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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 9897 letture )
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Nella mente il desiderio mi si sveglia, e nel cervello l'intenzione di cantare, di parole pronunziare, co' miei versi celebrare la mia patria, la mia gente. Mi si struggon nella bocca, mi si fondon, le parole, mi si affollan sulla lingua, si sminuzzano fra i denti. ("Kalevala", I, v. 1-10)
Il mito è il bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione della natura, il mito è spiegazione di un rito, di un atto formale che corrisponde alle esigenze della tribù, il mito è struttura delle credenze di un gruppo, di un èthnos. Ma, come dice la parola, il mito è innanzitutto un racconto: c'è una storia da presentare, che ha dei lati terribili, ma anche spesso risvolti patetici e sorridenti, ci sono dei personaggi in azione, una trama che si snoda. Nella prima metà dell'Ottocento, durante il periodo del dominio russo, avvenne in Finlandia un grande risveglio del sentimento nazionale. All'università di Turkun un gruppo di accademici riteneva che la raccolta e lo studio della poesia popolare e della lingua finlandese fossero fondamentali per lo sviluppo della cultura. Ad opera dei cosiddetti "finnofili" la lingua finlandese, fino a quel momento parlata solo da gente comune, divenne finalmente una vera e propria lingua letteraria. Importante è la figura di Elias Lönnrot, che iniziò la raccolta sistematica del folclore e dopo lunghi viaggi di ricerca e raccolta compose l'epopea nazionale finlandese basandosi sulla poesia popolare. La prima versione viene pubblicata nel 1835 come Vaha Kalevala (L'antico Kalevala) e la nuova edizione più ampia, Uusi Kalevala (Il nuovo Kalevala), viene data alle stampe nel 1849. Al Kalevala si affianca anche un'altra raccolta di poesie liriche, la Kanteletar, che Lönnrot pubblicò tra il 1840 e il 1841. L'opera è formata principalmente dai canti lirici femminili cantati dalle ragazze mentre lavoravano o giocavano, oppure durante le feste e balli da promesse spose e da madri che cullavano i loro piccoli. Il carattere femminile della raccolta viene messa in evidenza già nel titolo, formato dalla parola kantele, il tradizionale strumento musicale a cinque corde, e la desinenza femminile –tar, rendendo così l'immagine di una Dea, come simbolo del canto lirico. La Kanteletar contiene anche alcuni canti lirici maschili, ma di numero notevolmente inferiore rispetto ai canti femminili.
Il corpus poetico del Kalevala e della Kanteletar ha formato una piattaforma che ha offerto solido sostegno alla musica dei gruppi finlandesi. È un'eredità che si cela nel cuore e sullo sfondo della musica, nell'andamento flessuoso di quel determinato linguaggio, dipinto dagli amalgamanti colori del mito. Un gruppo, tuttavia, risulta essere in particolare principio, fonte e morte stessa di questa tendenza: gli Amorphis. Il gruppo di Helsinki si cuce addosso il ruolo di runoia, di bardo finnico, fin dai veri inizi della loro carriera. Unendo la poesia della loro terra alla melodia e alle armonie del metal, colmano l'ordito con una luce che risplende dall'interno dei protagonisti, che dà spessore alle emozioni, che cuce le vicende, riempiendo i vuoti lasciati dalle parole con gli interventi e le sottolineature della musica. Nel 1994 usciva Tales from the Thousand Lakes, nel quale i colori del mito si fondevano alla stupenda angoscia del death metal di scuola scandinava, strizzando un occhio alle rigide ed evocative melodie russe. Due anni dopo, nel 1996, gli scandinavi daranno alle stampe un altro grandissimo capolavoro, Elegy. Gli Amorphis, come suggerisce il nome stesso del gruppo, sono una creatura senza forma, inclassificabile. Nonostante il precedente lavoro fosse un capolavoro, il gruppo di Helsinki preferisce mutare, cambiare se stesso, ogni sua forma, colore e ombra. Kasper Mårtenson, tastierista e autore di numerosi brani in Tales from the Thousand Lakes (vi dice qualcosa Black Winter Day?), decide durante il tour di abbandonare il gruppo. Il suo posto verrà preso da Kim Rantala. Anche il batterista e cofondatore del gruppo, Jan Rechberger, deciderà di lasciare momentaneamente (tornerà, infatti, nel 2002, durante le registrazioni di Far From the Sun) e il suo posto verrà preso da Pekka Kasari, ex membro degli Stone. In più viene aggregato al gruppo Pasi Koskinen, così da affiancare Koivusaari nel cantare anche le parti pulite.
