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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 4078 letture )
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Quando un gruppo di musicisti decide di dar vita ad una band, il più delle volte, parte da alcuni precisi presupposti: primo fra tutti, un genere di riferimento che possa rientrare nelle corde e nelle possibilità dei singoli membri, e che sia apprezzato ed accettato all’unanimità. Molto spesso, poi, la forma iniziale cambia nel tempo, incappando in svolte stilistiche che dovrebbero rendere fede all’esperienza accumulata in un primo momento e orientare le sonorità di un gruppo verso quella che sarà la via definitiva. Ma ci sono anche casi in cui una band non riesce a trovare una definizione precisa di sé stessa neppure dopo tanti anni di attività. È difficile trovare chi ammetta di essere facilmente etichettabile o classificabile, anche se la maggior parte delle volte è possibile farlo senza particolari problemi. Non è certo questo il caso dei finlandesi Amorphis, esordienti nel 1992 con un disco orientato verso lidi prettamente death metal (seppur con accenni folk/doom) e arrivati oggi, a distanza di oltre vent’anni, ad essere etichettati in svariate maniere, scomodando perfino le definizioni di gothic e prog metal per tentare -invano- di descrivere la loro proposta. Nel 2001, quando venne pubblicato Am Universum, quinto album che chiuse i primi onorati dieci anni di carriera, la formazione finnica capitanata dai due chitarristi Esa Holopainen e Tomi Koivusaari aveva già dato alle stampe dischi di un certo peso, come The Karelian Isthmus e Tales from the Thousand Lakes (i più “estremi”, anche per via del cantato in growl), Elegy e Tuonela (con suoni sempre più puliti e melodici, oltre a presentare una maggiore varianza di stili). Am Universum prosegue l’evoluzione musicale intrapresa a partire da Elegy: del tutto assente il cantato in growl, con Pasi Koskinen che ripiega ormai completamente su parti vocali ben più leggere e tranquille; molto presenti gli inserti melodici, principalmente grazie alle tastiere di Santieri Kallio, ma anche per merito delle appropriate linee di chitarra della coppia Holopainen/Koivusaari. L’apporto del sassofonista Sakari Kukko dona, inoltre, una venatura ancor più originale alla stesura finale di questo interessante lavoro in studio.
L’album presenta, come da tradizione, atmosfere cupe e malinconiche, con una tensione di fondo determinata dal tipo di cantato di Koskinen. Le ritmiche non sono mai troppo sostenute, ma la sensazione è quella di avere a che fare lo stesso con canzoni potenti ed energiche. Le trame chitarristiche, vero fiore all’occhiello della band finlandese, svolgono una funzione centrale all’interno del disco, mostrando le innegabili doti tecniche dei due chitarristi, ma soprattutto il grande impegno svolto in fase di composizione. Ogni brano, più o meno interessante che sia, è curato fin nei minimi dettagli e riesce a reggersi ed a funzionare al meglio anche preso singolarmente. Al di là delle tracce più sperimentali o originali in cui si incappa durante l’ascolto, ciò comporta un andamento abbastanza lineare del disco nel suo insieme, con appena qualche brano leggermente più incisivo degli altri. È questo il caso della gradevolissima Shatters Within, che presenta caratteristiche molto vicine ad una ballad, pur non essendo tale. La voce di Koskinen, avvolgente e trascinante, a tratti ipnotica, ci accompagna tenendoci per mano e lasciandoci immergere appieno nel brano. Così accade anche durante Veil of Sin, canzone che si distingue per l’apporto del sassofono, inserito talmente bene da risultare un elemento molto più che di semplice contorno. Le atmosfere decadenti di questo pezzo emergono in parte anche nella seguente Captured State, oltre che in una delle tracce precedenti, ovvero Drifting Memories. Quest’ultima è fortemente psichedelica, oltre che molto varia, e rientra tra i momenti di maggior follia creativa dell’album. Un più elevato mordente si avverte invece in Goddess (Of the Sad Man), The Night Is Over, Crimson Wave e Forever More, tutti pezzi che tengono alto il livello di coinvolgimento generale. Proprio Crimson Wave è la canzone con più elementi estranei e lontani da ciò che ci si aspetterebbe da un album appartenente alla sfera metal: la forte presenza delle tastiere e l’accorato uso del sassofono la rendono una traccia interessante e molto piacevole da ascoltare. Un altro supporto strumentale non comune è presente nella conclusiva Grieve Stricken Heart: la sega ad arco, suonata dall’abile Antti Halonen, dona al pezzo una sensazione straniante e quasi sognante, destando ottime impressioni.
