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Rotting Christ - Sanctus Diavolos
( 4150 letture )
Sactus Diavolos è l’ottavo album dei Rotting Christ, Anno Domini 2004.
A distanza di undici anni dalla sua pubblicazione beneficiamo di una prospettiva che viene definita, con un termine da “addetti ai lavori”, aerea o “a volo d’uccello”: essa consente una visione ampia, complessiva del percorso artistico dello storico gruppo ateniese e, pertanto, un’analisi diacronica di Sanctus Diavolos.

Alcune coordinate sono necessarie per orientarci nella vasta produzione della band.
Nati nel lontano 1987 ed inizialmente dediti al grindcore, sviluppano già a partire dal terzo demo (Satanas Tedeum, 1989) una singolare forma di crossover tra grindcore e proto-black ispirandosi per quest’ultimo a gruppi quali i Venom ed i Celtic Frost.
Giungono alla svolta decisiva con il primo album prodotto da una label locale, quel Passage to Arcturo (1991) che sfoggia già un black metal di matrice scandinava con tentazioni death reso leggermente più atmosferico dai frequenti inserti di tastiera.
È però con il successivo Thy Mighty Contract (1993) che iniziano a definirsi più nitidamente alcune delle caratteristiche di quello che sarà il loro peculiare stile: un black denso, materico fino alla ruvidezza, dalle atmosfere torve, che a tratti si concede brevi aperture melodiche di grande intensità emotiva e che ricorre alle tastiere per creare un’omeostasi tra la cupa ferocia ed un afflato misterico fortemente conturbante.
Con Non Serviam (1994) e soprattutto con Triarchy of the Lost Lovers (1996) i Rotting Christ iniziano ad ammorbidire il loro sound, rendendolo più pieno e levigato ed al contempo epicizzando le atmosfere. Questo incedere eroico di matrice chiaramente “etnica”, legato cioè alla cultura ed alla storia millenarie della Grecia, troverà forme d’espressione diverse nel corso del tempo: potrà essere sostenuto da arrangiamenti sinfonici e da cori lirici oppure prendere un aspetto più marziale come nei più recenti lavori, ma resterà una componente fondamentale dello stile del gruppo.
Il sound, pur non perdendo in turgore e violenza, si arricchisce di influssi gothic che troveranno la loro massima espressione nelle due release seguenti, A Dead Poem (1997) e Sleep of the Angels (1999), che rappresentano gli album della cosiddetta “deriva gotica” del gruppo, osteggiata da una parte dei fan che vi legge un cedimento alle leggi del mercato ma che più realisticamente sembra rappresentare il tentativo di variare ed ammorbidire il black delle origini con un metal più classico e melodicamente accessibile ma non per questo banale. Un giudizio a mio avviso piuttosto severo, giacché gli album più “gothic” non rappresentano affatto il nadir qualitativo della band. Mi sembra anzi che i Rotting Christ sviluppino le proprie potenzialità creative in modo graduale e continuo, senza rivoluzioni né involuzioni. Una mirabile coerenza, dunque, che non è sinonimo d’immobilità ma che può semmai esser descritta come un processo evolutivo nel quale un sostrato profondamente radicato di metal estremo viene galvanizzato dalla giustapposizione, sovrapposizione e mescolanza di elementi di diversa natura per dar vita ad un sound potente, oscuro eppure mistico, virulento e dalla connotazione emotiva assolutamente unica, palpitante e fiera, fervida ed appassionata, mille miglia lontana dall’algore del black nordico.
Con i successivi Khronos 666 (2000) e soprattutto con il riuscito Genesis (2002) i nostri aggiustano la mira tornando ad un suono più ruvido ma sempre molto variato e complesso nella sua trama, fatto di passaggi tellurici di matrice black che si alternano con grande libertà espressiva ad aperture melodiche ed a passaggi saturi di un mood moderno e teso: uno stile che non perde in atmosfera grazie al contributo delle tastiere e dei cori (in Genesis) che vanno ad enfatizzare la violenta teatralità, da autentica trilogia tragica greca, delle song.