Il disco si apre con un lento crescendo della tastiera di Kim Rantala, prima che il sitar e le chitarre si prendano la scena con una stupenda e leggera melodia dal sapore orientaleggiante che si apre e muta in un'arrembante ordito, sorretta dall'essenziale ma ottimo lavoro alla ritmica di Olli-Pekka Laine e di Kasari. Better Unborn è una canzone trascinante e d'intima disperazione. Alla voce profonda di Koivusaari si alterna la malinconica rabbia di Koskinen in un insieme di stupenda bellezza.
If I'd died a three-night-old, Been lost in swaddling hand, I'd have needed but a span of cloth, A span more of wood, But a cubit of goof earth, Two words from the priest, Three verses from the cantor, One clang from the bell.
S'io fossi morta di tre notti, perduta nella mano che mi fasciava, poco avrei chiesto: una spanna di lenzuolo, un poco di più di legno, niente più che un cubito di terra, due parole dal prete, tre versi dal cantastorie, un battito dalla campana.
La canzone si dipana lungo questa malinconia e rabbia che scaturiscono da un malsano rapporto tra madre e figlia, con quest'ultima che accusa la genitrice di non averla uccisa appena nata, lasciandola così vivere una vita di stenti e di sottomissione. Il complesso musicale e melodico è di rara e stupenda bellezza, capace di attrarre, ammaliare e stordire l'ascoltatore in ogni suo piccolo particolare. Ogni strumento compone una propria trama che si perde, rinasce, conquista e si affievolisce costantemente nel veloce schiudersi del pezzo. Al certosino lavoro musicale, si unisce un'incredibile e maniacale cura da un punto di vista filologico. Tutta la Kanteletar è composta in tetrametri trocaici, un particolare metro utilizzato anche da Shakespeare nella commedia Sogno di una notte di mezza estate. La particolarità del metro è di contenere una sillaba lunga, che viene così accentata, e una sillaba ancipite (elementum longum e elementum anceps), che scivola via appoggiandosi all'accento precedente; in questo caso vengono ripetute quattro volte. Non solo, il metro si mantiene nella traduzione inglese, ma le stesse melodie e armonie vengono obbligate a sottomettersi a tale regola, come si può udire nella ritmica iniziale, quando il basso e la batteria pongono l'accento proprio là dove sarebbe la sillaba accentata. Against Widows si apre ancora con questa "trocaica" (leitmotiv di tutto il disco), situazione che si risolve in un cantato melodico e coinvolgente di rigido stampo russo. Le chitarre di Koivusaari e Holopainen si armonizzano in maniera sapiente tra di loro, prima di abbandonarsi alla ritmica, lasciando il posto alla medesima frase, ripresa con risolutezza dalla tastiera. Dopo una prima strofa, cantata dal growl di Koivusaari, la canzone rallenta per lasciare maggior spazio alla chiarezza della voce di Koskinen che, in un lento crescendo d'intensità, accompagna l'ascoltatore fino alla sezione solistica, dominata da uno stupendo solo di Holopainen, sorretto da una magnifica linea di basso di Olli-Pekka Laine. Il pezzo non è solo uno dei migliori e più ispirati del disco, ma uno dei grandi classici della discografia del gruppo di Helsinki. Un arpeggio molto ruffiano e di stampo molto rock, un leggero sussurro della tastiera e un graffiante, appena accennato, solo di chitarra aprono The Orphan. Il pezzo è sintomatico del grande cambiamento, del desiderio di sperimentare che tormenta il gruppo. I sintomi che nei primi due pezzi avevamo appena sentito, ora si schiudono completamente, consegnando all'ascoltatore una ballata che, sicuramente, avrà fatto storcere la