Tra tutti i lavori in studio degli Amorphis, Am Universum non è il più apprezzato o il più ricordato, ma ad onor del vero bisogna constatare che davvero molti sono i punti a suo favore e proprio per questo non va sottovalutato il suo valore all’interno della discografia dei finlandesi. I fasti degli esordi a molti possono sembrare lontani, ma così non è. L’abbandono di un certo tipo di proposta musicale, inizialmente ben più estrema, è frutto di un percorso di maturazione e non di una parabola qualitativa discendente. Quest’anima fortemente malinconica, grigia -anche se con un costante velo di speranza- trasmessa attraverso un cantato pulito e levigato, un reparto strumentale con un gran numero di arrangiamenti e dettagli di sfondo e la scelta di puntare molto più sulla melodia piuttosto che sulla rudezza del sound, sono tutti segnali di un progressivo cambiamento che ha posto le fondamenta per quel certo tipo di sonorità con le quali ancora oggi molti individuano immediatamente la band finlandese. Si potrebbe obiettare che da qui in poi gli Amorphis abbiano iniziato a perdere di vista il focus della loro essenza, smarrendosi lungo una strada costituita da troppi diversi sentieri, ed in parte è così, ma è anche vero che chi vuole trovare la propria via deve prima fare le dovute esperienze, con tutte le difficoltà che ne conseguono. Am Universum può essere quindi considerato come il giusto proseguimento di un processo di “esplorazione musicale” iniziato in parte cinque anni prima con Elegy e confermato con Tuonela, ad oggi due dei migliori titoli a nome Amorphis. Da rispolverare, per chi ancora non ne fosse pienamente convinto.
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8
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Voto basso.
Tales, Tuonela, Elegy e questo non possono stare sotto l' 85-90.
Sono ancora qui ad ascoltarli in mezzo a migliaia di altri album |
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7
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@Rob Fleming: sta cosa di Tuonela l'ho trovata scritta anche sui muri del bagno all'autogrill... va che ti beccano prima o poi! Scherzi a parte alla fine mi hai persuaso e una di ste mattine ho rimesso il cd in macchina e via. Non ho cambiato idea sul fatto che sia inferiore ad Elegy, ma in effetti dopo tanti anni suonava leggermente meglio. |
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6
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L'unica pecca di Am Universum è di arrivare dopo Tuonela. Veil of sin su tutte. 85 |
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5
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Album grandioso, di un gruppo che ha saputo evolversi album dopo album. Peccato che le ultime uscite, da Eclipse in poi, anche se suonate sempre benissimo, mi sembrano un po troppo ripetitive. |
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4
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Alone è già tra le mie preferite degli Amorphis . Gran Band . |
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3
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Bellissimo e sottovalutato, per me vale anche qualche punticino in più |
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2
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Sicuramente non tra i loro dischi migliori o più riusciti, nella via di mezzo che va da "Tuonela" a "Far From The Sun" probabilmente non sono mai riusciti a dare il meglio come invece prima e dopo... Però di passi veramente falsi loro non ne hanno mai fatti, ogni loro disco merita di essere quantomeno ascoltato. "Am Universum" è forse quello che mi piace meno, assieme al successivo, ma onore e rispetto per una band che ha sempre e solo guardato all'ispirazione fregandosene di preconcetti o generi. (Sarei stato un po' più basso con il voto per rispetto ai lavori veramente riusciti della band, ma è una cosa personale probabilmente.) |
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1
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Ho sempre apprezzato questo disco. voto 80. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Alone 2. Goddess (Of the Sad Man) 3. The Night Is Over 4. Shatters Within 5. Crimson Wave 6. Drifting Memories 7. Forever More 8. Veil of Sin 9. Captured State 10. Grieve Stricken Heart
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Line Up
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Pasi Koskinen (Voce) Esa Holopainen (Chitarra solista) Tomi Koivusaari (Chitarra ritmica, Voce) Santieri Kallio (Tastiere) Niclas Etelävuori (Basso) Pekka Kasari (Batteria)
Musicisti Ospiti: Antti Halonen (Sega ad arco nella traccia 10) Sakari Kukko (Sassofono nelle tracce 1, 5, 6, 8, 10)
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