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TYR - Skúlagarðurin, Hov, isole Fær Øer, 16/05/2015
25/05/2015 (2519 letture)
Da alcuni anni, a Hov, piccolo centro dell’isola più meridionale dell’arcipelago della Fær Øer, chiamata Suðuroy, si svolgono i “giorni vichinghi” o Víkingadagar, una manifestazione di quattro giorni che unisce cultura, storia, arte, natura, rievocazioni storiche in costumi ispirati all’epoca e un mercatino di artigianato. Il festival non ha casualmente luogo ad Hov, in quanto questo paesino, che ad oggi conta poco meno di 120 abitanti, è uno dei più antichi di tutte le isole: si hanno infatti documenti scritti che ne testimoniano la presenza fin dal X secolo e, nonostante i danni causati da alcuni archeologi amatoriali nella prima metà dell’Ottocento, a confermarne la presenza è anche la tomba di Havgrímur, capo vichingo che, secondo la Færeyinga Saga o saga dei Faroesi, in questa insenatura dalla posizione strategica e dal panorama invidiabile ha a lungo prosperato con il suo clan. Quest’anno, inoltre, in aggiunta a quanto proposto in passato, è stato messo su carta e presentato ufficialmente il progetto Víkingaskipið, ovvero una grande raccolta di fondi per finanziare, almeno in parte, la costruzione di una grande nave da guerra vichinga, lunga oltre 17 metri, fedele riproduzione di quelle che un tempo attraversavano queste isole. E chi, meglio dei Týr, può provare a dare il giusto incoraggiamento a questa nuova iniziativa?

TÝR

La locandina dell’evento parla chiaro: 250 corone faroesi l’ingresso (oltre 33€, prezzo non inusuale per un concerto qui, ma leggermente alto se si considera l’assenza di un qualsiasi gruppo di apertura), per circa due ore di Týr che, al contrario di quanto si possa pensare, dopo tutto non si esibiscono così tanto spesso in madrepatria. L’attesa è tanta, quasi palpabile di fronte al palco.

Con un po’ in ritardo, la band entra finalmente in scena, fortunatamente senza bisogno di tante presentazioni, anche se il frontman Heri Joensen si prende il giusto tempo per dare il benvenuto agli astanti, senza perdere l’occasione per fare un piccolo saluto anche in islandese, dato che tra i diversi rievocatori presenti (diventati, in parte, il corpo di sicurezza della serata) molti provengono proprio dalla terra del ghiaccio. Ma spazio alla musica. Le prime due tracce, come da copione, sono Blood of Heroes, dall’ultima fatica Valkyrja, e Tróndur í Gøtu, primo brano in faroese della serata. Fin dagli inizi, tuttavia, la band lamenta qualche problema nei volumi, specialmente per Gunnar Thomsen, anche se, con tutta onestà, al pubblico appaiono davvero come delle piccolezze. Il gruppo, invece, in una ricerca della perfezione probabilmente dovuta alla lunga esperienza dal vivo, cerca per molto tempo e in tutti i modi il dialogo con i tecnici, affinché tutto sia perfetto, creando però anche un senso di vuoto e di attesa che tende in parte a smorzare l’entusiasmo di un pubblico folto, ma non ancora gremito.

Una volta ripreso il controllo della situazione, ecco il ritorno a brani dell’ultimo album, a partire da Mare of My Night, fino a giungere a Grindavisan, che fanno da sfondo ad un aumento non particolarmente rapido, ma deciso, del pubblico, che raggiungerà alla termine della serata la cifra (piuttosto imponente, a queste latitudini) di 300 spettatori. Decisamente meno entusiasmanti, all'opposto, i fin troppo insistenti solleciti da parte di Heri Joensen ad acquistare il cd in vendita al classico banchetto, che iniziano in questa parte del set e proseguono costanti fino al suo termine. Una mezza caduta di stile, se vogliamo, specialmente se si considera che la band aveva fino a poco prima sottolineato l’importanza di partecipare al concerto, in quanto tutti i proventi della vendita dei biglietti avrebbero contribuito al finanziamento della Víkingaskipið. Ma tant’è.