bocca a molti fan. A mia opinione, più che la scelta di sperimentare, secondo me, in The Orphan, gli Amorphis presentano le prime avvisaglie di quella che sarà gran parte della loro discografia a partire da questo Elegy, un miscuglio eterogeno di melodie che però, alla lunga, risulteranno stucchevoli e banali, troppo banali per orecchi che loro hanno abituato con ben altri cibi. Degna di nota, comunque, è la parte strumentale conclusiva. On Rich and Poor è la traccia seguente. Non credo ci siano molte parole per descriverla. La chitarra di Holopainen tesse una vibrante melodia lungo la scala di RE diesis, mentre Koivusaari, componendo la ritmica con semplici accordi, entra con la sua voce e contrasta con la stessa l'armonica melodia di cui sopra. La melodia, dunque, appoggiata ora dalla tastiera di Ratala, evolve in un crescendo, prima di ritornare al proprio principio e risolversi in un lento ma sostenuto susseguirsi di semplici accordi, sui quali la voce pulita sembra arrampicarsi come l'uomo, costretto all'eterna ombra dalla grande quercia che oscura la luna e il sole, deve arrampicarsi su di essa per poter godere del conforto delle loro luci splendenti. Il continuo crescere si apre su un'altra melodia, di grande bellezza, che svolge se stessa in ritmiche di 3 e 4 quarti, prima di tornare nuovamente al principio e allo stupendo spaccato pulito di Koskinen. La canzone è un continuo susseguirsi di stupendi momenti estatici, di colorite impressioni e sensazioni primeve. L'ascoltatore è preso di forza e trascinato via, in quei luoghi lontani, in quei distanti campi d'erica e di neve. Il testo è l'unico di tutto il disco a non appartenere a un singolo poema, ma è l'unione di tre differenti poesie. La bellezza e la semplicità della poesia sono sorprendenti, ben mischiate alle ammalianti melodie tessute.
Without the moonlight stumbled, With our fists fumbled the land, With our hands we sought our roads; With hands roads, with fingers swamps. We could not live without the sun, Nor manage without moonlight. Who would seek out the sun, Who would spy out the moon? Who else if not God, the one son of God?
Senza la luna inciampavamo, con i nostri pugni brancolavamo lungo la terra, con le nostre mani abbiam cercato le strade; con le mani le strade, con le dita le paludi. Non potevamo vivere senza il sole, né esistere senza la luce della luna. Chi avrebbe cercato il sole, chi avrebbe tastato il terreno per la luna? Chi altri se non Dio, l'unico figlio di Dio?
L'ascoltatore, tuttavia, non ha molto tempo per guardarsi intorno. Una chitarra saturata apre un delicato arpeggio, sul quale la voce di Koivusaari va a ordire una trama distante, lontana e quasi ultraterrena. My Kantele è uno dei più grandi capolavori del gruppo. La canzone è un continuo cambiamento, un inno alla mutevolezza e all'inafferrabilità stessa di cui il gruppo si è fatto portavoce. Le melodie che si susseguono senza posa, costantemente, come rincorrendosi, risolvendosi le une nelle altre, aprendosi e perdendosi nuovamente, sono lo scenario perfetto e la descrizione perfetta della complessa semplicità del gruppo finlandese. La canzone segue la costruzione del primo kantele: il saggio Väinämöinen costruì lo strumento dalla mascella di un gigantesco luccio e lo montò con corde ricavate dalla chioma della donna-demone Hiisi.
… Was fashioned by a god, out of a great pike's shoulders; from a water-dog's hooked bones, it was made from the grief. Its belly out of hard days, Its soundboard from endless woes, Its strings gathered from torments And its pegs from other ills.
