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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Quante volte abbiamo sentito i fan di vecchia data di una band dire “Eh ma i (band a caso) non sono più quelli di un tempo!”. E sicuramente anche noi stessi ci siamo ritrovati nella medesima situazione, a struggerci l’anima per il cambiamento musicale di una qualche band. A volte poi si vedono lanciate accuse di “tradimento”, verso un non si sa quale verbo metallico, che dovrebbe limitare una band non solo entro i confini del metal, ma addirittura in quelli del proprio sottogenere degli esordi. Senza citare i soliti Metallica e la loro svolta più vicina all’hard rock, gli esempi che si possono portare sono veramente innumerevoli. Si può parlare dei Darkthrone, prima alfieri del true norwegian black metal più glaciale e intransigente, poi protagonisti di un avvicinamento al punk che, complice una qualità intrinseca non eccezionale, ha fatto storcere il naso alla maggior parte dei fan. O, per rimanere in ambito black, un’altra band “presa di mira” in fatto di cambiamenti stilistici sono i Satyricon, passati da sonorità oscure e medievaleggianti, alle influenze, ancora una volta, punk degli ultimi lavori. Sono poche le band che sono state esenti da critiche o dalle sempreverdi lamentele nostalgiche dopo le svolte, non lo sono stati gli Amorphis, nonostante la sempre elevata qualità dei dischi, non lo sono stati neppure gli Ulver, artefici di capolavori di black così come di elettronica. Si può ben capire allora come mai gli aficionados dei Týr siano rimasti fortemente delusi dalle ultime uscite della band, troppo powereggianti e prive di mordente per chi aveva amato il viking dalle tinte progressive degli esordi. Il culmine di questa curva discendente era stato il deludente e poco inspirato The Lay Of Thrym, che, indipendentemente dalla veste in cui si erano preferiti i faroesi, risulta scialbo e decisamente non all’altezza di una band in grado di sfornare capolavori come Eric the Red e Ragnarok. Le aspettative intorno a questo nuovo Valkyrja non erano dunque positive, nonostante il passaggio dalla Napalm Records alla Metal Blade e l’annuncio della partecipazione del batterista dei Nile George Kollias, vista da molti come una mossa dettata più da ragioni commerciali e di pubblicità che da motivazioni prettamente musicali. Ma, a quanto pare, gli avvoltoi dovranno aspettare ancora per spolpare la carcassa dei Týr. Valkyrja non raggiunge di certo le vette degli esordi, sia chiaro, ma si dimostra superiore alle aspettative e, soprattutto, decisamente più convincente rispetto ai suoi due predecessori. L’album si presenta a cavallo tra le sonorità che li hanno resi grandi, e l’heavy/power orecchiabile e diretto degli ultimi lavori. Alla componente più prettamente heavy del sound sono da imputarsi le strutture semplici e lineari, che lasceranno l’amaro in bocca agli amanti del lato più progressive dei faroesi. I segni di un tentativo di “ritorno alle origini” sono invece riscontrabili nella seconda parte del platter, maggiormente ragionata e meno incline a melodie eccessivamente catchy, pur restando inquadrabile in coordinate decisamente più accessibili rispetto agli esordi. Le prestazioni dei singoli musicisti sono tutte ottime. Il riffing delle chitarre è vario e regala momenti splendidi, che non faticheranno a restare impressi nella testa dell’ascoltatore. La sezione solista, come nella migliore tradizione Týr, è ridotta all’osso e non presenta assoli fatti di scale lanciate a 200 km/h per il semplice gusto della velocità, ma si compone di episodi epici e solenni, che spesso riprendono il tema portante. Thomsen al basso si conferma una garanzia e si rende protagonista di cavalcate epiche dal sapore maideniano e di sezioni corpose e possenti e, pur un po’ messo in ombra dalla produzione, conferisce un ottimo groove ai brani. La sezione ritmica è completata poi dal mostruoso Kollias: ogni dubbio riguardo la resa del drummer in un contesto così diverso da quello cui è abituato viene subito spazzata via. Pur non adottando uno stile particolarmente originale o immediatamente riconoscibile la prestazione è veramente ottima, precisa e potente. Le brusche accelerazioni in doppia cassa segnano un distacco rispetto allo stile dello storico batterista della band Kári Streymoy. Un plauso finale va alla sempre straordinaria ed espressiva voce di Heri Joensen, questa sì, unica e immediatamente riconoscibile, ormai vero e proprio marchio di fabbrica del gruppo, a suo agio su territori power quanto su quelli viking.
