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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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25/01/2019
( 2184 letture )
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La fase sotto Century Media della longeva discografia del gruppo di metal estremo per eccellenza dell’Ellade tutta, quei Rotting Christ guidati da un inossidabile oplita blasfemo come Sakis Tolis, è senza dubbio la più controversa. I primi due full-lenght dei greci, Thy Mighty Contract e l’iconico Non Serviam, a cui si aggiunge l’EP Passage to Arcturo, erano la reinterpretazione in chiave mediterranea del black metal scandinavo che da qualche anno aveva mosso i suoi primi passi. Un maggiore uso della melodia, un’atmosfera più calda e con qualche tratto etnico che sembra rendere la musica fortemente legata alla nazione di provenienza della band rendevano questi lavori pienamente riusciti e apprezzati ancor oggi da fan e critica. Century Media però subito dopo mise i greci sotto contratto, e questo fu il tassello fondamentale della successiva e controversa evoluzione dei Rotting Christ. L’album successivo, Triarchy of the Lost Lovers del 1996 portò fondamentali novità: un avvicinamento al metal più classico, un alleggerimento generale del sound, soluzioni ancora più melodiche e più vicine a quel gothic metal che in quegli anni andava tanto di moda tra le compagini di metal estremo in tutta Europa. Il nuovo arrivato tuttavia presentava ancora una band in grande spolvero, e non è un mistero se l’opener King of a Stellar War è diventata uno dei pezzi più rappresentativi in assoluto di tutto il repertorio dei greci. I problemi cominciarono a sorgere in seguito. A Dead Poem e Sleep of the Angel sono ancora oggi considerati i passi falsi della carriera della band: vedevano un alleggerimento ulteriore, un abbraccio quasi totale di un heavy-goth metal e l’abbandono delle sonorità black. Non che fossero album da buttare, anzi, ma costituivano evidentemente un cambiamento troppo radicale per il fan tradizionalista. Quindi nel 2000 sorse Khronos, un album ancora molto dark ma che riprendeva in parte le radici black metal, per poi arrivare al 2002 a questo Genesis.
Genesis è il settimo album dei Rotting Christ e fino a quel momento costituiva l’album più strettamente black metal dai tempi di Non Serviam. La ripresa in copertina del vecchio logo –abbandonato dai tempi di A Dead Poem per uno molto più leggibile– era già un evidente manifestazione d’intenti. Infatti non ci si sbaglia, e le chitarre graffianti dell’opener Daemons, un brano sparato e black metal con ben pochi fronzoli, ne sono la riprova. I Rotting Christ tuttavia non sputano (e mai lo faranno in tutta la carriera, almeno fino a oggi) sul piatto in cui hanno mangiato, perché questo black metal è più melodico, più pulito e sfaccettato rispetto a quello più germinale dei primi lavori, ed eredita anche quanto sperimentato nei lavori immediatamente precedenti. La produzione è ottima, in grado di offrire un sound in equilibrio tra pulito e graffiato, sapientemente riempito da suggestioni tastieristiche che rendono Genesis un prodotto sì almeno in parte plastico, ma comunque sputato fuori direttamente dall’inferno. A ogni traccia infatti si respirano quelle suggestioni infernali, da brutalità ancestrale ed esoterismo, e i testi sono proprio in linea con queste tematiche, dalla legge del taglione a riferimenti demoniaci più o meno espliciti. La voce di Sakis mantiene i suoi limiti di sempre: buona nelle vesti di screamer, un po’ meno nel pulito, sia per la timbrica che per la pronuncia inglese per lo più stentata. Andando a vedere da più vicino le canzoni, siamo davanti a un lavoro fatto di ottimi spunti, con più pregi che difetti ma non privo qualche scivolone o di qualche passaggio a vuoto. In Domine Sathana a metà scaletta è un brano che lascia perplessi, ripetitivo, piatto, noioso, anche se il suo carattere claustrofobico e atmosferico anticipa un album “rituale” come Rituals. L’inizio di Release Me è spiazzante e di dubbio gusto, ma il brano comunque nella sua parte più tirata diventa graffiante e demoniaco come dovrebbe. O ancora, Ad Noctis non sembra essere un pezzo troppo convincente, ma il climax crescente, severo e incazzato nella pure ripetitiva Lex Talionis, Nightmare, la “ballad” dell’album Dying o la suggestiva, complessa e conclusiva Under the Name of Legion non fanno rimpiangere per un solo istante l’acquisto di Genesis.
Aprendo anche una finestra su ciò che la band sarebbe stata dopo si può tranquillamente asserire come Genesis sia stato uno dei più importanti album nel plasmare i Rotting Christ per come li conosciamo oggi. Il recupero del black metal integrato alle influenze gothic (ma anche classiche) dei lavori precedenti a Genesis sta alla base di quel capolavoro di Theogonia, a mani basse uno degli episodi più brillanti dei greci, e molti di quei riff e/o assoli che hanno fatto la loro successiva fortuna trovano un qualche prototipo proprio qui in Genesis. Poi chi ama i Rotting Christ conosce anche i loro difetti, dalla voce a certe soluzioni compositive ripetitive, passando per una componente tecnica non sempre eccelsa, ma quando si parla di epicità, blasfemia e pathos si va sul sicuro. Poi certamente Genesis non è l’album dei Rotting Christ da avere per forza se si è appassionati del genere, nonostante sia un ottimo lavoro, ma se si è fan della band il suo possesso diventa fondamentale.
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3
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Spero recensirete presto anche i dischi che mancano tipo l'ottimo Khronos. Genesis non è il migliore dei RC ma è comunque un buon album. |
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2
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Mi è sempre piaciuto , daemons è un gran pezzo. |
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Non male come album. Alla fine vuoi o non vuoi, mettendo da parte i primi due classici inarrivabili, han sempre prodotto bei dischi. Poi entrano in causa i gusti personali, ma io non ho mai buttato nulla di loro. 7,5! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Daemons 2. Lex Talionis 3. Quintessence 4. Nightmare 5. In Domine Sathana 6. Release Me 7. The Call of the Aethyr 8. Dying 9. Ad Noctis 10. Under the Name of Legion
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Line Up
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Sakis (Voce, Chitarra) Kostas (Chitarra) Andreas (Basso) George (Keyboards) Themis (Batteria)
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RECENSIONI |
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