… Fu costruito da un dio, dalla mascella di un grande luccio; dalle ossa di un luccio all'amo, fu costruito dal dolore. Il suo ventre dai giorni duri, la cassa da infiniti dolori, le sue corde raccolte dai tormenti e i pioli da altre malattie.
Lo strumento è centrale nella cultura e nell'epica finnica, dal momento che è tramite esso che i runoia si abbandonavano alla kamlaine, una specie di trance sciamanica durante la quale componevano e cantavano i runi della loro tradizione. Cares, invece, si presenta in maniera diversa: è un pezzo immediato, di vecchio stampo, molto più vicino agli esordi della band che alla linea melodica che ha contraddistinto fino a questo momento il disco. Il pezzo si appoggia su un'unica melodia che tende, di quando in quando, a risolversi in una forma più complessa di chiara derivazione orientale. Improvvisamente, però, c'è un'apertura: il pezzo si spacca in un interludio ritmico russo che lascia l'ascoltatore piacevolmente sorpreso. Si riprendono anche un po' di quelle sonorità techno che hanno particolareggiato Magic & Mayhem, traccia conclusiva del disco precedente. La traccia successiva, Song of the Troubled One, è un'altra perla di rara bellezza, forse leggermente sottovalutata dai fan del gruppo. Il vero capolavoro, però, è la superba Weeper on the Shores. La canzone si apre con le plettrate della chitarra acustica di Koivusaari. Dopo otto battute, si apre il superbo tema della canzone, tessuto dalla chitarra di Holopainen e dalla tastiera di Rantala, armonizzate su due ottave diverse. Le rapide pennate sulla chitarra acustica fanno da sfondo e da ritmica alla prima strofa, in cui una distante chitarra tesse delle leggere improvvisazioni, dove spicca la bellissima voce di Koskinen. La ritmica cambia velocemente, si passa da un 6/8 a un 5/4, e si prende la scena un riff molto semplice, una banale progressione staccata di accordi quasi comica, sulla quale entra la voce di Koivusaari. Ad essa va ad intrecciarsi il cantato della chitarra e della tastiera, prima di ritornare al sublime tema iniziale. Il solo di Holopainen è semplice, non un coacervo d'inutili tecnicismi. Di qui, la canzone si snoda in una sezione strumentale di rara bellezza, affresco stupendo della cangiante e mutevole natura del gruppo. La chitarra di Holopainen e la tastiera di Rantala in un primo momento si doppiano in un arpeggio in tacito palm-mute e poi improvvisamente si sdoppiano, armonizzandosi per terze. Dall'arpeggio, si apre un'evoluzione del tema iniziale, seguito da un secondo solo di chitarra che ricalca il precedente, concentrandosi molto più sulla musicalità che sulla tecnica, accompagnando l'ascoltatore verso il finale della canzone. La canzone è una perla stupenda, un'incantevole opera in miniatura, capace di farsi gioiosa e angosciosa al tempo stesso. Elegy, la title-track, si apre con un dolce arpeggio di pianoforte. A differenza del precedente "lento", The Orphan, la traccia convince molto di più, pur stonando un po' con il resto del disco. Anche questa traccia, tuttavia, è un po' apripista per canzoni come I of Crimson Blood o Her Alone, di indubbia bellezza, ma un po' ruffiane, stucchevoli, epitaffio della stupenda genialità del gruppo. La parte strumentale tende un po' ad annoiare e a strappare qualche sbadiglio all'ascoltatore, sintomo di una scarsa vena compositiva del gruppo che, purtroppo, in mezzo alla bellezza, riesce comunque a fare capolino. Relief ha l'intenzione di risollevare gli animi assopiti. La carica, com'anche le buone intenzioni, non mancano alla canzone, la prima vera strumentale del gruppo. Eppure, non riesce a farsi completamente apprezzare, perdendosi in ripetizioni e continui sbadigli, risolvendosi in un nulla di fatto. A conclusione del disco, gli Amorphis, pongono una versione acustica di My Kantele. La ripresa convince ancor di più del pezzo in sé e, infatti, d'allora sarà sempre eseguita in questa maniera in sede live. Per quanto la voce di Koskinen non risulti al suo massimo, molto bella è la sezione strumentale, dove si dà spazio alla fisarmonica, suonata da Rantala e al sitar di Holopainen, dando così un'accezione etnica e ambientale alla canzone.