Ed eccoci finalmente, dopo questo exursus lungo ma necessario, a Sanctus Diavolos, Anno Domini 2004.
È un album che rientra pienamente nella fase di parziale inversione di rotta che ho poc’anzi descritto.
Vi sono due sostanziali novità che incidono in maniera significativa sul disco: l’abbandono del chitarrista Kostas Vassilakopoulos e del tastierista Georgios Tolias che riduce la lineup ad un trio ed obbliga Sakis Tolis ad occuparsi del synth, con il quale realizza soprattutto, ma non solo, i passaggi tastieristici; il mixaggio è affidato al noto Fredrik Nordström dello svedese Studio Fredman che conferisce turgore ed al contempo la giusta ruvidità al sound.
La materia sonora di Sanctus Diavolos non poteva essere che duplice, così come dicotomica è la figura demoniaca cui fa riferimento il titolo: il diavolo, angelo degradato, che mantiene in sé la vis luminosa e mistica delle sue origini insieme alla cupa ferinità che la caduta agli Inferi gli ha arrecato. Proprio per questa duplicità è santo, cioè vicino alla pienezza, alla totalità, all’unione degli opposti più di qualsiasi creatura.
E così da una parte la sulfurea potenza del black metal, dall’altra le aperture melodiche, spiragli che enfatizzano l’oscurità ed al contempo ne limitano l’invasività compensandola: entrambi i momenti, interdipendenti fra loro, sfruttano la perizia alla chitarra di Sakis, che fa stridere le sei corde, le rende taglienti, nervose, aspre, ne spezza continuamente l’andamento per poi lasciare che si sciolgano in melodie più morbide, ariose, di grande forza evocativa. La componente gotica del sound dei Rotting Christ non è rinnegata, appare solo meno predominante e si esprime sotto forma di discreti e puntuali intarsi tastieristici e di altri strumenti classici “sintetizzati” ad opera di Sakis, di ampie parti corali arrangiate da Christos Antoniou dei compatrioti Septic Flesh e di ancora esigui accenni folk.
Se i cori, peraltro molto vari, sono di solito funzionali al contesto ed in alcuni casi (come nella finale titletrack) sono fondamentali al successo del brano creando quel crescendo emotivo necessario a farlo spiccare, è purtroppo vero che appaiono piuttosto datati non solo al nostro attuale gusto ma verosimilmente anche a quello degli ascoltatori di due lustri addietro i quali dovevano percepirne, per usare un eufemismo, il gusto vintage che li rendeva già a quei tempi obsoleti.
Quanto alle summenzionate avvisaglie folk, esse si concretano in un’ancora rara rumoristica ed in spoken word solisti e corali che richiamano ambientazioni elleniche (campane, voci maschili che intonano una litania di chiara matrice ortodossa), e naturalmente nella scelta stessa della lingua greca che si alterna all’inglese e che già semplicemente con il suo andamento caratteristico e la sua pronuncia evoca potenti echi dell’ancestrale humus culturale che accomuna l’intero Occidente.
A variare brani come ad esempio Tyrannical intervengono nuance industrial appena accennate che con la loro caustica algidità attualizzano il brano che ne subisce la contaminazione. Ricordiamo che neppure questi “modernismi” sono nuovi ai Rotting Christ.
Su tutto, last but not least, la voce di Sakis, somma interprete delle atmosfere create dalla musica del terzetto ateniese. Anzi, se torniamo al “daimon” di epoca antica, pre-cristiana, cioè a quell’essere spirituale che funge da tramite tra la divinità e l’uomo, a quella sorta di nume tutelare che guida l’individuo nel suo cammino interiore, la voce di Sakis è davvero “demoniaca” giacché ci conduce a contatto con quell’oscurità malevola e quel misticismo che sono i poli opposti e consustanziali della musica dei Rotting Christ.
E’ dunque la piena padronanza di questo articolato avvicendamento di atmosfere, di questo gusto per la variazione e la stratificazione ancor più che per la contaminazione, al quale si aggiunge una fertile vena ispirativa a conferire il mood vincente alle song di Sanctus Diavolos. Non tutte sono ugualmente riuscite, com’è naturale che sia, ma questo non inficia il valore complessivo dell’album che resta intatto anche a distanza di undici anni.
Una conferma a posteriori della congruità del percorso artistico intrapreso dalla band la troviamo nel prosieguo della carriera, a partire dall’immediato e splendido successore di Sanctus Diavolos, quel Theogonia (2007) nel quale si manifestano per la prima volta in maniera decisa le componenti folk che fino ad allora erano appena accennate e che prenderanno una forma potentemente marziale, oplitica nel più semplice e compatto Aealo, la cui forma si cristallizzerà restando pressoché invariata nell’ultima release Kata Ton Daimona Eaytoy. Opera che apre un periodo d’incertezza e di suspense sul futuro di questo grandioso gruppo. Personalmente mi auguro che i nostri non smettano di seguire con sempre rinnovato fervore la propria ispirazione, ovunque li conduca, liberamente, perché con una carriera quasi trentennale quasi del tutto priva di ombre possono permettersi ampiamente di farlo.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
91.38 su 18 voti [ VOTA]
Doomale
Venerdì 11 Dicembre 2015, 19.06.16
5
Alla fine l'ho recuperato come giustamente segnalava Punto Omega. Ottimo album...dal sapore negromantico..come i suoi successori... e alla lunga ho rivalutato tutto il nuovo corso...anche se come scrivevo giu i primi due sono il top.
Dany 71
Martedì 27 Gennaio 2015, 11.12.31
4
Gran disco. Avendo la grazia di ascoltarlo un paio di volte resterà dentro lo stereo per un bel po'. Per i miei gusti da qui in poi i Rotting che preferisco.
Punto Omega
Martedì 27 Gennaio 2015, 8.28.56
3
Il capolavoro dei Rotting Christ e l'album che apre definitivamente il nuovo corso del gruppo (che prosegue tuttora). Genesis fa solo intravedere ciò che Sanctus Diavolos porta a compimento. In definitiva, chi nonl'ha ancora ascoltato si faccia un favore e lo metta in cuffia. Non se ne pentirà.
Nattramn
Sabato 24 Gennaio 2015, 12.03.32
2
83?Non ci siamo affatto,il minimo sindacale è 90.Come il precedente Genesis un capolavoro dal quale si intravedeva la svolta.Band incredibile.
doomale
Sabato 24 Gennaio 2015, 11.07.19
1
Questo non l'ho mai preso come del resto i suoi predeceddori....diciamo che mi sono fermato a Triarchy...poi qualcosa degli ultimi!.comunque quando potro gli daro un ascolto d'altronde i Rotting christ sono uno di quei gruppi che ho amato di piu negli anni d'oro del genere e che godono di tutta la mia stima! Pero` x me Mighty contract e non serviam non si battono"
INFORMAZIONI
2004
Century Media
Black
Tracklist
1. Visions of a Blind Order
2. Thy Wings Thy Horns Thy Sin
3. Athanati Este
4. Tyrannical
5. You My Cross
6. Sanctimonious
7. Serve in Heaven
8. Shades of Evil
9. DOctrine
10. Sanctus Diavolos
Line Up
Sakis Tolis (Voce, Chitarra, Synthesizer)
Andreas Lagios (Basso)
Themis Tolis (Batteria)
 
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