L’onore di aprire le danze spetta a Blood of Heroes, brano epico e ritmato scandito dalle cavalcate di Kollias. Ad una strofa lenta e cadenzata si alterna un ritornello decisamente più dinamico e incalzante e, agli ascoltatori più smaliziati, il riff di aperura potrebbe ricordare quello di Twilight of the Thunder God degli Amon Amarth, ma in ogni caso, le somiglianze si fermano là. Sulle stesse coordinate si assesta Mare of my Night, dal testo che più sessualmente esplicito non si può, decisamente una novità per la band faroese. La successiva Hel Hath No Fury è un brano cadenzato che riporta ai fasti passati, ed è probabilmente uno dei più riusciti del lotto. Ottimo e coinvolgente è il ritornello, vicino all’intessitura melodica di Eric the Red. The Lay of our Love è una ballad piacevole anche se piuttosto banale, nobilitata però dalla sempre straordinaria voce di Liv Kristine, ex cantante dei Theatre of Thragedy, che si alterna e si intreccia col solito ottimo Heri. Da segnalare anche l’assolo a metà pezzo, uno dei migliori del disco. La qualità si mantiene buona con Nation, che ritorna su coordinate più epiche, complici le accelerazioni del drummer e i cori maschili, tornati più presenti rispetto ai predecessori. Another Fallen Brother non aggiunge nulla a quello sentito fino ad ora, ma risulta comunque piacevole e dotata di un buon ritornello, che si muove su coordinate tipicamente power. Grindavisan è il primo pezzo cantato in lingua madre e, a detta di chi scrive, il migliore dell’intero disco. Ritornano prepotentemente i cori, qui assolutamente mozzafiato, e le chitarre si muovono su lidi folkeggianti. L’intera canzone trasuda epicità e spirito norreno, rimandando ai fasti dei primi album; in definitiva questa è la canzone che ogni fan di vecchia data dei Týr avrebbe voluto sentire. Subito dopo però la band è pronta a smentire tutte le ottime impressioni lasciate dalla precedente con un’accoppiata moscia e priva di mordente, che spezza il fiato ad un album fin qui scorrevole. Into the Sky è veloce e sconclusionata, il cui più grande pregio è la breve durata, mentre Fánar Burtur Brandaljóð, nonostante il cantato faroese, manca dell’appeal giusto per coinvolgere l’ascoltatore e non fa altro che appesantire la tracklist. Si ritorna a correre e a convincere con Lady of the Slain, pezzo questa volta veramente incisivo e dinamico, con un Kollias in grande spolvero e delle sezioni chitarristiche al fulmicotone tipicamente power, a cui segue un ottimo assolo dalle tinte epiche. Bello anche il ritornello, costruito apposta per essere cantato in coro. La titletrack cerca, con la sua introduzione di richiamare alla mente la grandiosa Eric the Red, per poi premere però il pedale dell’acceleratore sul ritornello, contrapposto ad una strofa più riflessiva, struttura riscontrabile in quasi tutte le canzoni dell’album. A chiudere il disco ci pensano due cover francamente inutili, che mantengono quasi invariate i brani originali e si presentano solo come un omaggio a due band che hanno fatto la storia come gli Iron Maiden e i Pantera.
Tirando le somme il disco si rivela probabilmente superiore a tutto ciò che i Týr hanno scritto dopo l’intricato Land, riuscendo nel compito di coniugare le componenti classiche del loro sound a quelle più immediate e, se vogliamo, commerciali, degli ultimi anni. Nonostante non faccia certo gridare al miracolo e non sia estremamente longevo, merita certamente qualche ascolto, se non altro per episodi trascinanti come Hel Hath No Fury, Grindavisan e Lady of the Slain. I vecchi fan della band resteranno di certo con l’amaro in bocca, ma questi sono i Týr attualmente: prendere o lasciare. Al contrario gli amanti del metal epico dal sapore nordico possono godersi un disco piacevole e ben suonato come è questo Valkyrja.