Elegy è uno di quei dischi irripetibili, il punto di arrivo, la cima e la vetta di una carriera. Oltre, vi è la caduta, una lenta discesa, l'inesorabile invecchiamento e la susseguente morte. Da questo momento gli Amorphis tenderanno a smarrirsi nelle pieghe sperimentali e melodiche che hanno contraddistinto questa creatura, tenderanno a specchiarsi nella magnificenza delle stanze e delle forme di questo enorme palazzo. Ogni cosa comincerà a diventare uguale a se stessa, riflesso di un qualcosa che si è fatto e che si vorrebbe riprodurre ad ogni costo. Ma la bellezza e la poesia di Elegy non sono facilmente ripetibili, nemmeno per coloro che l'hanno dipinta e scritta.
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VOTO LETTORI
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88.90 su 142 voti [
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Fambrini, secondo Me, poteva fare meglio con la Recensione degli Ebony Tears.. |
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Disco meraviglioso senza dubbio ; ma(e qui concordo con Korgull) altrettanto bella è la recensione di Fambrini, dottissima e scritta splendidamente. Complimenti
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Al di là del magnifico disco.....una delle recensioni che ha reso grande il sito |
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Circa quindici anni fa scoprivo gli Amorphis e diventavano, in quel momento, una delle mie band preferite. Mi affeziono agli ultimi album dell\'epoca, i primi tre con Tomi Joutsen alla voce, e pur apprezzando i lavori più vecchi con Pasi Koskinen, mi garbano fino a un certo punto. Oggi, dopo tutto questo tempo e un\'altra età, mi capita di risentire Elegy e di rendermi conto di quanto sia raffinato, creativo, e infinitamente superiore a tutto quanto venuto dopo dalla band. |
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L\'ho riascoltato ben 3 o 4 volte in questo weekend dopo anni che non lo ascoltavo e cazzo se è un capolavoro! Veramente un album unico... |
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riascoltato oggi, bellissimo. |
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Qualitativamente uno degli Album più intensi, del Metal in generale, che io abbia mai ascoltato da ormai Trent'anni e più ad oggi.. Ogni canzone ha una sua personalità... Potrebbe quasi sembrare una Raccolta di successi.. Sempre attuale.. |
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Bellissimo, il loro apice creativo, anche se io ho preferito ed amato, più per gusti personali, il precedente TFTTL. Voto 94 |
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meraviglioso, ancora oggi, da il suo meglio se ascoltato in orizzontale.
23 anni ed ancora suona moderno, già influenze seventies (ma che rielaborazione!), già (limitati) innesti di elettronica, un songwriting sfacciatamente libero ed affrancato dalle origini death... che spettaccolo...