Nella parte centrale del set, con Another Fallen Brother (dove non passa inosservato un errore di attacco, decisamente troppo anticipato, da parte di Heri Joensen nella seconda metà della traccia) come unica eccezione, lo spazio viene lasciato a brani più storici, tra i più popolari e conosciuti, come la solenne Hail to the Hammer, Sinklars Vísa (entrambi estratti dall’album Land del 2008), Shadow Of The Swastika e l’assolutamente immancabile ed energetica Hold the Heathen Hammer High, che porta alle stelle l’entusiasmo degli astanti.

Infine, oramai in chiusura, ecco il piccolo grande regalo (nonostante i grossolani errori di Skibenæs nell’intro) che i Týr decidono di fare ad una folla che a gran voce l’aveva richiesto lungo l’intero concerto e in diverse altre occasioni, non venendo fino a quel momento esaudita: ecco Ormurin langi. Il brano, raramente portato in live dalla band, come d’altronde quasi tutte le altre tracce del loro album di debutto, How Far to Asgaard, ha infatti un significato particolare per i faroesi, in quanto è una delle kvæði (una ballata che si danza collettivamente in tondo tenendosi per mano e cantando, simile alla 'caròla' italiana descritta per esempio da Boccaccio nel Decameron) più conosciute e ancor oggi cantate durante i giorni di festa. Ecco dunque come, dal nulla, dalle retrovie inizia un esecuzione spontanea della ‘danza a catena’, che piano piano coinvolge tutti, amici e perfetti sconosciuti, con un ballo e canto all’unisono, dato che le parole di questa canzone tradizionale dedicata alle gesta del re norvegese Olaf Tryggvason sono davvero conosciute da tutti. Un ondata di genuino entusiasmo che va a rappresentare una bella sorpresa, nonché il vero culmine dell’esibizione.

Il concerto si conclude con alcuni bei fuochi d’artificio sparati attorno a mezzanotte da un lato del fiordo di Hov, che fanno da ‘spartiacque’ tra il set dei Týr e alcune esibizioni musicali che manterranno l’anima dei Víkingadagar vivace e attiva (e alcolica) fino a mattina inoltrata. Un successo per gli organizzatori, per il pubblico e per la band stessa, la quale tuttavia avrebbe potuto prendersi un po’ meno sul serio, dato che comunque il palco che calcavano era in una piccola tendostruttura in un altrettanto piccolo centro gremito di gente con solamente voglia di divertirsi e non in qualche grande festival continentale, con esigenti manager e addetti stampa.

Foto a cura di Rúni Thomsen, Turið V. Í Dali e Fabrizio Santoro (Týr Italia).



metallo
Giovedì 28 Maggio 2015, 19.45.49
3
Idem con gi altri commenti, anche io non li conosco, mi informo subito, ma mi associo, mi piacerebbe tanto fare un viaggio in Norvegia, Faer Oer, e Islanda quei posti devono creare delle atmosfere incredibili e sognanti, bel report, sr chiudo gli occhi mi sembra di viaggiargi con la mente telepaticamente, spero un giono di fare un viaggio da quelle parti e magari godermi dei festival come quello qui descritto.
Michele "Axoras"
Mercoledì 27 Maggio 2015, 4.03.15
2
Anche io ammetto di non conoscere il gruppo, tuttavia il report è veramente bello e le foto sono spettacolari. Un report originale e che mi ha incuriosito tanto. Complimenti !
Elluis
Martedì 26 Maggio 2015, 18.14.02
1
Non conosco nulla della band in questione, ma l'atmosfera e quei luoghi mi hanno sempre affascinato, sono sempre stato attirato da quei posti ma non ho mai avuto l'occasione di visitarli (parlo delle Far Oer ma soprattutto dell'Islanda). Tra l'altro deve essere una vera esperienza assistere a un concerto da quelle parti.
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