uscita, se ne facciamo una questione lirica forse si ma do maggior peso all'aspetto musicale e secondo me questo lavoro riprende in maniera noiosa tutto ciò che "Tempest" aveva già detto 9 anni fa, in maniera molto più vivace e sorprendente. E' un album strutturalmente più coeso e compatto, pieno zeppo di classe, suonato da dio ma gli mandano un paio di accelerazioni (nello stile Dylan naturalmente) che lo avrebbero reso davvero convincente. Comunque un 70 e riguardo alla rece, sono pronto a scommettere un rene che non esiste un testo d'amore rivolto ai fan, manco morto Dylan
Barry
Giovedì 18 Novembre 2021, 13.09.07
2
Grazie della fedeltà Mi spiace tu abbia trovato questa un po' superficiale, pensa che in realtà temevo di esser stato troppo noioso e prolisso inserendo le fonti di ispirazione dei singoli pezzi magari ti convincerò di più con la prossima!
Testamatta ride
Mercoledì 17 Novembre 2021, 22.02.53
1
Barry leggo sempre con piacere le tue recensioni, forse l'ho già scritto altrove. Tuttavia stavolta ti metto un amichevole pollice verso perché l'ho giuducata un po' superficiale soprattutto in relazione all'artista che si sta trattando. Ma probabilmente è un mio problema in realtà e non del tuo scritto e nasce verosimilmente dal profondo rispetto reverenziale che provo verso Dylan e dal grande amore che nutro per la sua musica, quindi tutto ok 😉🍻. La verità poi è che ho detto la mia su questo ennesimo bellissimo album di Dylan soprattutto perché non era proprio possibile lasciarlo con zero commenti, suvvia signori.
INFORMAZIONI
2020
Columbia Records
Folk
Tracklist
1. I Contain Multitude
2. False Prophet
3. My Own Version of You
4. I've Made Up My Mind To Give Myself To You
5. Black Rider
6. Goodbye Jimmy Reed
7. Mother of Muses
8. Crossing the Rubicon
9. Key West (Philosopher Pirate)
10. Murder Must Foul
Line Up
Bob Dylan (Voce, Armonica, Chitarra)
Charlie Sexton (Chitarra)
Bob Britt (Chitarra)
Donnie Herron (Chitarra, Violino, Mandolino)
Tony Garnier (Basso)
Matt Chamberlain (Batteria)

Musicisti Ospiti
Blake Mills (Chitarra, Harmonium nella traccia 10)
Benmont Tech (Organo nella traccia 10)
Alan Pasqua (Pianoforte nella traccia 10)
Fiona Apple (Pianoforte nella traccia 10)
 
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