"Elegy è uno di quei dischi irripetibili, il punto di arrivo, la cima e la vetta di una carriera" (cit). Parole sante! |
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Album eccezionale. Probabilmente insieme al precedente TFTTL, pur con le non poche differenze, è il top della band (che comunque tiene botta alla grande ancora oggi). Pezzi come quelli contenuti in quest'album (non solo la splendida My Kantele) escono fuori solo in miracolati stati di grazia... Voto 92 |
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Album stratosferico.il top della loro produzione.gli altri mi piacciono cosi cosi! |
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@TheSkullBeneathTheSkin: pur adorando Elegy, mi devo ancora riprendere dalla "botta" che mi diede Tuonela. |
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@Rob, cosa intendi x capolavoro dietro l'angolo? Secondo me questo è il capolavoro degli amorphis, e sottoscrivo con grande piacere anche le due highlight che citi, aggiungendo una menzione per "Song of the troubled one". Un disco semplicemente spettacolare, capolavoro unico nel suo genere, band inimitabile. Grandi, do 99 perchè anche io non posso più vedere dei voti del genere da parte degli utenti... forse non è il caso di esprimere giudizi su qualcosa che non si è capito e questi album non li comprendi con due tre ascolti, proprio no e proprio per questo si chiamano masterpiece! |
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Lo acquistai in tempo reale. A mio avviso a far la differenza è l'uso delle due voci si è rivelato azzeccatissimo. Tutto è magnifico. Mi piace citare My kantele per il lato folk e l'assurda Cares che riesce ad unire melodie più "tradizionali" ad inserti addirittura techno senza sputtanarsi. Ed il capolavoro è dietro l'angolo 90 |
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ma perchè la copertina col logo storto ? |
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Ottima recensione davvero, complimenti!! Aggiungo solo che sono pochi i dischi che ti trasmettono sapori, sensazioni ed atmosfere con la forza di Elegy. Secondo me Elegy non è solo un disco, è un viaggio bellissimo e struggente nella cultura finnica. Il finale di sitar di My Kantele, nella versione acustica, ti trasmette un senso di solitudine e amarezza che poche volte ho provato. Un freddo glaciale che ti scioglie l’anima. |
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Mai mi sono trovato d'accordo con una recensione come in questo caso,soprattutto nella parte finale. Aggiungo solo che fa davvero strano vedere dal vivo gruppi come gli Amorphis o In Flames che suonano tutto tranne che i veri classici ( o li relegano in miseri medley ) |
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Recensione bellissima... Che finale! Allbum che purtroppo mi manca, e non vedo l'ora di rimediare  |
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li vidi poi live in questo tour,perfetti! |
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Disco perfetto!Armonie e melodie calibrate fra heavy e più melodiose/folk,il mix delle voci perfetto,il solito senso unico per la melodia e canzoni stupefacenti fanno di questo album un capolavoro!Voto 99! |
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9
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Una doppietta da urlo Tales/Elegy...90 anche per me. Band che comunque continua a piacermi anche adesso, The Beginning a parte che ho trovato poco ispirato rispetto alle altre uscite degli ultimi 10 anni. |
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8
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il capolavoro degli Amorphis, bellissimo il mix tra le due voci, le atmosfere, non c'è una sbavatura per questa opera d'arte. Melodic Death è forse un'etichetta un pò limitativa per qualcosa che è oltre. Voto 90 |
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7
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qui c'e tutta la magia dei primi Amorphis! anche io la penso come @better_unborn e @ Galilee!!! tra questo e Tales si sono superati!..un pelino sopra Tales...ma proprio se devi scegliere uno!...associo a enyrambo dei bellissimi ricordi! |
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6
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tra questo e lakes c'è davvero poco da commentare...entrambi capolavori da cui non butto via nulla... |
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5
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Commento meraviglioso. Ricco di richiami ed esustivo. Da segnalare. Ottimo lavoro. |
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Gran disco, ma rispetto a takes from thousand lake non ce n'è proprio. L'ultimo loro disco che mi abbia detto qualcosa. Non perchè da qui in poi facciano schifo, ma il loro stile non fa più per me. Li vidi anche in tour con i Therion in quel periodo. 90/100 |
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3
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al di là della musica, un libro di ricordi. davvero fuori categoria. |
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Pur amando questo gruppo alla follia, Elegy non mi ha mai veramente conquistato, My Kantele è un capolavoro! |
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m e r a v i g l i o s o. |
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Tracklist
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1. Better Unborn 2. Against Widows 3. The Orphan 4. On Rich and Poor 5. My Kantele 6. Cares 7. Song of the Troubled One 8. Weeper on the Shore 9. Elegy 10. Relief 11. My Kantele (acoustic reprise)
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Line Up
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Pasi Koskinen (Voce) Tomi Koivusaari (Voce, Chitarra, Tamburello) Esa Holopainen (Chitarra, Sitar) Kim Rantala (Tastiera, Fisarmonica) Olli-Pekka Laine (Basso) Pekka Kasari (Batteria)
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RECENSIONI |
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