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20
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Avrei dato anche dieci punti in più, onestamente. Purtroppo non tutti sono dotati del dono dell'oggettività e ancor meno riescono a togliersi dalla faccia i proverbiali "nostalgia goggles". Eric The Red salta fuori ad ogni singola recensione, è assurdo. L'evoluzione è (e deve essere) parte integrante di ogni band che si rispetti. Inoltre (ma questa e' la MIA PERSONALE opinione) preferisco un disco come questo piuttosto che farmi le seghe a due mani ascoltando interminabili fraseggi progressive. |
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19
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Gran bel disco, sicuramente non il migliore del gruppo, ma spacca di brutto! |
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18
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Sentito e risentito più volte il disco cresce con l'ascolto....il disco secondo me è decisamente riuscito e spazia da brani decisamente power epic come Blood Of Heroes o Mare Of My Night a tracce più progressive alla Ragnarok come Another Fallen Brother alle consuete rivisitazioni di brani folk/traditional fino ad arrivare alle due splendide tracce finali più articolate ed elaborate Lady Of The Slain e Valkirja...in particolare quest'ultima è un vero pezzo da novanta e ricorda da vicino le atmosfere di Eric the Red. Citazione particolare per la splendida ballata The Lay Of Our Love dove le due voci si fondono magnificamente dando vita a linee vocali da brivido. Unico pezzo un po' banale e sottotono è secondo me Nation In buona sostanza dopo un primo ascolto ero abbastanza in linea con il tuo voto @Organium ma dopo vari ascolti il voto è cresciiuto decisamente e quindi per me si becca un bel 85! |
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17
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D'accordo con il voto, buon disco che si lascia ascoltare ma non fa nemmeno gridare al miracolo. Questi comunque ci sanno fare con le melodie, creano atmosfere particolari e quando spingono lo fanno bene. Ottima prova dei musicisti, mi sono piaciuti molto gli assoli e Kollias mette un mostra una prova solida, ma non trascendentale. 70 anche per me quindi! |
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16
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@organium non sto assolutamente contestando il voto di Valkirja anche perchè ho sentito solo un paio di canzoni e come dicevo nel mio commento precedente mi deve ancora arrivare e di certo non considero 70 un brutto voto....la tua recensione è come al solito bella e dettagliata....contesto(non necessariamente a te) il dire che The Lay Of Thrym sia deludente, abitudine solo italiana, quando tutta Europa(isole comprese) lo definisce non solo un disco buono ma con voti che vanno dall'ottimo all'eccellente....ma questa è una diatriba che porto avanti da 2 anni , l'importante è che per The Lay Of Thrym i risultati parlino da soli e dicano che è un gran disco |
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15
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@enry hai perfettamente ragione, 70 è un buon voto e dalla recensione mi pare si capisca che ho apprezzato l'album |
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Ma perchè qualcuno sta parlando di brutto disco? Io l'ho pure preso originale e in effetti il disco scorre via bene, sembra quasi che voti come 70-75 (e onestamente non me la sento di andare oltre, troppo power, ma qui è questione di gusti) siano delle bocciature... |
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...concordo con l'ultimo commento, Valkirija è parer mio un disco molto buono, che non credo ambisca a diventare un capolavoro epocale ma che scorre bene con diverse canzoni indovinate... inoltre mi sembra sia anche stato recepito dalla critica internazionale in modo assolutamente positivo...ma si sa che qui su metallized si riuniscono solo palati estremamente raffinati... |
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In ogni caso seguo i Tyr da sempre adoro tutti i dischi compreso il vituperato Land e credo che anche Valkirja(che mi deve arrivare) mi piacerà un botto semplicimente perchè loro hanno la grande dote di saper fare grande musica sempre.... Poi se si vuole cominciare la solita menata su quanto erano meglio i Tyr di 10 anni fa, 8 anni fa, 5 anni fa blablablablabla gnegnegne sono più commerciali uffa uffa prego si aprano le danze.... ma i Tyr rimangono una grande band |
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11
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hey enrico86 solo in Italia si parla male di The Lay Of Thrym....guardati il resto d'Europa(tutta) e vedrai disco dell'anno, disco del mese, disco preferito dai lettori etc... etc... Forse hanno tutti torto!!!!....come amiamo pensare noi italiani.... |
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9
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Hai qualche proplema terji. eh ? |
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MA CHE PALLE sempre a citare Eric The Red. La band si è evoluta, fatelo anche voi, madre de dios. |
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7
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Dopo i Running Wild, altra delusione per il sottoscritto. La migliore? Where Eagles Dare...e ho detto tutto. VOTO: 65 |
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Non ai livelli di Eric the Red che considero un capolavoro del genere viking , ma un buon album che si fa ascoltare , per me un 77 ci sta . |
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5
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Un discreto disco power metal dove spiccano una manciata di brani tipo Blood of Heroes, Lady of the Slain e Grindavìsan. Bene Kollias che si prende un po' di riposo rispetto ai suoi standard, inutili e pure bruttine le due cover....70 voto giusto, almeno ci vengono risparmiate le solite pompose pacchianate da musica sinfonica dei poveri. |
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4
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bah--deludete the lay of thrym...andateci piano con il vinello  |
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3
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Me lo consigliate per iniziare?  |
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2
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Questo ancora non ce l'ho, ma non mi hanno mai deluso |
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Mah... per me valgono 10 punti in più  |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Blood of Heroes 2 Mare of My Night 3. Hel Hath No Fury 4. The Lay of Our Love 5. Nation 6. Another Fallen Brother 7. Grindavísan 8. Into the Sky 9. Fánar Burtur Brandaljóð 10. Lady of the Slain 11. Valkyrja 12. Where Eagles Dare (Iron Maiden cover) 13. Cemetery Gates (Pantera Cover)
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Line Up
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Heri Joensen (Voce, chitarra) Terji Skibenæs (Chitarra) Gunnar Thomsen (Basso) George Kollias (Batteria)
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